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giovedì 14 novembre 2013

PAPA FRANCESCO AI RELIGIOSI


L’attenzione che il nostro Papa Francesco sta riscuotendo ad ogni livello ci stimola a meditare quanto, in questi primi mesi di pontificato, ha già potuto comunicare ai religiosi. Proviamo ad offrire una carrellata di interventi che, riteniamo, possono risultare comunque interessanti per tutti

6 luglio, INCONTRO CON I SEMINARISTI
Il 6 luglio, nell’Aula Paolo VI, Papa Francesco ha incontrato 6.000 seminaristi, novizi e novizie e giovani in cammino vocazionale, che hanno celebrato una vera festa in occasione dell’Anno della Fede. Fra sentite testimonianze, musica, e una atmosfera gioiosa, i giovani hanno atteso l’arrivo del Santo Padre che è stato accolto da uno scroscio di applausi.
Cultura del provvisorio
“Voi adesso applaudite, fate festa, perché è tempo di nozze… Ma quando finisce la luna di miele, che cosa succede? (…) Tutti noi, anche noi più vecchi,  siamo sotto la pressione di questa cultura del provvisorio; e questo è pericoloso, perché uno non gioca la vita una volta per sempre. Io mi sposo fino a che dura l’amore; io mi faccio suora, ma per  ‘un po’ di tempo’, e poi vedrò; io mi faccio seminarista per farmi prete, ma non so come finirà la storia. Questo non va con Gesù! (…) Una scelta definitiva oggi è molto difficile. Ai miei tempi era più facile, perché la cultura favoriva una scelta definitiva sia per la vita matrimoniale, sia per la vita consacrata o la vita sacerdotale. Ma in questa epoca non è facile una scelta definitiva. Noi siamo vittime di questa cultura del provvisorio”.
La gioia
Il Santo Padre ha poi ricordato ai presenti che: “Sempre, dove sono i consacrati, i seminaristi, le religiose e i religiosi, i giovani, c’è gioia. (…) Ma dove nasce la gioia? – si è chiesto il Papa –(…) Alcuni diranno: la gioia nasce dalle cose che si hanno, e allora ecco la ricerca dell’ultimo modello di smartphone, lo scooter più veloce, l’auto che si fa notare…a me fa male quando vedo un prete o una suora con la macchina ultimo modello. (…) Io credo che la macchina sia necessaria, (…) ma prendetene una più umile! E se ti piace quella bella, pensate a quanti bambini muoiono di fame”.
“La vera gioia – ha proseguito il Pontefice – non viene dalle cose, dall’avere, no! Nasce dall’incontro, dalla relazione con gli altri, nasce dal sentirsi accettati, compresi, amati e dall’accettare, dal comprendere e dall’amare; e questo non per l’interesse di un momento, ma perché l’altro, l’altra è una persona. La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! È il sentirsi dire: ‘Tu sei importante per me’, non necessariamente a parole. Questo è bello… Ed è proprio questo che Dio ci fa capire”
La tristezza
“E la gioia, quella vera, è contagiosa; contagia… fa andare avanti. Invece, quando tu ti trovi con un seminarista troppo serio, troppo triste, o con una novizia così, tu pensi: ma qualcosa qui non va! Manca la gioia del Signore (…). Non c’è santità nella tristezza, non c’è! Santa Teresa (…) diceva: ‘Un santo triste è un triste santo!’ E’ poca cosa. (…) Ma per favore: mai suore, mai preti con la faccia di ‘peperoncino in aceto’, mai!”
A volte alla base della insoddisfazione ci sono problemi psichiatrici, ma la radice della tristezza – ha ribadito Papa Francesco – è nel “problema di celibato. Vi spiego. Voi, seminaristi, suore, consacrate il vostro amore a Gesù, un amore grande; il cuore è per Gesù, e questo ci porta a fare il voto di castità, il voto di celibato. Ma il voto di castità e il voto di celibato non finisce nel momento del voto, va avanti… Una strada che matura verso la paternità pastorale, verso la maternità pastorale, e quando un prete non è padre della sua comunità, quando una suora non è madre di tutti quelli con i quali lavora, diventa triste. Questo è il problema. Per questo io dico a voi: la radice della tristezza nella vita pastorale sta proprio nella mancanza di paternità e maternità che viene dal vivere male questa consacrazione, che invece ci deve portare alla fecondità. Non si può pensare un prete o una suora che non siano fecondi(…).
La coerenza
 “Per essere testimoni gioiosi del Vangelo – ha proseguito il Pontefice – bisogna essere autentici, coerenti. E questa è un’altra parola che voglio dirvi: autenticità. Gesù bastonava tanto contro gli ipocriti: ipocriti, quelli che pensano di sotto; quelli che hanno – per dirlo chiaramente – doppia faccia. (…) Questa è una responsabilità prima di tutto degli adulti, dei formatori. È di voi formatori che siete qui: dare un esempio di coerenza ai più giovani. Vogliamo giovani coerenti? Siamo noi coerenti! Al contrario, il Signore ci dirà quello che diceva dei farisei al popolo di Dio: ‘Fate quello che dicono, ma non quello che fanno!’. Coerenza e autenticità!”. Io dico sempre quello che affermava san Francesco d’Assisi: “Annunciate il Vangelo sempre. E, se fosse necessario, con le parole”. Cosa vuol dire questo? Annunziare il Vangelo con l’autenticità di vita, con la coerenza di vita. Ma in questo mondo a cui le ricchezze fanno tanto male, è necessario che noi preti, che noi suore, che tutti noi, siamo coerenti con la nostra povertà! Ma quando tu trovi che il primo interesse di una istituzione educativa o parrocchiale o qualsiasi è il denaro, questo non fa bene. Non fa bene! E’ una incoerenza! Dobbiamo essere coerenti, autentici. Per questa strada, facciamo quello che dice san Francesco: predichiamo il Vangelo con l’esempio, poi con le parole! Ma prima di tutto è nella nostra vita che gli altri devono poter leggere il Vangelo! Anche qui senza timore, con i nostri difetti che cerchiamo di correggere, con i nostri limiti che il Signore conosce, ma anche con la nostra generosità nel lasciare che Lui agisca in noi. I difetti, i limiti e - io aggiungo un po’ di più - con i peccati. (… )
Il Santo Padre ha esortato i giovani “a dire sempre la verità al confessore (…). Dire la verità, senza nascondere, senza mezze parole, perché stai parlando con Gesù nella persona del confessore. E Gesù sa la verità. Soltanto lui ti perdona sempre!”.
La formazione e la fraternità
Papa Francesco non ha mancato di sottolineare che nella formazione alla vita religiosa ci sono quattro pilastri fondamentali, vita spirituale, vita intellettuale, vita apostolica e vita comunitaria (con “relazioni di amicizia e di fraternità che fanno parte integrante di questa formazione”). E qui il Santo Padre ha individuato il problema che nasce nella vita comunitaria: le chiacchiere. “Dietro le chiacchiere, sotto le chiacchiere ci sono le invidie, le gelosie, le ambizioni”. Non parlare mai male degli altri. “Questa è una bella, una bella strada alla santità!” ha ribadito Papa Francesco ed ha raccomandato l’importanza di “un’amicizia e una fraternità che mi aiuti a non cadere né nell’isolamento né nella dissipazione. (…) Un sacerdote, un religioso, una religiosa non può mai essere un’isola, ma una persona sempre disponibile all’incontro”.
La missionarietà e la lamentela
“Io vorrei una Chiesa più missionaria, non tanto tranquilla. – ha detto ancora il Santo Padre – Non imparate da noi, da noi, che non siamo più giovanissimi; non imparate da noi quello sport che noi, i vecchi, abbiamo spesso: lo sport del lamento! Non imparate da noi il culto della ‘dea lamentela’. (…) Ma siate positivi, coltivate la vita spirituale e, nello stesso tempo, andate, siate capaci di incontrare le persone, specialmente quelle più disprezzate e svantaggiate. Non abbiate paura di uscire e andare controcorrente. Siate contemplativi e missionari. Tenete sempre la Madonna con voi, pregate il Rosario, per favore… Non lasciatelo! Tenete sempre la Madonna con voi nella vostra casa, come la teneva l’Apostolo Giovanni. Lei sempre vi accompagni e vi protegga. E pregate anche per me, perché anche io ho bisogno di preghiere, perché sono un povero peccatore, però andiamo avanti”.


27 luglio, GMG di Rio (Brasile)
Nella Cattedrale di San Sebastiano di Rio, il Papa ha celebrato l’Eucaristia con i vescovi e i religiosi partecipanti alla GMG.
In questa occasione il Papa ha voluto riflettere su tre aspetti della vocazione sacerdotale e religiosa: “chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro”.
Dobbiamo  «chiedere la grazia di essere persone che conservano la memoria di questa prima chiamata», ha detto in una cattedrale strapiena di vescovi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose che hanno accompagnato i ragazzi dei rispettivi Paesi all’appuntamento della Gmg. « Non è la creatività», ha continuato il Papa, «per quanto pastorale sia, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù, che ci dice con insistenza: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4) ».
In quanto chiamati ad annunciare il Vangelo ha invitato i presenti ad aiutare i giovani avendo la pazienza di ascoltarli in profondità «nel confessionale, nella direzione spirituale, nell’accompagnamento. Sappiamo perdere tempo con loro» seminando (cosa che costa e affatica moltissimo) senza pretendere di godere del raccolto. «Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani» aiutando «i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la gioia di essere amati personalmente da Dio», educandoli ad uscire come inviati perchè «non possiamo restare chiusi nella parrocchia … quando tante persone sono in attesa del Vangelo».
Infine in quanto chiamati a promuovere la cultura dell’incontro ha ricordato come in troppi ambienti «si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo. (…) Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà - una parola che si sta nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana».

28 agosto, alla Basilica di Sant’Agostino in campo Marzio (Roma) celebrando la S.Messa per l’inizio del capitolo generale degli AGOSTINIANI
Il 28 agosto 2013 Papa Francesco ha celebrato la Messa per l'apertura del Capitolo Generale degli Agostiniani, proponendo loro un'ampia riflessione sul tema dell’inquietudine.
« Ci sono certamente inquietudini che non fanno bene, ma quali inquietudini invece sant'Agostino c'invita ad accogliere e coltivare? «Ne propongo tre - ha risposto il Papa -:l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore».
La prima: l’inquietudine della ricerca spirituale. «Agostino - ricorda il Pontefice - vive un’esperienza abbastanza comune al giorno d’oggi: viene educato dalla mamma Monica nella fede cristiana, anche se non riceve il Battesimo, ma crescendo se ne allontana, non trova in essa la risposta alle sue domande, ai desideri del suo cuore, e viene attirato da altre proposte». S'interessa al manicheismo, ma si dà anche al «divertimento spensierato», agli spettacoli, alle donne, alla carriera della corte imperiale. «Agostino è un uomo “arrivato”, ha tutto, ma nel suo cuore rimane l’inquietudine della ricerca del senso profondo della vita».
Agostino ha almeno il merito di rimanere inquieto. «Certo commette errori, prende anche vie sbagliate, pecca, è un peccatore; ma non perde l’inquietudine della ricerca spirituale. E in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo». In questo c'è una grande lezione per noi, una lezione attualissima. «Vorrei dire - ha esclamato Papa Francesco -  a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano dalla Chiesa o l’ha abbandonata, anche a noi, con le nostre “lontananze” e i nostri “abbandoni” verso la Chiesa: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi?».
Ecco dunque la seconda inquietudine: quella della ricerca di Dio. «In Agostino è proprio questa inquietudine del cuore che lo porta all’incontro personale con Cristo, lo porta a capire che quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano, il Dio vicino al nostro cuore, più intimo a noi di noi stessi». È però importante, ha aggiunto il Papa, riflettere sul fatto che dopo avere trovato Dio «Agostino non si ferma, non si adagia, non si chiude in se stesso come chi è già arrivato, ma continua il cammino. L’inquietudine della ricerca della verità, della ricerca di Dio, diventa l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri». È un tema tipico del Magistero di Francesco, ma il Pontefice lo ritrova già in Agostino, che «si lascia inquietare da Dio, non si stanca di annunciarlo, di evangelizzare con coraggio». Avrebbe preferito una vita di studio: la Chiesa lo chiama invece a diventare vescovo in una situazione difficilissima, mentre infuria la guerra. «Il tesoro di Agostino è proprio questo atteggiamento: uscire sempre verso Dio, uscire sempre verso il gregge… non “privatizzare” l’amore… sempre in cammino! Sempre inquieto!».
C'è, afferma il Papa, una vera «pace dell’inquietudine». «Possiamo domandarci: sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi? Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri?». 
Infine, l'ultima inquietudine: l’inquietudine dell’amore. Il Papa, che aveva confidato di essere un grande devoto di santa Monica, è tornato sulla figura della madre di sant'Agostino. «Quante lacrime ha versato quella santa donna per la conversione del figlio! E quante mamme anche oggi versano lacrime perché i propri figli tornino a Cristo e alla Chiesa! Non perdete la speranza nella grazia di Dio!». A Monica un vescovo disse: «Non è possibile che un figlio di tante lacrime perisca». «Donna inquieta, questa donna! - commenta Francesco -. E Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine. Ecco, allora, l’inquietudine dell’amore: cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime». Lacrime che ricordano quelle di Maria, di Gesù per l'amico morto Lazzaro, di Pietro dopo il tradimento.
E noi? «Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? Non in modo astratto, non solo le parole»! Troppo spesso forse «rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità-comodità». Parlando a religiosi, il Pontefice ha fatto cenno «ai consacrati che non sono fecondi, che sono “zitelloni”», un'espressione simile a quella che aveva usato tempo fa per le suore.  Chiediamo dunque a Dio, ha concluso Francesco, che ci dia la grazia dell'inquietudine, che «conservi nel nostro cuore l’inquietudine spirituale di ricercarlo sempre, l’inquietudine di annunciarlo con coraggio, l’inquietudine dell’amore».

10 settembre, visita al Centro Astalli per i rifugiati (Roma)
«Per tutta la Chiesa è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli “specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali. In particolare - e questo è importante e lo dico dal cuore - vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire. Superare la tentazione della mondanità spirituale per essere vicini alle persone semplici e soprattutto agli ultimi. Abbiamo bisogno di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto! ».

4 ottobre, ASSISI
Nella Cattedrale di San Rufino, il Papa ha incontrato il clero e i religiosi della comunità diocesana.
A loro ha ricordato che «la Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l’attrazione della testimonianza che ognuno di noi da al Popolo di Dio». Ha poi preso in esame diversi aspetti della vita di comunità:
«La prima cosa- ha detto- è ascoltare la Parola di Dio. E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa dalla nostra; è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità…
Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore, non ha ascoltato, nel silenzio, la Parola di Dio? Via queste omelie interminabili, noiose, delle quali non si capisce niente».
Il secondo aspetto che ha analizzato è quello del camminare. «Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo che cammina insieme.
Qui penso ancora a voi preti…Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? Quando io penso a questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, che andavano a trovarli; anche come uno mi diceva: “Io conosco il nome del cane di ogni famiglia”, anche il nome del cane, conoscevano! Che bello che era! ».
Bisogna  «camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi».
«Ma la cosa più importante- ha proseguito-  è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando».
Agli sposi ha ricordato: «Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!… E mentre si cammina si parla, ci si conosce, ci si racconta gli uni agli altri, si cresce nell’essere famiglia».
Il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino alle periferie. Ha così ribadito «l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale»..

«Ecco, cari amici, - ha concluso- non vi ho dato ricette nuove. Non le ho, e non credete a chi dice di averle: non ci sono. Ma ho trovato nel cammino della vostra Chiesa aspetti belli e importanti che vanno fatti crescere e voglio confermarvi in essi. Ascoltate la Parola, camminate insieme in fraternità, annunciate il Vangelo nelle periferie! Il Signore vi benedica, la Madonna vi protegga, e san Francesco vi aiuti tutti a vivere la gioia di essere discepoli del Signore! Grazie».

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