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giovedì 7 febbraio 2013

Il Carnevale e la Quaresima: significati tradizionali e retaggi

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Nel mondo moderno i processi di laicizzazione e materializzazione della vita dei popoli occidentali hanno portato ad un progressivo svuotamento di contenuto di molte festività o di particolari periodi dell’anno solare, che in passato rivestivano una grandissima importanza simbolica e spirituale e che invece oggi sono ridotte per lo più a mere occasioni consumistiche e commerciali, spesso sfruttate, quando è possibile, per concedersi “ponti” o vacanze varie approfittando della chiusura di scuole e uffici.
Rientrano a pieno titolo in questo discorso anche il Carnevale e la Quaresima.
Il primo, per quel che ne rimane, a parte il folclore, la bellezza dei costumi e lo sfarzo dei festeggiamenti che caratterizza i principali Carnevali a livello internazionale, tra cui primeggiano senz’altro quelli italiani (si pensi al Carnevale di Venezia, di Viareggio o di Ivrea), è oggi essenzialmente un periodo di bagordi e festicciole, senza particolare significato se non quello di “divertirsi” (magari con droga ed alcool a fiumi) e di assistere a qualche gradevole spettacolo ed alle consuete sfilate in maschera per la gioia soprattutto dei bambini, ma nulla più. Del secondo, ormai, la maggior parte delle persone (eccezion fatta per i cattolici più tradizionalisti) ricorda a malapena l’esistenza, ignorandone comunque il valore intrinseco.
In origine, però, si trattava di due periodi che rivestivano un profondo significato spirituale per la tradizione cristiana, e che già nelle civiltà pre-cristiane avevano assunto un’altrettanto importante valenza simbolica e sacra, su cui si tornerà più avanti.

Di tutto ciò rimane oggi soltanto qualche traccia in alcune usanze, mantenute e praticate soprattutto nei comuni più piccoli, in provincia e nelle realtà rurali, in virtù di inconsci retaggi ancestrali.
La Quaresima (dal latino quadragesima dies, quarantesimo giorno) è per antonomasia uno dei tempi forti che la Chiesa cattolica ed altre chiese cristiane celebrano lungo l’anno liturgico. È il periodo di quaranta giorni (in ricordo dei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico [1]) che precede la celebrazione della Pasqua; tempo favorevole (2 Cor 6,2) per la conversione, caratterizzato da un più attento e prolungato ascolto della Parola di Dio, dovrebbe essere finalizzato ad un profondo rinnovamento spirituale in preparazione della celebrazione della morte e resurrezione del Cristo.
La celebrazione della Pasqua nei primi tre secoli della vita della Chiesa non prevedeva in realtà un periodo di preparazione. La comunità cristiana viveva infatti così intensamente il proprio impegno, fino alla testimonianza del martirio, da non sentire la necessità di un periodo di tempo per rinnovare la conversione già avvenuta col Battesimo.
Ancora nel IV secolo, l’unica settimana di digiuno era quella che precedeva la Pasqua.
E’ dalla prassi penitenziale sviluppatasi dal V secolo che deriva l’attuale lunghezza del periodo quaresimale. L’uso di iscrivere i peccatori alla penitenza pubblica quaranta giorni prima di Pasqua, determinò infatti la formazione di una quadragesima (quaresima) che cadeva nella VI Domenica prima di Pasqua. Dal momento, poi, che la Domenica non si celebravano riti penitenziali, si fissò questo atto al Mercoledì precedente: ogni Mercoledì era, infatti, giorno di digiuno. Nacque così il Mercoledì delle Ceneri, cosiddetto proprio perché in quel giorno venivano imposte le ceneri ai penitenti; il cammino di riconciliazione prevedeva anche l’utilizzo di un abito di sacco in segno della propria contrizione e del proprio impegno ascetico.
Coloro che desideravano essere riconciliati con Dio e con la Chiesa iniziavano pertanto il loro cammino di preparazione nella prima di queste Domeniche, che come detto verrà più tardi anticipata al Mercoledì immediatamente precedente (Mercoledì delle Ceneri), e lo concludevano la mattina del Giovedì santo, giorno in cui ottenevano la riconciliazione.
Verso la fine del V secolo, anche il periodo dal Mercoledì al Venerdì precedenti la Quaresima vera e propria vennero considerati come parte integrante di essa2.
A partire da questa fase cominciano a delinearsi anche le antiche tappe del catecumenato, che preparava al battesimo pasquale nella solenne veglia del Sabato Santo; infatti questo tempo battesimale si integrava con il tempo di preparazione dei penitenti alla riconciliazione del Giovedì santo.
Gradualmente anche i semplici fedeli – ovvero quanti non erano catecumeni né pubblici penitenti – vennero associati a questo intenso cammino di ascesi e di penitenza per poter giungere alle celebrazioni pasquali con l’animo disposto ad una più autentica partecipazione, fino a giungere all’attuale configurazione del periodo quaresimale.
Alla luce di quanto osservato, si può sottolineare come Battesimo e Penitenza siano i due misteri propri della Quaresima, che si presenta dunque come il tempo della grande convocazione di tutta la Chiesa perché si lasci purificare da Cristo suo sposo.
Di qui la fisionomia caratteristica delle domeniche di Quaresima, che rappresentano: la I, il digiuno e la tentazione di Gesù; la II, la trasfigurazione sul Tabor; la III, la IV e la V, i temi battesimali del Cristo acqua viva (racconto della Samaritana), luce (guarigione del cieco nato) e resurrezione (Lazzaro). Le ultime due settimane restano rivolte particolarmente alla contemplazione della Passione di Cristo.
Dal VI secolo, infine, anche la settimana che precede la prima Domenica di Quaresima fu dedicata alla celebrazione pasquale. La Domenica con cui ha inizio questa settimana è la Quinquagesima, perché è il cinquantesimo giorno prima di Pasqua. Tra il VI e il VII secolo si costituì un ulteriore prolungamento con altre due Domeniche (Sessagesima e Settuagesima).
Le opere della penitenza quaresimale dovrebbero consistere, oltre che in una preghiera più intensa ed assidua, nel digiuno ecclesiastico (che segna la partecipazione del corpo nel cammino di conversione e rinnovamento spirituale; attualmente è limitato al Mercoledì delle ceneri e al Venerdì santo) e nell’astinenza dalle carni (magro) il venerdì (si trattava in origine di un segno di povertà, essendo nell’antichità il pesce più economico che la carne: dovrebbe simboleggiare l’abbandono del lusso per vivere una vita più essenziale).
Nell’occidente cristiano la Quaresima è tradizionalmente preceduta dalla celebrazione del Carnevale, parola che deriva dal latino carnem levare, “eliminare la carne”, poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima stessa.
Il periodo di festeggiamenti del Carnevale non è disciplinato dalla liturgia ufficiale, ma s’inserisce formalmente nel calendario festivo cristiano occupando lo spazio immediatamente precedente la Quaresima, a partire da una data variabile secondo le tradizioni locali (il Natale, l’Epifania3, la festa di S. Antonio del 17 gennaio, la Candelora del 2 febbraio). Suo termine ultimo è, nel rito romano, il Martedì grasso (salvo in alcuni contesti locali dove è prevista un’appendice nel primo periodo quaresimale), giorno che precede simbolicamente proprio il Mercoledì delle Ceneri e l’inizio della Quaresima. Nel rito ambrosiano invece ha termine il sabato precedente la 1° domenica di Quaresima. Le cd. Sante Quarantore (o Carnevale sacro) si concludono la sera dell’ultima domenica di carnevale.
Periodo di “gioia sfrenata”, il Carnevale si oppone alla Quaresima, periodo di “penitenza disciplinata”. E il confronto può continuare con la Pasqua, mettendo in antitesi la settimana grassa (dal giovedì grasso fino al martedì grasso) con la settimana santa (dalla Domenica delle Palme sino al Sabato Santo, seguita poi dalla Domenica pasquale di resurrezione e dal Lunedì dell’Angelo), e sottolineando anche l’aspetto della “contraffazione” della passione di Cristo (incoronato di spine e deriso come re dei Giudei) mediante la passione di un “re per burla”, che in molte tradizioni locali viene ucciso in effigie alla fine del Carnevale: infatti un folto gruppo di celebrazioni folcloristiche di questo periodo è imperniato sull’idea centrale della morte e sepoltura del Carnevale e sulla morte in sé stessa, ed il concetto del trapasso dal tripudio della vita alla fredda solitudine della morte diventa particolarmente icastica. Ad esempio, nelle celebrazioni che si tengono a Lerida, in Spagna, per tre giorni il personaggio che impersona il Carnevale domina da signore sulla folla tripudiante, ma l’ultimo giorno il carro del trionfo si muta in un tetro carro funebre, su cui giace il cadavere del Carnevale. Queste tradizioni sono ancora vive in Italia, nel Lazio ed in Abruzzo; all’estero in Spagna, Francia (Provenza e Normandia), Boemia, Moravia, ecc.
I riti carnevaleschi propongono dunque un modo di comportamento incentrato sulla parodia, per contestare apparentemente i valori che informano una certa cultura, allo scopo di rilevare come il comportamento regolare sia all’opposto proprio quello fondato su quegli stessi valori. Ciò spiega come il Carnevale sia una rottura dell’ufficialità, con l’uso delle maschere, con le sue “contraffazioni”, che sono contestazioni buffonesche, e quindi vuote di senso, di quei valori che invece danno un senso alla cristianità.
Spesso poi i cerimoniali carnevaleschi si sono nel tempo arricchiti di elementi tratti da altre tradizioni, usati comunque nella stessa funzione presso le culture originarie: si pensi al famoso carnevale di Rio de Janeiro, divenuto ormai essenzialmente un’attrazione turistica, in cui alle tradizioni europee si sono aggiunte quelle africane.
Come detto, tanto il Carnevale quanto la Quaresima, come d’altronde tutti gli altri periodi particolari o le festività cristiane dell’anno (si pensi tra tutti al Natale) trovano interessanti riscontri in tradizioni pre-cristiane europee, le cui usanze ancora oggi persistono (sebbene, come si accennava, più che altro a livello di meri retaggi inconsapevoli), ad ulteriore dimostrazione dell’esistenza di determinati momenti e fasi dell’anno solare la cui valenza sacra, spirituale e simbolica è sempre stata riconosciuta dai popoli indoeuropei, a prescindere dalle epoche e dalle civiltà che si sono succedute nel tempo. Ciò è un altro elemento di prova che consente di richiamare ad un’unità trascendente tutte le tradizioni e le religioni regolari manifestatesi nella storia entro determinati ambiti spazio-temporali.
Le celebrazioni della Quaresima e della Pasqua cristiana, in primo luogo, possono trovare un riscontro nei lontani riti indoeuropei della morte e resurrezione delle divinità, propri alle culture dei popoli agricoli: si tratta delle feste del fuoco. Si tengono ancora oggi rituali molto simili, in corrispondenza del periodo quaresimale, laddove dal periodo in cui la terra sembra morta, nel riposo invernale, si passa ai primi tepori della primavera, durante i quali si assiste alla rinascita progressiva della natura. Il fuoco che si sprigiona dagli sterpi del falò e talora anche da un pupazzo di legno è un rivivificato ricordo del fuoco, il cui rituale anticamente doveva fugare ogni malanno dalle sementi nascoste sotto terra e propiziare raccolti abbondanti. Le celebrazioni cadono in particolare nella prima domenica di Quaresima o alla vigilia di Pasqua. L’usanza è tuttora diffusa fra molti popoli europei (Francia, Germania, Austria, Svizzera, Lussemburgo, Slesia, ecc.) con grande varietà di manifestazioni, ma sempre con assoluta aderenza al significato fondamentale4.
Anche i caratteri della celebrazione carnevalesca trovano precedenti significativi in altre festività pre-cristiane, in particolare nelle dionisiache greche e nei saturnali romani, che com’è noto erano espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza. Il senso di questa funzione ci è dato dalla comparazione con altre culture, nelle quali sono ugualmente rinvenibili riti di questo tipo (sia nel mondo antico europeo ed extraeuropeo, sia tra i primitivi contemporanei): si trattava di un disordine rituale temporaneo in vista di una solenne restaurazione ed esaltazione (per contrasto col rovesciamento precedente) dell’ordine permanente, assoluto ed immutabile perché di derivazione trascendente.
Alla luce di quanto osservato, è dunque piuttosto intuitivo dedurre che il significato simbolico tradizionale dell’antitesi tra il periodo del Carnevale (con tutte le sue appendici anticipatorie, a livello di manifestazioni folcloristiche e comportamentali, già nel periodo natalizio e nell’epifania: scambio dei doni, atmosfera ludica, senso di temporanea “smobilitazione” e quasi di sospensione del tempo, in vista della catartica rigenerazione col nuovo anno) ed il periodo della Quaresima, in linea con l’antitesi presente nel mondo antico tra il periodo delle dionisiache e dei saturnali rispetto al successivo ripristino dell’ordine, è più in generale da ricollegare all’antitesi distruzione-rigenerazione (rintracciabile a sua volta nella dualità tra morte e resurrezione del Cristo, punto di approdo finale della tensione spirituale quaresimale), che si esprime nel mito dell’eterno ritorno e dei cicli cosmici4.
Note 

1 Nella determinazione di tale durata ebbe grande peso anche il significato simbolico del numero quaranta, che ricorre nell’Antico e nel Nuovo Testamento molte volte. Nell’Antico Testamento si ricordano i quaranta giorni del diluvio universale (Genesi 7,4.12.17;8,6), i quaranta giorni passati da Mosè sul monte Sinai (Esodo 24,18; Deuteronomio 9,9.11.18.25;10,10), i quaranta anni trascorsi da Israele nel deserto (Deuteronomio 2,7: è il tempo della prova a cui YHWH sottopone il popolo di Israele, tempo di purificazione, tempo in cui rinasce una nuova generazione fedele a Dio), i quaranta giorni che impiegarono gli esploratori ebrei per esplorare la terra in cui sarebbero entrati (Numeri 13,25), i quaranta giorni camminati dal profeta Elia per giungere al monte Oreb (1Re 19,8), i quaranta giorni di tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla (Giona 3,4). Nel Nuovo Testamento si possono invece citare, oltre appunto ai quaranta giorni che Gesù passò nel deserto (Matteo 4,2; Marco 1,13; Luca 4,2,), i quaranta giorni in cui Gesù ammaestrò i suoi discepoli tra la resurrezione e l’Ascensione (Atti 1,3). Un altro riferimento significativo sono i quaranta anni trascorsi da Israele nel deserto (Deuteronomio 2,7): è il tempo della prova a cui YHWH sottopone il popolo di Israele, tempo di purificazione, tempo in cui rinasce una nuova generazione fedele a Dio.
2 Si dice abitualmente che la durata della Quaresima è di 40 giorni; in realtà il calcolo esatto arriva (nel rito romano) a 44 giorni. Alla fine del IV secolo, e ancora oggi nel rito ambrosiano, la Quaresima iniziava di domenica (un giorno), durava cinque settimane complete (5×7=35 giorni) e si concludeva il giovedì della settimana santa (altri 4 giorni), per un totale di 40 giorni esatti. Poi alla fine del V secolo l’inizio venne anticipato al mercoledì precedente la prima domenica (altri 4 giorni), e furono inclusi il Venerdì Santo e il Sabato Santo nel computo della Quaresima: in tutto 46 giorni. Ciò era dovuto all’esigenza di computare esattamente 40 giorni di digiuno ecclesiastico prima della Pasqua, dato che nelle 6 domeniche di Quaresima non era (e non è) consentito digiunare. Con la riforma del Concilio Vaticano II il Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo ha riacquistato una sua autonomia liturgica, e il tempo di Quaresima termina nel rito romano con l’Ora Nona del Giovedì Santo. Per questo oggi la quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri fino al giovedì santo, per un totale di 44 giorni; i giorni di penitenza prima della Pasqua restano però ancora 40.
3 Non a caso la festa dell’Epifania è salutata in vari paesi da manifestazioni di interesse folcloristico, quali accensioni di falò, elezioni di re per burla, ecc., che, come approfondito nel testo, si ritrovano per l’appunto nei riti carnevaleschi e che sono un retaggio dei saturnali romani e delle antiche feste del fuoco di matrice indoeuropea. I rituali dell’accensione del fuoco nel periodo dell’attuale Pasqua sono un ulteriore elemento significativo.
4 In tal senso si può notare con interesse che anche nella data della Pasqua, calcolata in base alle fasi lunari e non certo arbitrariamente, “già molto prima del cristianesimo, presso molti popoli, si celebrava il rito dell’ “accensione del fuoco”: elemento di cui si è già vista la relazione con molte tradizioni di tipo ‘solare’ ”. Inoltre, sempre prevalentemente nel giorno della Pasqua o della Pentecoste si svolgeva, in epoca medievale, il rito dell’ordinazione cavalleresca, rimandando all’idea di una “resurrezione” o “discesa dello Spirito”. Cfr. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, p, 129, e nota 17.
4La volontà di rigenerazione si è espressa nel mito dell’eterno ritor­no, presente in quasi tutte le tradizioni, che narra della distruzione pe­riodica dell’universo e dell’umanità cui seguirà un nuovo universo e una nuova umanità. Questo ciclo potrebbe essere paragonato a un Grande Anno rispecchiato e simboleggiato da quello solare. Come il Grande Anno comincia con una creazione, continua con un’esistenza che è la storia del suo progressivo degenerare e si conclude con un ritorno al caos, così l’anno solare nasce e si sviluppa nel corso dei mesi impoverendosi giorno dopo giorno fino alla sua morte nel caos, in un generale rimescolamento: per poi nascere nuovamente. Nei periodi di passaggio da un anno all’altro, si sono sempre svolti riti e cerimonie di purificazione e di espulsione di demoni con lo scopo di sopprimere il passato con i suoi drammi, mali e peccati. E per mimare il caos della fine, la fusione di tutte le forme nella vasta unità indifferenziata, si manifestano comportamenti orgiastici e intermezzi carnascialeschi fino al rovesciamento dell’ordine normale ”: Brano estrapolato da I doni natalizi, la tombola e le strenne, tratto a sua volta da Lunario di Alfredo Cattabiani, originariamente ripubblicato su http://www.poco.it/dblog/articolo.asp?articolo=370 .

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