Il Concilio ecumenico Vaticano II è
stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti
la vita della Chiesa cattolica.
Si
svolse dal 1962 al 1965, sotto i pontificati diGiovanni XXIII e Paolo VI. Promulgò quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e
nove Decreti.
La
costituzione Dei Verbum sulla
«divina rivelazione» ricollocò al centro della vita della Chiesa e dei
singoli cristiani la Bibbia, che dall'epoca del Concilio di Trento, a causa dellaRiforma protestante, era stata vincolata al testo latino e dunque di
fatto riservata al clero, in forma comunque limitata.
Tra
tutti i documenti conciliari, il più importante fu la costituzione
dogmatica Lumen Gentium, sulla Chiesa e la sua natura e organizzazione,
definita da Paolo VI la «magna charta» del Vaticano II.
La
costituzione Sacrosanctum Concilium, riguardante
la «Sacra liturgia» e le celebrazioni, pur non riguardante solo la
materia liturgica, ebbe un'amplissima eco, visto il principio fondante della
partecipazione dei fedeli e il conseguente riconoscimento delle lingue parlate
dal popolo come "adatte" per la celebrazione liturgica.
Con
la costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, i padri
conciliari posero l'attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire
un confronto con la cultura e con il mondo. Esso infatti, pur se
lontano spesso dalla morale cristiana, era pur sempre opera di Dio e quindi
luogo in cui Dio manifestava la sua presenza (e perciò fondamentalmente buono).
_________
LA TESTIMONIANZA DEL CARD. KASPER
(Da Quando la Chiesa si rimise in cammino, di
Walter Kasper, L’Osservatore Romano, 30.1.2012)
Quando il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annunciò il
concilio, la sorpresa fu enorme. Seguì un tempo mozzafiato, avvincente e
interessante quale i giovani teologi odierni non riescono più a immaginare. Noi
sperimentammo come la veneranda vecchia Chiesa mostrava una nuova vitalità,
come spalancava porte e finestre ed entrava in un dialogo al suo interno nonché
in dialogo con altre Chiese, altre religioni e con la cultura moderna. Era una
Chiesa che si rimetteva in cammino, una Chiesa che non ripudiava e non
rinnegava la sua antica tradizione, ma le rimaneva fedele, e che tuttavia
raschiava via incrostazioni e cercava così di rendere la tradizione nuova, viva
e feconda per il cammino verso il futuro. Sono sempre convinto che i sedici
principali documenti del concilio sono, nel loro complesso, la bussola per il
cammino della Chiesa nel XXI secolo.
Il
concilio Vaticano II è già stato spesso definito come il concilio della Chiesa
sopra la Chiesa. La Chiesa, che era in cammino sulle strade della storia da
duemila anni, prese nel corso di tale concilio più profondamente coscienza
della propria essenza, in virtù della quale era già fino ad allora vissuta e
aveva agito. Già nel discorso di apertura, tenuto l’11 ottobre 1962,
Giovanni XXIII disse che compito di tale concilio sarebbe stato quello di
conservare integralmente e senza falsificazioni il sacro patrimonio della
dottrina cristiana e di insegnarlo in modo efficace. (…)
Il
fascino e l’entusiasmo del concilio sono nel frattempo svaniti. È cominciato un
tempo fatto di sobria considerazione dei fatti, in parte anche di valutazione
critica degli eventi conciliari e soprattutto postconciliari. È succeduta una
nuova generazione, per la quale il concilio è un evento molto lontano e
appartenente a un altro tempo, a un tempo nel quale essa non era ancor nemmeno
nata e nei confronti del quale non ha alcun rapporto personale, come invece lo
aveva la mia generazione. A questa nuova generazione occorre spiegare
faticosamente quanto allora avvenne ed entusiasmarla nei suoi confronti. Per
questo ci vuole una solida ermeneutica del concilio. Non bisogna indubbiamente
fare del concilio un mito, nel quale ognuno proietta e trova i propri pii
desideri. Occorre piuttosto interpretare con accuratezza i testi conciliari
secondo le regole universalmente valide dell’ermeneutica teologica. Nel farlo
non bisogna separare il cosiddetto reale o presunto spirito del concilio dalla
lettera del concilio, ma occorre piuttosto desumere lo spirito del concilio
dalla sua storia e dai suoi testi. (…)
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Cinquant'anni dopo il Concilio
l'Unità,
15 luglio 2012
di ENZO BIANCHI
Cinquant’anni fa Giovanni XXIII annunciava il Concilio Vaticano II. Cinquant’anni sono un arco di tempo significativo per una lettura di quella «nuova pentecoste» che ha attraversato la Chiesa cattolica e il suo rapporto con le altre confessioni cristiane, con le altre religioni e il mondo contemporaneo.
I «padri conciliari» ancora vivi sono pochissimi e più nessuno esercita ancora un ministero pastorale (il teologo Joseph Ratzinger vi prese parte come «perito»), abbondano ormai studi e ricostruzioni storiche basate su archivi, diari e documenti di ogni tipo... Eppure la lettura non può essere «distaccata» perché le energie spirituali suscitate e i cambiamenti innestati dal Concilio sul tronco vivo e vitale della tradizione bimillenaria della Chiesa sono attualissimi ancora oggi, nonostante vi sia chi, anche nella Chiesa purtroppo, lavora contro quella che Giovanni Paolo II definì «la grazia più grande fatta da Dio alla Chiesa del XX secolo … l’evento ecclesiale più significativo e determinante».
Davvero il Concilio resta ancora da attuare pienamente: non si dimentichi che, ancora all’inizio del nuovo millennio il Papa aveva chiesto a tutte le Chiese locali di interrogarsi sulla ricezione del Concilio e di ritornare ai testi emanati dal Vaticano II, in modo da conoscerli e assimilarli. Del resto la storia ci insegna che eventi epocali come un’assise ecumenica necessitano di diversi decenni per divenire patrimonio condiviso da tutta la Chiesa e questa progressiva assimilazione non può essere accelerata semplicemente da mezzi di comunicazione più rapidi. Tuttavia chi ha vissuto con consapevolezza la Chiesa negli anni precedenti al Concilio può misurare il cambiamento, leggendo con relativa oggettività e soprattutto con uno spirito di ringraziamento il cammino già percorso. La vicenda cristiana è un «ricominciare» sempre, nella vita del singolo cristiano come nella vita della Chiesa: mutamento quindi non significa che il Vangelo cambia, ma - come osava dire il beato Giovanni XXIII - che siamo noi, la Chiesa, a comprenderlo sempre meglio. In questo senso appare sterile e artificiosa una polarizzazione tra «rottura» e «continuità»: la Chiesa non è tanto un’istituzione quanto il corpo di Cristo, un organismo vivente che conosce stagioni e che esige la «riforma», la quale sempre dovrebbe ricondurre gerarchia e popolo di Dio a una rinnovata fedeltà al Vangelo e al suo Signore. Se anche oggi vi è chi piange sulla situazione della Chiesa e scorge segni di disfacimento e di crisi, in realtà il fuoco ardente del Vangelo è ancora ben presente sotto la cenere: basta un fascio di legna secca, un bastone per scostare la cenere, un soffio e la fiamma torna a riaccendersi, a illuminare e scaldare.
Basterebbe pensare alla qualità della fede di molti cristiani quotidiani, alla consapevolezza della chiamata universale alla santità cristiana, alla presenza della parola di Dio al cuore delle comunità ecclesiali, alla capacità di dialogo che la Chiesa ha acquisito nei confronti delle altre confessioni e delle altre religioni... Non si tratta di fare una lettura apologetica degli anni post-conciliari: inadempienze al Vangelo e contraddizioni in diversi ambiti e su diversi temi sono ancora presenti, ma la strada imboccata con il Concilio per ora non è smentita, né dimenticata. Se volessimo evidenziare un aspetto che ancora attende piena realizzazione è che la Chiesa, scopertasi con il Vaticano II essenzialmente «comunione», lo diventi in profondità, fino a essere «casa comune» per tutti i cristiani e, di conseguenza, scuola di comunione anche per tutti gli uomini. La sinodalità deve trovare nuove vie per esprimersi; l’unità della chiesa deve inventare strade di maggior comunione e corresponsabilità tra vescovi, presbiteri e fedeli, pur nella differenza dei doni e dei ministeri; la ricerca della verità deve sempre più manifestarsi nella dolcezza della compagnia degli uomini. Forse proprio in questo campo il Concilio può essere una chiara bussola per orientare con rinnovato slancio il continuo cammino di ritorno della Chiesa al suo Signore.
di ENZO BIANCHI
Cinquant’anni fa Giovanni XXIII annunciava il Concilio Vaticano II. Cinquant’anni sono un arco di tempo significativo per una lettura di quella «nuova pentecoste» che ha attraversato la Chiesa cattolica e il suo rapporto con le altre confessioni cristiane, con le altre religioni e il mondo contemporaneo.
I «padri conciliari» ancora vivi sono pochissimi e più nessuno esercita ancora un ministero pastorale (il teologo Joseph Ratzinger vi prese parte come «perito»), abbondano ormai studi e ricostruzioni storiche basate su archivi, diari e documenti di ogni tipo... Eppure la lettura non può essere «distaccata» perché le energie spirituali suscitate e i cambiamenti innestati dal Concilio sul tronco vivo e vitale della tradizione bimillenaria della Chiesa sono attualissimi ancora oggi, nonostante vi sia chi, anche nella Chiesa purtroppo, lavora contro quella che Giovanni Paolo II definì «la grazia più grande fatta da Dio alla Chiesa del XX secolo … l’evento ecclesiale più significativo e determinante».
Davvero il Concilio resta ancora da attuare pienamente: non si dimentichi che, ancora all’inizio del nuovo millennio il Papa aveva chiesto a tutte le Chiese locali di interrogarsi sulla ricezione del Concilio e di ritornare ai testi emanati dal Vaticano II, in modo da conoscerli e assimilarli. Del resto la storia ci insegna che eventi epocali come un’assise ecumenica necessitano di diversi decenni per divenire patrimonio condiviso da tutta la Chiesa e questa progressiva assimilazione non può essere accelerata semplicemente da mezzi di comunicazione più rapidi. Tuttavia chi ha vissuto con consapevolezza la Chiesa negli anni precedenti al Concilio può misurare il cambiamento, leggendo con relativa oggettività e soprattutto con uno spirito di ringraziamento il cammino già percorso. La vicenda cristiana è un «ricominciare» sempre, nella vita del singolo cristiano come nella vita della Chiesa: mutamento quindi non significa che il Vangelo cambia, ma - come osava dire il beato Giovanni XXIII - che siamo noi, la Chiesa, a comprenderlo sempre meglio. In questo senso appare sterile e artificiosa una polarizzazione tra «rottura» e «continuità»: la Chiesa non è tanto un’istituzione quanto il corpo di Cristo, un organismo vivente che conosce stagioni e che esige la «riforma», la quale sempre dovrebbe ricondurre gerarchia e popolo di Dio a una rinnovata fedeltà al Vangelo e al suo Signore. Se anche oggi vi è chi piange sulla situazione della Chiesa e scorge segni di disfacimento e di crisi, in realtà il fuoco ardente del Vangelo è ancora ben presente sotto la cenere: basta un fascio di legna secca, un bastone per scostare la cenere, un soffio e la fiamma torna a riaccendersi, a illuminare e scaldare.
Basterebbe pensare alla qualità della fede di molti cristiani quotidiani, alla consapevolezza della chiamata universale alla santità cristiana, alla presenza della parola di Dio al cuore delle comunità ecclesiali, alla capacità di dialogo che la Chiesa ha acquisito nei confronti delle altre confessioni e delle altre religioni... Non si tratta di fare una lettura apologetica degli anni post-conciliari: inadempienze al Vangelo e contraddizioni in diversi ambiti e su diversi temi sono ancora presenti, ma la strada imboccata con il Concilio per ora non è smentita, né dimenticata. Se volessimo evidenziare un aspetto che ancora attende piena realizzazione è che la Chiesa, scopertasi con il Vaticano II essenzialmente «comunione», lo diventi in profondità, fino a essere «casa comune» per tutti i cristiani e, di conseguenza, scuola di comunione anche per tutti gli uomini. La sinodalità deve trovare nuove vie per esprimersi; l’unità della chiesa deve inventare strade di maggior comunione e corresponsabilità tra vescovi, presbiteri e fedeli, pur nella differenza dei doni e dei ministeri; la ricerca della verità deve sempre più manifestarsi nella dolcezza della compagnia degli uomini. Forse proprio in questo campo il Concilio può essere una chiara bussola per orientare con rinnovato slancio il continuo cammino di ritorno della Chiesa al suo Signore.
Dieci
errori da evitare riguardo al Vaticano II
Le indicazioni
del gesuita americano, teologo e storico del Concilio O'Malley
di Maria Teresa Pontara Pederivahttp://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/concilio-22128/
Li ha indicate come “Misdirections” (istruzioni fuorvianti) l’autore del fortunato testo dal titolo “Che cosa è successo nel Vaticano II” (Vita e Pensiero editrice 2010) – e sarebbero 10 errori da evitare quando ci si accinge ad un’analisi dei documenti e degli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
Docente al dipartimento di teologia alla Georgetown University, John W. O’Malley ha pubblicato le sue raccomandazioni su America, la rivista della Compagnia di Gesù statunitense.
Vediamo il suo elenco di sbagli:
1. Insistere sul fatto che il Vaticano II è stato solo un consiglio pastorale. Sbagliato per 2 motivi: in primo luogo, non tiene conto del fatto che il Concilio ha insegnato ad esempio la dottrina della collegialità episcopale, che non è cosa da poco. E’ stato sia un concilio pastorale che dottrinale e soprattutto ha insegnato uno stile diverso dai precedenti. In secondo luogo, perché il termine sembrerebbe relegarlo ad una seconda classe, dato che i metodi pastorali cambiano nel tempo.
2. Insistere che è stato un evento nella vita della Chiesa, non un evento in sé. Questa distinzione tiene banco in certi ambienti. Mi spiego con un esempio: ad un’insegnante è concesso un anno sabbatico in Francia. L'esperienza allarga la sua prospettiva. Lei torna a casa arricchita, e riprende la sua routine precedente. Il suo anno sabbatico è stato un evento. Ma supponiamo che, invece, le venga offerto un posto di preside in un istituto diverso dal proprio. Questo è un evento, una svolta significativa nella sua vita.
3. Bandire lo "spirito del Concilio". L’espressione è facilmente manipolabile: dobbiamo infatti ricordare che la distinzione tra lo spirito e la lettera appartiene alla tradizione cristiana. Dobbiamo pertanto essere restii a gettarlo nell'immondizia. Lo spirito, rettamente inteso, indica i temi e gli orientamenti che assegnano al Concilio una precisa identità, perché non si trovano in un unico documento, ma in tutti o quasi tutti. Così, lo "spirito del Concilio", ci permette di vedere il messaggio più grande e la direzione impressa alla Chiesa.
4. Studiare i documenti singolarmente, senza considerarli parte di un corpus integrale. Eppure questo è stato l'approccio standard per i suoi documenti. Naturalmente, per comprendere il corpo occorre prima capire i componenti. Quindi, lo studio dei singoli documenti è indispensabile e è il primo passo nella comprensione del corpus. Troppo spesso, tuttavia, anche i commentatori si sono fermati lì, senza andare ad indagare quanto un testo specifico abbia contribuito alla dinamica del Concilio nel suo complesso, vale a dire, al suo "spirito". Senza troppo sforzo è facile (e indispensabile) vedere la relazione, per esempio, tra il documento sulla libertà religiosa e il documento sulla chiesa nel mondo contemporaneo.
5. Studiare i documenti in ordine di autorità gerarchica, non secondo l'ordine cronologico in cui sono stati pubblicati. I documenti, ovviamente, hanno vari gradi di autorità (le costituzioni precedono i decreti, i decreti le dichiarazioni). Ma questo principio, se trattato come esclusivo, ignora la natura intertestuale, cioè, la loro interdipendenza, mentre sono un edificio costruito un piano sopra l'altro. Il documento sui vescovi, per esempio, non poteva venir introdotto prima della pubblicazione di quello sulla chiesa. Così essi formano un insieme coerente e integrale e devono essere studiati in questo modo. Essi non sono un sacchetto da afferrare per unità discrete. Non si può “giocare” con i documenti.
6. Non prestare attenzione alla loro forma letteraria. Una caratteristica che distingue il Vaticano II da tutti i concili precedenti è il nuovo stile in cui formula i suoi decreti. A differenza dei precedenti Concili, il Vaticano II non ha funzionato come un organo legislativo e giudiziario nel senso tradizionale di tali termini. Ha stabilito alcuni principi, ma non ha prodotto, come i concili precedenti, un corpo di ordinanze di prescrizione o proscrizione, con sanzioni per inosservanza. Non ha cercato di criminalizzare nessuno, né ha emesso verdetti di colpevole o non colpevole. Ha usato piuttosto un vocabolario ricco di parole come collegialità, reciprocità, tolleranza, amicizia e ricerca di un terreno comune.
7. Non prestare attenzione al contesto storico, la storia dei testi o delle controversie durante il Concilio. I documenti non possono essere presi come se fossero scaturiti magicamente da qualche parte fuori tempo e dallo spazio. Solo esaminando il travaglio che il decreto sulla libertà religiosa, per esempio, ha sperimentato durante il Concilio, al punto che sembrava non potesse essere approvato, si può capire il suo percorso di rottura e la sua importanza per il ruolo della Chiesa nel mondo oggi.
8. Non far uso delle fonti "non ufficiali", come ad esempio i diari o la corrispondenza dei partecipanti. Senza dubbio, i testi finali e gli Acta Synodalia, pubblicati dalla Sala stampa vaticana, sono e devono restare il primo e più autorevole di riferimento per l'interpretazione del Conclio. Tuttavia i diari e le lettere dei partecipanti forniscono informazioni prive di ufficialialità, ma talvolta essi spiegano meglio l’improvvisa direzione intrapresa dal Concilio. I redattori della magnifica collezione di 13 volumi di documenti sul Concilio di Trento, la Tridentinum Concilium, non hanno esitato a includere diari e corrispondenza, che si sono rivelati indispensabili per comprenderne la portata..
9. Interpretare i documenti come espressione di continuità con la tradizione cattolica. Una particolare attenzione nell'interpretazione dei documenti del Concilio ci dice che questo è corretto. Il problema sorge quando questo principio è applicato in un modo tale da escludere ogni discontinuità, cioè, ogni cambiamento. E’ assurdo credere che nulla sia cambiato. Il 22 dicembre 2005, papa Benedetto XVI ha fornito una correzione di tale impostazione, quando ha detto nel suo discorso alla Curia romana che era necessaria una "ermeneutica della riforma", definita come un "insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi .... ".
10. Operare una propria e personale valutazione del Concilio quasi fosse una profezia che si auto-avvera. Questo principio non è tanto una cattiva interpretazione: è pericoloso nelle mani di chiunque, ma particolarmente pericoloso nelle mani di coloro che hanno il potere di rendere la loro valutazione operativa. Ricordo quella frase nel romanzo di George Orwell Nineteen Eighty-Four: "Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato".
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