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giovedì 30 agosto 2012

VITA

VITA (1° domenica di febbraio)

La prima domenica di febbraio si celebra la giornata per la vita. Questa è, per un cristiano, “dono di Dio” che nessuno può togliere o negare (neanche noi stessi con il suicidio, neanche lo Stato legittimando l’aborto o l’eutanasia o la pena di morte). La vita va' dunque difesa, ma soprattutto vissuta in pienezza a partire dal concepimento fino alla sua fine naturale. E’ un dono da condividere, come ribadisce don Tonino Bello: “Se la vostra vita la spenderete per gli altri, voi non la perderete; perderete il sonno, ma non la vita, la vita è diversa dal sonno; perderete il denaro, ma non la vita, la vita è diversa dal denaro; perderete la quiete, ma non la vita, la vita travalica la quiete…”.
La beata Madre Teresa di Calcutta in una celebre preghiera ci ricorda che:
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila."

Un contributo stimolante a valorizzare la vita ci viene anche da Roberto Saviano, il giovane e già celebre scrittore e giornalista italiano autore di “Gomorra”, ma anche di una nota trasmissione televisiva, “Vieni via con me” in cui invitata gli spettatori a scrivere la propria lista delle 10 cose per cui vale la pena vivere. Da queste liste, 50 mila giunte in pochi giorni, Saviano evidenzia il costante desiderio di amare, declinato in molte forme. E poi:
gli amici, quelli veri, quelli con cui si è legati, annodati per sempre. O i gesti che ci mettono in comunicazione con gli altri: da un sorriso per strada ricambiato al trovarsi insieme per manifestare. C'è il piacere di ridere, a crepapelle, sino alle lacrime.... E il bisogno di piangere che spesso diviene un diritto conquistato con la consapevolezza di voler essere se stessi, sempre. Ci sono i viaggi, il mare, i paesaggi dei ritorni a casa, i cieli stellati, il profilo dei monti. E poi i sapori, il sole, i fiori. Inseriti negli elenchi smettono di essere cose trascurabili e divengono dettagli fondamentali. Elenchi banali, diranno i cinici, pieni di ipocrisia e di falso buonismo, diranno i saccenti. Ma chiunque abbia ascolto sincero delle parole sa che sono loro a banalizzare, impauriti dalla semplicità quando diviene senso della vita e soprattutto punto fermo di felicità... Scrivono i loro decaloghi uomini e donne che non hanno perso la fiducia in se stessi e nei loro simili, ma hanno voglia di allargare lo sguardo e di scoprire. C'è tanta musica, cinema, libri, il gusto di leggerli in spiaggia o sotto le coperte. Le squadre del cuore. C'è spesso la fede in Dio, ma anche l'orgoglio di essere italiani. C'è molta voglia di un paese migliore, molto ricordo vivo di uomini come Falcone e Borsellino, Berlinguer e Pertini. Però è un'Italia che sta anche nel mondo, ricorda Gandhi e Martin Luther King, canta Springsteen e gli U2,.. (…) È da qui che mi piace pensare l'inizio di una possibile e necessario percorso, un insieme di desideri di felicità che si uniscono. Non il paese incattivito, egoista, in fondo disperato in cui ciascuno bada solo ai fatti propri, dove tutti sono ugualmente sporchi, compromessi, piegati, e quindi tutti uguali nella meschinità. Dove non resta che tacere e far vincere il più furbo. Ma un'Italia integra, pulita, allegra e colma di rispetto in cui possiamo riconoscere la nostra speranza e la nostra forza - a partire dai punti fermi delle nostre vite che nulla riuscirà mai a scardinare. Elenchi e ancora elenchi. Leggerli mi fa sentire bene, mi fa sentire parte di qualcosa che riconosco. (…) Elenchi che sommati l'uno all'altro formano un castello di parole e preannunciano la costruzione di un paese per cui vale ancora la pena di vivere.”
Roberto Saviano, Cinquantamila ragioni per vivere. Tutti gli elenchi della felicità, La Repubblica, 24.3.11
Vale la pena soffermarci sulla testimonianza di un personaggio sopra le righe: Steve Jobs, il celebre creatore della Apple recentemente scomparso. Un suo noto discorso fatto nel 2005 per i laureandi di Stanford lo ha reso una sorta di guru, di leader spirituale a cui tanti si ispirano. Il successo delle sue espressioni, come lo slogan “Siate affamati, siate folli” ha mostrato una vera fame spirituale che i cattolici non riescono facilmente a soddisfare nonostante i cibi succulenti, in termini spirituali, di cui sono forniti.
Jobs si è ispirato alle filosofie orientali, al buddismo, per dare risposte ai grandi interrogativi che tutti ci poniamo sulla nostra vita: chi siamo, cosa ci rende realmente felici, come dare senso alla nostra esistenza… Domande verso cui il cristianesimo ha risposte vere, profonde, ma che non riescono facilmente a passare, perché appaiono forse vecchie e opprimenti. Eppure Gesù ci parla di libertà, di vita autentica (oltre che eterna), di felicità…
Ma sentiamo ciò che dice Jobs:
“...non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita…
Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. (…)
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato. Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore...
Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. (…)
“Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.
Parla di vita anche Alessandro D’Avenia, altro giovane noto scrittore prestato al giornalismo, che ci ricorda come “si può morire restando vivie come la gioia di vivere non dipende dal successo, ma dal fatto di occupare il proprio posto nel mondo, nella fedeltà a quello che siamo chiamati a essere e fare, sulla base dei nostri talenti e dei nostri limiti, la conoscenza dei quali ha il suo spazio privilegiato nell’infanzia, nell’adolescenza e nella prima giovinezza. Ciascuno di noi è la propria vocazione, la propria chiamata, il proprio compito. Sul tempio di Apollo a Delfi c’era scritto «Conosci te stesso». Da lì prese le mosse il pensiero occidentale ed è lì che bisogna guardare per questa crisi che è prima ancora che economica, una crisi di senso e di identità”.
Alessandro D’Avenia, Vita. Capirsi con il cuore, La Stampa, 4.12.11

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