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mercoledì 4 dicembre 2013

Così il Vaticano II trasformò la liturgia

di Marco Roncalli e Matteo Liut, Avvenire, 4.12.13

I 50 anni della Sacrosanctum Concilium. Magnani: quel cammino che ha avvicinato la Chiesa alla gente

Approvata il 22 novembre 1963 e promulgata nella sessione pubblica del successivo 4 dicembre, esattamente cinquant’anni fa, la costituzione conciliare sulla Divina liturgia Sacro­sanctum Concilium è stata davvero la 'primizia' della grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo, cioè del Vaticano II. Questo infatti il testo che ha promosso la più importante riforma liturgica della storia della Chiesa e ha offerto le prime tessere al mosaico rinnovato dell’ecclesiologia cattolica, recependo nuove istanze e riscoprendo la ministerialità, invitando ad una visione della liturgia non come rito o cerimonia, ma realtà teologica del mistero di Cristo celebrato, da vivere con partecipazione attiva e non da spettatori. Non è un caso se proprio Sacrosanctum Concilium, che indubbiamente corrispondeva alle finalità pastorali e di aggiornamento auspicate da Giovanni XXIII – e oggi da leggersi insieme agli altri documenti conciliari nella prospettiva di una nuova alleanza fra la Chiesa e il mon­do contemporaneo – è stata, di fatto, l’unica costituzione passata dalla fase preparatoria a quella conciliare senza troppi problemi. Per la verità, quando, all’avvio delle assise, ci si decise a cominciare proprio con lo schema De Liturgia, non tutti erano d’accordo: perché non iniziare con testi da molti considerati maggiori? Mere ragioni organizzative? Un vasto prevedibile consenso -quasi a rompere il ghiaccio - prima del confronto su nodi più cruciali? O, piuttosto, come disse Paolo VI«il tema esaminato per primo», la liturgia, era «fra tutti in certo modo il più importante, vuoi per la sua natura, vuoi per la dignità che riveste nella Chiesa», o, ancora, per usare le parole di Benedetto XVI «cominciando con l’argomento della liturgia, si poneva inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la sua priorità assoluta?». 
Di certo se già dopo l’apertura delle assise lo schema preparatorio incontrò il favore dell’aula e il proemio e il primo capitolo della schema furono approvati subito dopo la discussione in quindici Congregazioni generali (tra il 22 ottobre e il 13 novembre 1962 nel primo periodo del Concilio), tutti gli altri lo furono nel secondo periodo, sino alla votazione completa finale del 22 novembre 1963: con 2158 Padri a favore e solo 19 contrari. Benché alcuni articoli fossero stati un po’ controversi (dalla concelebrazione all’uso della lingua volgare), pressoché tutti si riconobbero nel testo, e, a prevalere, alla fine, fu quella linea avviata nei cinquant’anni precedenti dal Movimento liturgico diffusosi attraverso il lavoro di alcuni cenobi (si pensi all’abbazia di Maria Laach) e pensatori (basti qui il nome di Romano Guardini), linea sostenuta in Concilio da vescovi soprattutto europei (Belgio, Francia, Germania, Italia ….) che l’avevano recepita, o comunque pienamente consapevoli che – come afferma Sacrosanctum Concilium – la liturgia è il culmine verso il quale l’azione della Chiesa tende e nello stesso tempo la fonte dalla quale deriva la sua forza: una meta dunque verso la quale i credenti orientano l’esistenza, e, al contempo, il serbatoio dell’ordinaria quotidianità. Certo, la storia iniziata serenamente cinquant’anni fa, avrebbe visto poco dopo problemi di comprensione intrecciati alle reazioni nelle successive applicazioni della riforma. Nel gennaio 1964, a poche settimane dalla promulgazione della costituzione, Paolo VI annunciò il nuovo organismo – composto da quarantadue vescovi e presieduto dal cardinale Giacomo Lercaro – incaricato di darne applicazione: il 'Consilium adex­sequendam Constitutionem de Sacra Liturgia '. La costituzione infatti si limitava a indicare norme generali per un’accurata riforma generale, mentre al Consilium sarebbe toccato intervenire sulla revisione dei testi liturgici, l’uso delle lingue nazionali (senza abbandonare completamente il latino), la comunione sotto le due specie e altri temi ancora. Un lavoro durato sino al 1970 quando il Consilium fu soppresso. Nel frattempo, fra difficoltà e critiche, il rinnovamento della liturgia «quasi come motore centrale» (così Paolo VI il 13 gennaio ’65) si era avviato e avrebbe dovuto originare il rinnovamento di tutta la Chiesa voluto dal Concilio che attende ancora piena realizzazione. Non è forse un caso se il rifiuto della riforma liturgica è poi diventato – vedi il caso Lefebvre – la bandiera di chi rigetta il Vaticano II

La firma della costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» il 4 dicembre 1963 fu l’ultimo atto di lungo percorso nato una cinquantina di anni prima. La storiografia, infatti, fa nascere ufficialmente nel 1909 in Belgio il movimento liturgico, all’interno del quale s’impegnarono diversi studiosi che poi avrebbero contribuito alla stesura del documento conciliare. Le esigenze espresse dal movimento, però, non restarono all’esterno delle mura vaticane: nel 1948, infatti, Pio XII aveva istituito presso la Congregazione dei Riti una commissione per una riforma generale della liturgia. In vista del Concilio Vaticano II, poi, il 5 gennaio 1960 tra le nove commissioni preparatorie fu istituita anche quella per la liturgia, presieduta dal cardinale Gaetano Cicognani, prefetto della Congregazione dei Riti. I 28 membri e 37 consultori della commis­sione si riunirono nel novembre 1960, nell’ottobre 1961 e nel gennaio 1962. Sullo schema preparatorio definitivo la discussione iniziò il 22 ottobre 1962: il lungo dibattito si concluse con la votazione del 22 novembre 1963. Il testo, di 130 paragrafi, ha sette capitoli: «Principi generali per la riforma e la promozione della sacra liturgia», «Il mistero eucaristico», «Gli altri sacramenti e sacramentali», «L’ufficio divino», «L’anno liturgico», «La musica sacra», «L’arte sacra e la sacra suppellettile».

Con la Sacrosanctum Concilium la Chiesa ha compiuto «un’uscita verso la gente – per usare il vocabolario di papa Francesco – avviando un percorso grazie al quale la liturgia è diventata sempre più pastorale». Monsignor Paolo Magnani, vescovo emerito di Treviso, ha vissuto in prima linea questo percorso, fin dal 1977, quando, chiamato a guidare la diocesi di Lodi, cominciò a lavorare per applicare la riforma conciliare.
Eccellenza, quale era l’obiettivo che si poneva la Sacrosanctum Concilium?
Rendere la liturgia più vicina al popolo, più vicina alla gente, visto che essa è «per gli uomini». Insomma, per usare un termine caro a papa Francesco, il Concilio con la liturgia ha fatto un’«uscita» verso il popolo, per renderlo più partecipe, e allo stesso tempo ha tolto alcuni aspetti più tipici della cultura barocca. Ha reso la liturgia più semplice e più bella. Penso che senza questa «uscita» verso il mondo non ci sarebbe stata nemmeno la «Gaudium et spes».
L’obiettivo può essere considerato raggiunto?
La costituzione conciliare è stata fatta, la riforma è stata fatta, ma c’è ancora un «fieri», un lavoro di promozione della liturgia nello spirito del Concilio dentro le diocesi, le parrocchie, nella sensibilità del popolo di Dio. Benedetto XVI, in uno dei suoi ultimi interventi, elogiando la liturgia conciliare, ha affermato che prima del Concilio esisteva una Messa ma due liturgie – quella del prete e quella del popolo –, mentre dopo il Concilio abbiamo una Messa e una liturgia. La Sacrosanctum Concilium ha rimesso al centro la liturgia come preghiera di Cristo cui la Chiesa è chiamata a partecipare. Questo è stato lo spirito delle indicazioni arrivate in seguito alla costituzione. Quando sono diventato vescovo nel 1977 i libri liturgici erano già stati pubblicati e spettava ai vescovi tradurli: per 26 anni da pastore mi sono occupato di questo. Un lungo lavoro che è stato raccolto nel mio ultimo libro «Liturgia al cuore della pastorale. Scritti liturgici» delle Edizioni Messaggero di Padova.
E da sacerdote come ha vissuto gli anni del Concilio?
Cinquant’anni fa insegnavo liturgia e ho vissuto quel periodo con un atteggiamento di grande speranza per l’aprirsi di un orizzonte che si allargava sempre di più: l’orizzonte di una Chiesa che cerca di andare verso la gente, di dialogare per non stare al chiuso. Per questo il discorso di una liturgia parlata mi ha sempre interessato.
A proposito del come la liturgia «parla»: dopo 50 anni come giudica la scelta di passare dal latino alle lingue volgari?
Per quanto riguarda il nostro Paese, penso che sulla lingua sia stato fatto un lavoro serio di studio e traduzione dal latino. Un lavoro importante che si è avvalso di pastoralisti e linguisti. Anche per quanto riguarda questa dimensione della liturgia sono convinto che in ogni caso non si debba mai cadere nella sciatteria e nella banalità.
Come rispondere a chi vede in quella conciliare una liturgia «minore» rispetto a quella preconciliare?
Farei notare che tra la liturgia preconciliare e quella conciliare c’è continuità di sostanza teologica, il Credo è sempre lo stesso, la fede è sempre la stessa. La liturgia preconciliare, però, aveva un «involucro» rubricistico più barocco, mentre oggi la liturgia si presenta più semplice e di una bellezza più «antropologica». La differenza, quindi, è in realtà di «cultura», o di rubriche, e non teologica o di ritualità.
Sulle devianze, però, anche i Pontefici hanno messo in guardia.
Certo, ma questo in realtà ha riguardato sempre anche la liturgia tridentina, che non è stata esente da deviazioni. Per questo è necessario non dimenticare mai il cuore della liturgia, che è la preghiera di Cristo cui si associa la Chiesa in una festosa ritualità. Il problema semmai è di tipo culturale e formativo.

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