Pagine

mercoledì 31 ottobre 2012

Santità, ovvero come essere Santi



Il Santo per eccellenza è solo Dio. Egli è il Santo perché perfetto e ineffabile, unico che possieda tutte le fattezze di impeccabilità e magnificenza. Santità vuol dire infatti perfezione assoluta; e chi può vantare un tale attributo se non il Creatore e Legislatore dell'universo? E chi si può assumere come modello esaustivo di perfezione se non Colui che è la somma di tutte le perfezioni?
Eppure, se osserviamo con attenzione alcuni passi della Bibbia, Dio non trattiene per
se stesso questa santità ma al contrario vuole che anche gli uomini ne siano partecipi. Non per niente lo stesso Signore ci rivolge l'esortazione: "Siate santi, perché io il Signore vostro Dio sono Santo" Lv 19, 2; Gesù ribadisce lo stesso invito, affermando: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli". Il libro dell’Apocalisse (cap. 6) ce li descrive rivestiti di "vesti candide del sangue dell'Agnello dopo aver affondato la grande tribolazione e avendo ottenuto il divino sigillo". Dio insomma non soltanto consente ma addirittura ci invita ad essere Santi. Se poi gettiamo lo sguardo sul termine "Santo" secondo l’originale greco, osserveremo che questo nelle Lettere Paoline e per estensione in tutto il Nuovo Testamento indica semplicemente il fedele, il membro della comunità ecclesiale... Insomma il cristiano stesso. Questo di fatto non è mai stato smentito né trasformato, al contrario si ribadisce più volte in seno alla vita ecclesiale che tutti possiamo anzi dobbiamo essere santi e tale categoria non appartiene solo a quanti sono stati innalzati all’onore degli altari.

La santità è infatti la vocazione universale di tutti i battezzati e chiunque si definisca cristiano è votato ad essere santo. Il Documento ecclesiale
Lumen Gentium sottolinea con forza questo assunto: prescindendo dalla specifica vocazione personale di ciascuno, tutti i membri del Corpo di Cristo sono tenuti a perseguire quale primario obiettivo la santità ed essere santi è l’obiettivo che ci accomuna tutti prescindendo dalla nostra vocazione singolare specifica. Questo vuole soprattutto il nostro Battesimo, che è il vincolo sacramentale primario che in modo indissolubile, nello Spirito Santo ci lega a Cristo per  orientarci verso il Padre.


SANTI, gli amici di Dio

Un'omelia di mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano, in memoria di un sacerdote ucciso tragicamente a Busto Arsizio vent'anni fa. Un testo che - attraverso di lui - parla dritto a ciascuno di noi.
Vivono tra noi gli amici di Dio. Vivono come tutti: di fatiche e di gioie, di giorni di frenesia e di giorni di festa, di giorni di salute e di giorni di malattia, ma gli amici di Dio vivendo come tutti, vivono in modo straordinario. Come tutti, incontrano la gente: incontrano persone simpatiche e persone insopportabili, hanno amici e talora anche nemici, incontrano tanta gente, come tutti, ma chi incontra gli amici di Dio ne conserva un ricordo particolare. Hanno il loro carattere, come tutti: alcuni sono timidi e altri estroversi e chiacchieroni, alcuni sono irruenti e reattivi, altri sono pazienti e discreti, eppure tutti gli amici di Dio sono come segnati da una disciplina che li rende disponibili anche a quello che non viene spontaneo. Vivono tra noi, gli amici di Dio, non si notano a prima vista, non fanno rumore, eppure sono quelli che tengono in piedi il mondo, quelli che mettono mano alle cose storte e cercano di raddrizzarle: che si tratti di un bambino che piange, di un malato che è solo o dei problemi di dimensione planetaria.
(…) Gli amici di Dio vivono una particolare libertà. Hanno consegnato a Dio il loro desiderio di essere felici e perciò non si preoccupano più troppo di se stessi. Sanno che Dio non li deluderà, mai.
Perciò sono liberi. Sono liberi dalla paura: si espongono a tutti i rischi che la missione comporta, non per ingenuità o presunzione, ma per obbedienza. Sono liberi dalla ricerca del consenso, sono liberi dai giudizi altrui: ascoltano tutti e sanno che da tutti devono imparare, ma il criterio del loro agire non è la popolarità o l'approvazione del mondo. La libertà viene da una fortezza interiore dove abita il timor di Dio. Sono liberi dagli interessi meschini. Non si domandano mai "che cosa ci guadagno?", perché vivono di gratitudine. Il dono che hanno ricevuto è talmente grande, talmente gratuito che non possono che condividerlo gratuitamente. Sono disposti a rimetterci persino, non hanno preoccupazioni per il loro futuro.
Sono liberi anche dall'ossessione di verificare i risultati. Si impegnano con tutte le forze, si appassionano alle imprese che li coinvolgono, ma sanno di essere solo operai mandati a seminare.  Del raccolto sono incaricati gli angeli di Dio.
Gli amici di Dio abitano in un mistero e ne sono commossi. Sono stati visitati da un invito, sono stati chiamati all'intimità indicibile. Nella solitudine non si annoiano, perché la presenza di Dio non è una parola, ma una comunione tremenda e affettuosa. Amano il silenzio e talora li sorprendi in una preghiera che non riesci a indovinare, nel cuore della notte o all'alba. Non parlano spesso di sé, hanno un riserbo sulla loro vita spirituale. Ma se poni loro delle domande, puoi restare sorpreso per parole di fuoco o per uno zampillare di acqua fresca per la tua sete.
Gli amici di Dio sono gente che vive con uno scopo. I loro obiettivi non vengono dall'ambizione, non sono nutriti dal desiderio di una carriera, dalla presunzione di un protagonismo. Hanno uno scopo, ma è piuttosto l'obbedienza alla missione. In quello che fanno mettono tutto se stessi, non risparmiano né forze, né intelligenza, né risorse, fino al sacrificio. Non hanno un altrove in cui evadere, non difendono le parentesi del loro privato, come possibilità di un'altra vita. Non hanno un'altra vita perché la missione che hanno ricevuto è diventata tutta la loro vita. Si considerano solo dei servi e vivono con fierezza il loro servire, perché conoscono il loro Signore.
Gli amici di Dio ospitano insieme una gioia invincibile e una struggente tristezza. Non si sa come spiegare quello che provano, eppure portano in giro per la città il loro sorriso in cui indovini una gioia che non viene da fortunate coincidenze o dall'assenza di problemi, ma da un'inesplorabile profondità, come una sorgente che non cessa mai di alimentare l'esultanza. Ma la gioia degli amici di Dio non è un ingenuo essere giulivi. Hanno dentro una tristezza struggente: è l'intensità della compassione perché non c'è soffrire che li lasci indifferenti; è il sospiro del compimento perché non c'è giorno della vita in cui non invochino "venga il tuo regno".
Vivono tra noi, gli amici di Dio e passano per lo più inosservati. I titoli dei giornali e le chiacchiere intessute di luoghi comuni li ignorano perché si dedicano alla lamentela e al pettegolezzo, alla critica e alla denuncia, alla retorica e alla mormorazione. Così gli amici di Dio non fanno notizia.
Capita però, talvolta, che un evento straordinario attiri su di loro l'attenzione e allora tutti se ne accorgono e restano ammirati.
Io credo che gli amici di Dio compiano la loro missione in vita e in morte. Perciò credo che talora capiti che gli amici di Dio richiamino l'attenzione di molti perché tutti si possano sentire rivolta una parola, un invito, una domanda.
Vuoi diventare anche tu amico di Dio? Io ti dico che ne vale la pena!

 ___________
Intevista a Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari.
Santità è sinonimo di perfezione, una categoria che distingue e separa.
«Gesù non aveva detto: “Siate dunque perfetti, così com’è perfetto il Padre vostro che è in cielo”? Tendere alla perfezione, quindi, è una precisa volontà di Dio per tutti i cristiani. L’ha ribadito il Concilio Vaticano II. Ma è vero che in passato si sono create distinzioni e categorie. “Pareva che la santità fosse riservata solo a suore, religiosi e preti e agli sposati fosse riservata un’altra sorte”, osservava Igino Giordani, figura di spicco della cultura del Novecento italiano. Quanto ne aveva sofferto! Con ironia parlava di cristiani di serie A, sacerdoti e religiosi, chiamati ad “uno stato di perfezione” e di cristiani di serie B, i laici, che vivevano in “uno stato di imperfezione”. La grande scoperta di Chiara Lubich, sin dagli inizi, è stata quella di aver trovato nella volontà di Dio la carta di accesso alla santità per tutti: dall’operaio allo studente, dal deputato alla casalinga. Giordani, dopo il suo primo incontro con Chiara in Parlamento, così esprime la sua sorpresa: «Essa metteva la santità a portata di tutti; toglieva via i cancelli che separano il mondo laicale dalla vita mistica. Metteva in piazza i tesori d'un castello a cui solo pochi erano ammessi».
Nei nostri tempi la santità non è un concetto superato e antico?
«Non è sentita quella santità che richiama fenomeni straordinari sperimentati dai santi lungo i secoli, come estasi, miracoli, dure penitenze. Perché è un’immagine lontana dalla vita della gente di oggi. Ma la Parola di Dio continua a interpellarci: “Siate santi, perché Dio è santo”; “È volontà di Dio la vostra santificazione”… In questo nostro tempo si aprono strade nuove: santi insieme, santità di popolo. Significa amare l’altro come te, se tendi alla santità devi volerla anche per gli altri. Ne parlava Paolo VI, come ricordava Chiara Lubich: “In questi tempi ormai l’episodio isolato deve farsi costume, il santo straordinario cede il posto in certo modo alla santità di popolo, al popolo di Dio che si santifica”.
A cura di Gabi Ballweg di Neue Stadt


Nessun commento:

Posta un commento