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lunedì 17 settembre 2012

San GIUSEPPE (19 marzo, festa di San Giuseppe)

San Giuseppe è il marito di Maria, il padre “putativo” di Gesù a cui dà la discendenza davidica (realizzando così la profezia di Natan), il “sognatore” (riceve e accoglie prontamente la volontà di Dio espressa nel sogno), l’uomo giusto che non vuol far torto a Maria, l’uomo silenzioso, il lavoratore…
Seguiamo le riflessioni di Michele Dolz che ci parla delle “fatiche di Giuseppe, modello del padre di oggi” (labussolaquotidiana.it, 19.3.11): Molti hanno chiamato san Giuseppe «il santo del silenzio», perché i vangeli non ci riportano nemmeno una parola da lui pronunciata. (…) Lo si invoca come patrono della vita spirituale perché nessuno più di lui è stato in intimità con Gesù e con Maria. (…)
Pio IX (…) nel 1870 nominò san Giuseppe patrono della Chiesa. E Pio XII creò una nuova festa per ricordare san Giuseppe lavoratore, il 1° maggio 1955. (…) Non c’è da meravigliarsi di queste affermazioni «tardive» del culto a Giuseppe. La storia della teologia conosce molti di questi approfondimenti o «scoperte» di alcuni elementi della fede, dalla Madonna fino all’eucaristia. La figura di Giuseppe come «papà» di Gesù ci aiuta indirettamente a comprendere la necessità del padre in famiglia: Gesù ha voluto un padre. Non lo si può pensare solamente come custode della verginità di Maria e della sua stessa persona, come una specie di copertura sociale. Gesù è vero uomo come è vero Dio, e in quanto uomo ha attraversato tutte le tappe della crescita umana, dell’apprendimento, dell’inserimento nella comunità. È stato questo il compito di Giuseppe: crescere il Bambino come un figlio vero.

Giovanni Paolo II nella Redeptoris Custos (1989) ricordava che ci sono diversi modi di paternità, oltre a quella della carne. Poi, quando ebbe terminato il suo compito, Dio lo chiamò a sé. Non lo si vede più nel vangelo, Maria compare sempre da sola senz’altra compagnia che quella degli apostoli e delle donne. Gesù la deve affidare a Giovanni. (…) Lo si invocherà come patrono della buona morte.
Ma tornando alla paternità di Giuseppe, di questi tempi bi-sognerebbe invocarlo come patrono dei padri di famiglia. Si parla molto dell’assenza del padre come fenomeno grave e potenziale causa di gravi problemi, a cominciare da quello della proiezione di genere. È incredibile che mentre si proclama l’emancipazione della donna e si impone per legge la presenza delle donne in posti di responsabilità sociale, politica, economica, si continui a demandare alla sola madre l’educazione dei figli. Paradossalmente il padre era più presente in una società più arretrata. I padri cristiani devono ricordare che Dio ha voluto Giuseppe come «papà» del suo Figlio, e trarne le conseguenze.
SU SAN GIUSEPPE DICONO
Don Tonino Bello ha composto una delicata e poetica lettera a Giuseppe (La carezza di Dio, Edizioni La Meridiana) immaginandosi suo ospite nella bottega di Nazaret. Dando del «tu» al patrono della Chiesa universale, scrive: «Solo tu, Giuseppe, potevi capire Maria. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrasta. Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio, e di dimenticarla. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore, e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria. Purché mi faccia stare con te”. Lei ti rispose di “sì”, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. (…)
Si è fatto tardi, Giuseppe. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. C’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire. Buona notte, Giuseppe
!».
Osserva il padre servita Ermes Ronchi: «La paura, principio di ogni fuga, è il contrario della fede, del matrimonio, della paternità. Giuseppe non ascolta la paura, diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore. Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo, questa è tutta un’altra avventura».
Il biblista mons. Bruno Maggioni aggiunge: «Giuseppe sceglie Dio: capisce il senso delle Sue parole. Spieghiamolo alle giovani generazioni: Dio non è un padrone che dà ordini nel proprio interesse, ma un Padre che vuole il bene di ogni singolo figlio. I Suoi comandi servono a noi, non a lui: sono istruzioni per la vita, necessarie per capirne il senso e le possibilità buone che la abitano».

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