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venerdì 28 febbraio 2014

CONFESSIONE (Dizionario)

Cenni storici sul sacramento della Confessione

Tra tutti i sacramenti della Chiesa, la riconciliazione o confessione è forse quello che ha subito più trasformazioni lungo i secoli. E questo non è senza motivo. Da una parte vi è la fede della chiesa che crede e insegna di aver avuto il potere di perdonare i peccati, dall’altra il peccatore concreto con la sua storia, quindi non semplicemente una dottrina da applicare, ma una persona da accogliere, una prassi da inventare.
Nel Nuovo Testamento la prima, vera e più importante, e per alcuni l’unica, remissione dei peccati è il Battesimo: «pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per il perdono dei vostri peccati» (Atti 2,38) dice l’apostolo Pietro nel suo discorso la mattina di pentecoste. Nella professione di fede che recitiamo nella messa domenicale, diciamo di credere «in un solo battesimo per la remissione dei peccati». È nel Battesimo, dunque, che muore l’uomo vecchio con i suoi peccati e le sue concupiscenze e nasce l’uomo nuovo creato secondo Dio.
Il Battesimo, però, non va inteso in senso quasi magico che assicuri la salvezza senza un concreto impegno del credente reso possibile dal Battesimo.


La prima comunità cristiana ha sperimentato subito la propria fragilità e la necessità di un perdono oltre il battesimo. Il ruolo della chiesa è ben espresso dal testo di Matteo 18,15-18: «se tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui...» L’amara esperienza della vita, soprattutto durante le persecuzioni che durano a fasi alterne quasi tre secoli, mette davanti a necessità nuove. Non mancano, infatti, cristiani che rinnegano la fede, anzi in alcuni momenti sono anche molti, come nelle persecuzioni di Decio e di Diocleziano, e che poi pentiti desiderano ritornare nella comunità cristiana.
Cosa fare? Abbandonarli a se stessi e alla propria disperazione o riaccoglierli come Colui che riaccolse il figlio prodigo, che andò in cerca della pecora smarrita, che è venuto a chiamare i peccatori e non i giusti, che ordinò di perdonare fino a settanta volte sette, che diede agli Apostoli il mandato di rimettere i peccati…?
Più che il momento giuridico della istituzione di questo sacramento è importante riflettere e imparare dal modo di essere e di fare del Maestro e Signore, il vero Sacramento della nostra riconciliazione con il Padre. Dall’iniziale rigore per cui sembra che il perdono sia possibile solo una seconda volta (come uno è il battesimo, una è la penitenza), si passa ad elaborare un cammino penitenziale più possibilista, ma anche complesso.
Possiamo riassumere in tre momenti la celebrazione della penitenza e del perdono: la richiesta di perdono fatta al vescovo e l’ingresso nello stato dei Penitenti; un tempo di penitenza che può durare da pochi mesi a molti anni, o addirittura per tutta vita; la riconciliazione attraverso l’imposizione delle mani da parte del vescovo. Lo stato penitenziale era molto duro e impegnativo e molti iniziarono a rimandarlo fino all’età avanzata. Va anche notato che nella esperienza di peccato si sottolinea in particolare la ferita che questo produce nel corpo della Chiesa e la necessità di sanarla con medicine anche forti e amare. Ma la chiesa ha rischiato di costruire un edificio che rimane vuoto e ancora una volta la necessità della vita impone uno sviluppo.
Più che la confessione pubblica, era lo stato dei penitenti ad essere pubblico. SanLeone Magno proibisce la confessione pubblica che dichiara illegittima e contraria alle norme apostoliche: «Noi proibiamo che in questa occasione venga letto pubblicamente uno scritto nel quale sono elencati nei particolari i loro peccati. È sufficiente infatti che le colpe vengano manifestate al solo vescovo, in un colloquio privato» (Lettera 168).
È in questo contesto che va letto il celebre decreto 21 del Concilio Lateranense IV (1215): «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età di ragione, confessi lealmente, da solo, tutti i suoi peccati al proprio parroco almeno una volta l’anno, e adempia la penitenza che gli è stata imposta secondo le sue possibilità... il sacerdote sia discreto e prudente, come un esperto medico versi vino e olio sulle piaghe del ferito, informandosi diligentemente sulla situazione del peccatore e sulle circostanze del peccato per capire con tutta prudenza quale consiglio dare e quale rimedio applicare…»
Da svariati secoli siamo esortati a confessarci spesso: dal medioevo monastico e con le sue riforme ecclesiali, e poi dall’età tridentina che la confessione è entrata a far parte del cammino ordinario di un cristiano consapevole della necessità della conversione e del perdono che è frutto non solo di scelte personali, ma soprattutto della grazia di Dio che ci raggiunge attraverso la mediazione della Chiesa.
Riguardo alla confessione il Concilio Vaticano II afferma: «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera». (L.G.11)


Il sacramento della riconciliazione
Di Claudio Dalla Costa, 24/10/2010
Il sacramento della confessione, o riconciliazione, oggi è fortemente in crisi perché, come insegnava papa Pio XII, “il più grande peccato dei tempi moderni e di non credere più nel peccato”.
Dov’è finito il peccato? Si è perso il senso del peccato perché si è affievolito il senso di Dio. Si sente dire che confessarsi non è di moda, confessarsi da un uomo sembra ormai cosa inaudita, salvo andare poi in certe trasmissioni a chiedere perdono, davanti a una telecamera, con milioni di spettatori, quando si è offeso qualcuno. Ma poi a che prò dover chiedere perdono? Non si è mica ammazzato nessuno! Ci riteniamo tutti innocenti, o, per meglio dire, abbiamo uno specchio che rimpicciolisce i nostri peccati e che ingrandisce quelli del prossimo. Sarebbe tutto più facile se, anziché dover confessare i nostri errori, potessimo confessare quelli degli altri, sapremmo certamente trovarne di tutti i tipi e qualità.
Già S. Francesco di Sales diceva: “È cosa naturale cercare di nascondere i propri difetti: ma, se è così, perché godere allora che siano manifestati i difetti altrui?”. Tanta gente dice di intendersela direttamente con Dio senza aver necessità di passare attraverso la mediazione di un uomo, ignorando che il Signore vuole salvarci attraverso la mediazione umana.
È un dato di fatto che più si vive lontano da Dio e meno si sente il desiderio di chiedere perdono; quante volte sentiamo la gente che dice: “che male c’è?”, “non ho fatto niente di cui accusarmi” e l’elenco delle giustificazioni potrebbe continuare. Viceversa, se si è vicini a Dio, e in questo caso l’esempio dei santi è sotto gli occhi di tutti, si sente il bisogno di purificarsi continuamente perché ci si sente schiacciati dalle nostre miserie che in qualche modo ci allontanano dal Signore. (…)
Se un male aggredisce il nostro organismo andiamo dal dottore e cerchiamo di curarci. Lo stesso discorso vale per la vita spirituale: quando è malata dobbiamo fare il possibile per curarla. Il sacramento della penitenza è la clinica delle anime.
L’allergia al confessionale
Siamo tutti un po’ infastiditi dalla confessione, e tanto più dalla confessione frequente. Ci capita come quel tale che, dopo aver dormito in un’osteria, aveva chiesto al mattino, al suo domestico gli stivali, e se li era visti portare ancora coperti di polvere. “Come mai non gli avete puliti?” aveva chiesto. “Ho pensato che era inutile – aveva risposto il domestico – tanto dopo pochi chilometri di viaggio, si impolverano di nuovo!”. “Giusto, ma ora va a preparare i cavalli per la partenza”. Poco dopo i cavalli scalpitavano fuori dalla scuderia e il padrone era in pieno assetto da viaggio. “Ma non possiamo partire senza colazione” osservò il servo. “È inutile– rispose il padrone - tanto, dopo pochi chilometri di viaggio, avresti fame di nuovo!”
Il mestiere di Dio
Il peccato non è solo un atto contro Dio, il disordine causato dai suoi effetti si ripercuote a livello della comunità umana. “Un’anima che si innalza, innalza il mondo” (Elisabeth Leseur), la stessa cosa è vera al contrario, per cui ogni anima che si degrada nuoce alla comunione dei santi per questa misteriosa solidarietà che esiste tra tutte le membra della famiglia umana. Nel sacramento della riconciliazione, attraverso la mediazione del sacerdote, veniamo riconciliati con Dio e con tutta la comunità precedentemente ferita dal nostro peccato.
San Leopoldo Mandiæ
La storia della Chiesa è ricca di tanti santi confessori: pensiamo al curato d’Ars, S. Giovanni Bosco, padre Pio da Pietrelcina, padre Felice Cappello. Vorrei, qui, tratteggiare brevemente alcuni aspetti di colui che viene anche indicato come il confessore della misericordia: S. Leopoldo Mandiæ. Nato in Dalmazia nel 1866, morì a Padova nel 1942, e per quasi tutta la vita esercitò il suo ministero di confessore a Padova. Frate cappuccino, incarnava la bontà e la tenerezza di Dio, i fedeli accorrevano da tutta Italia per confessarsi da lui. Era piccolo di statura (m. 1,38), balbuziente, non ci ha lasciato nessuna predica, era capace di rimanere nella celletta confessionale dalle 12 alle 15 ore al giorno e tutto questo per 40 anni. Sono famose alcune sue frasi che meritano di essere ricordate: “La misericordia di Dio è superiore ad ogni aspettativa”, “Dio preferisce il difetto che porta all’umiliazione piuttosto che la correttezza orgogliosa”.
Criticato perché troppo sbrigativo, buono e largo di manica nell’assolvere, rispondeva: “Ci ha dato l’esempio Gesù, non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il Suo sangue divino. Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono già abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?”.
Le confessioni di solito erano corte e raccomandava ai preti: “Nel confessionale non dobbiamo dare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alle capacità delle singole anime. Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della salvezza e santificazione”.
Era magnanimo anche nelle penitenze, ordinariamente dava da recitare tre gloria al Padre e tre ave Maria, salvo poi passare lui tante notti in preghiera per ricordare al Signore coloro che si erano confessati nella giornata. Ad un prete, che voleva far mettere il cilicio ad una ragazza sua penitente, rispose: “Lei padre lo usa il cilicio?”. Questi rispose di no ed egli ribattendo: “E allora? Caro padre, abituiamo i penitenti ad ubbidire ai comandamenti di Dio e al loro dovere. Ce n’è abbastanza, ce n’è abbastanza! E i grilli via!”.
Certamente, un certo aspetto della crisi del sacramento della penitenza è dovuto alla fatica di incontrare preti accoglienti, calorosi, capaci di orientare il fedele a superare la fredda ripetizione dei peccati, per far risaltare la conversione e la gioia del ritorno tra le braccia del Padre misericordioso. Tutto, infatti, ruota intorno alla misericordia di Dio. È importante capire che non deve essere per prima cosa la paura per la nostra salvezza a farci accostare a questo sacramento, ma il dolore per aver ferito Qualcuno che ci ama in modo infinito e sempre ci attende al di là di ogni nostra speranza e aspettativa.
Il veleno nella scodella della madre
Sentiamo questo episodio accaduto a San Luigi Orione, dopo essere diventato prete da pochi mesi. “Da Tortona venni mandato a Castelnuovo Scrivia, circa otto chilometri di strada, per predicare la novena dell’Immacolata. Avevo parlato, quella sera, della confessione a una chiesa gremita di gente e non so perché ma sta di fatto che a un certo punto uscii con questa espressione: “Se anche qualcuno avesse messo il veleno nella scodella di sua madre e l’avesse così fatta morire, se è veramente pentito e se ne confessa, Dio, nella sua infinita misericordia, è disposto a perdonargli il suo peccato”.
Finita la predica incomincio le confessioni e tutti volevano confessarsi da me perché avevo la manica larga e poi perché tanti amano confessarsi da un forestiero perché al loro parroco che li conosce non vanno a dire certi peccati. Finito di confessare, verso mezzanotte, sotto la neve, torno a Tortona a piedi. Fuori dal paese c’era un uomo con il mantello che mi aspettava, ero sorpreso, anche impaurito, decido di superarlo e salutarlo. Lui mi ferma e mi chiede se sono io il predicatore di questa sera e se credo davvero a quello che ho detto specialmente in riferimento al veleno nella scodella della madre. Rispondo di sì, anche se non ricordavo di aver detto quelle parole; il tale mi disse: “Sono quell’uomo che ha messo il veleno nella scodella di mia madre tanti anni fa perché c’era discordia tra lei e mia moglie”.
 Da allora non aveva più avuto pace ed era ormai anziano, si confessò e si gettò piangente al mio collo. Anch’io piansi e lo baciai in fronte e le nostre lacrime si confondevano. “Poi mi accompagnò quasi fino a Tortona e poi sparì tra le cascine; non avevo mai provato una gioia così grande nella mia vita e ripetevo quanto è grande la misericordia di Dio”. Davanti a don Orione quest’uomo ha trovato una fiducia che lo ha restituito a se stesso, la sua vita può finalmente ricominciare, nuovi orizzonti si schiudono davanti a sé. Tutti e due adesso sono in grado di proclamare le meraviglie di Dio “perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc. 15,32).

CATECHESI SULLA RICONCILIAZIONE

L’uomo sa che non può perdonarsi da solo: ha bisogno di un perdono più grande e più alto. E’ il bisogno del perdono di Dio. Gesù stesso è venuto tra noi invitandoci a convertire la nostra vita dal male e a chiedere perdono a Dio. Nel Vangelo, le parabole più consolanti sono proprio quelle del perdono. E, prima di salire al cielo, dice ai suoi discepoli di andare in tutto il mondo per portare il perdono e la pace di Dio.
Gesù ha affidato ai suoi discepoli - e quindi alla sua Chiesa - il Sacramento del Perdono: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi».
Gesù, attraverso il Sacramento del perdono, dona lo Spirito Santo. E lo Spirito Santo è come il fuoco che purifica l’oro dalle scorie, è come il sole che rigenera tutte le cose, è come la luce che mette in fuga le tenebre e indica la meta.
Il Sacramento del perdono è Gesù Risorto che, nella Chiesa, ci comunica lo Spirito Santo per la purificazione dei peccati.
1. Il senso del peccato
Attualmente il senso del peccato e del male sta vivendo profonde trasformazioni.
Alcune trasformazioni sono state provvidenziali e positive; altre invece hanno messo in crisi il senso del peccato facendo diventare leciti anche i comportamenti più sconcertanti e negativi. Occorre quindi una grande capacità di discernimento spirituale.
Il credente cristiano sa di poter contare sulla Parola di Dio per conoscere in verità il proprio peccato. La Parola di Dio infatti è luce e verità nel profondo del cuore: conduce alla giusta conoscenza di se stessi, fa emergere le colpe che tendiamo a nascondere o a nasconderci, conduce ad una profonda percezione della nostra realtà di peccatori, illumina il senso e la realtà del peccato e della colpa.
La Parola di Dio entra anche nell’individuazione dei peccati: entra nei temi della giustizia e dell’amore, dei rapporti familiari e dei rapporti sociali.
La Parola di Dio entra a delineare i peccati contro Dio e contro il prossimo, contro se stessi e contro le virtù morali e teologali.
La Parola di Dio conduce soprattutto a riconoscerci peccatori perché questo è il passaggio essenziale per conoscere i nostri peccati.
2. La riscoperta del Sacramento del Perdono
Il senso cristiano del peccato non è fine a se stesso, né tanto meno è finalizzato ad umiliarci o a deprimerci. Il senso cristiano del peccato apre e conduce al Sacramento del perdono. Proprio per questo è necessario riscoprire i significati più belli e più efficaci di questo Sacramento. Ci possono aiutare queste brevi riflessioni.
2.1. La Confessione come «vocazione»
Dio si è fatto uomo per chiamarci alla vita, all’amore e alla libertà. La Confessione è il Sacramento nel quale Cristo Risorto ci chiama alla libertà dal peccato per una piena esperienza di vita cristiana.
Ogni Confessione è come una vocazione: Gesù Risorto ci chiama per purificarci e rigenerarci in Dio.
2.2. La Confessione come esperienza di perdono
Accusare non serve, ma neppure «scusare» è educativo. Non si può insegnare ai figli l’indifferenza. Ma nemmeno si deve umiliare un figlio nelle sue mancanze.
L’idea geniale è il perdono che consiste nel saperci accogliere anche quando non ci comportiamo bene e nell’amarci anche quando si sbaglia. Come fa Dio.
Ma la vera esperienza del perdono ha la capacità di rinnovare la vita e conduce all’impegno di non ricadere nelle stesse colpe.
2.3. La bellezza della Confessione
C’è nella confessione un’occasione di autenticità e di sincerità nelle nostre motivazioni; c’è una possibilità di senso e di orientamento della vita; c’è una opportunità di profondità e di continuità nelle nostre scelte morali. L’effimero, l’occasionale, il superficiale sono superati dalla «verità di noi stessi», che troviamo nell’essere soli davanti a Dio e alla nostra coscienza. C’è nella Confessione il confronto e l’incontro educativo, c’è la possibilità di un giusto apprezzamento dei nostri comportamenti, c’è il dialogo. E tutto questo avviene con Dio e mediante il suo ministro, il sacerdote confessore.
Nella Confessione troviamo la disponibilità, la competenza e la cordialità di una guida che ci accompagna.
2.4. La fatica della Confessione
Ma tutto ciò che è «bellezza» della Confessione è anche «fatica» e impegno, nella sua pratica fedele. È esigente vivere la verità di noi stessi. È stimolante ma anche impegnativo il confronto con una guida. È faticosa la ripresa continua. Spesso è addirittura un peso.
Talvolta poi, la lontananza dalla Confessione genera una maggiore esigenza di pazienza per una ripresa coraggiosa e costante. Si può aver paura perché il punto di partenza ci sembra molto distante dalle nostre capacità.

SPUNTI DI RIFLESSIONE E DI DIALOGO
• Quale significato ha per te la Confessione?
— «poco, tanto non cambia niente»
— «molto, ma di fatto mi accosto poco»
— «mi confesso da solo con Dio»
— «non capisco a che cosa serva»
— «e poi perché dire i miei peccati ad un altro uomo? »
• Quale valore ha per te il Sacramento della Confessione?          
A volte si sentono affermazioni come queste:
— se mi devo confessare, mi confesso da solo con Dio;
— se voglio fare la S. Comunione basta chiedere perdono.
Sono vere? Corrispondono alla nostra fede? Credi al Sacramento del Perdono? Perché, a volte, è così difficile credere e vivere la Confessione?
• Quali «problemi» hai per la Confessione?
— non so cosa dire
— non trovo il tempo
— dico sempre le stesse cose
— che «diritto» ha il confessore di farmi domande?
— ma il confessore che cosa può farmi quando mi confesso?
• Quale frequenza consigliare ai ragazzi, per la Confessione?

Come confessarsi
Come ogni sacramento la confessione va preparata bene: con qualche giorno di anticipo, facendo una seria riflessione sulla propria vita, un attento esame di coscienza,
raccogliendoci per un po’ di tempo nel silenzio.
Ci si accosta alla celebrazione
con un atteggiamento di fede
e dopo l’accoglienza del sacerdote
cerco di vivere in tre tappe questo sacramento:
confessio laudis:
riconosco i momenti per i quali desidero ringraziare il Signore,
i momenti in cui l’ho sentito particolarmente vicino:
vorrei Signore ringraziarti per…
confessio vitae:
riconosco i miei peccati,
le mie contraddizioni con il vangelo,
le cose che mi pesano,
che non vorrei avere fatto,
ciò che mi ha allontanato da Dio e dai fratelli:
ti chiedo perdono Signore per…
confessio fidei:
alla luce del perdono di Dio lo voglio ringraziare, voglio nuovamente mettermi in cammino sulla strada del vangelo;
è l’impegno a continuare a vivere concretamente la Parola di Dio.

DIZIONARIO MINIMO
CONFESSIONE: è l’atto con cui il penitente esprime il sincero pentimento confessando i propri peccati all’interno del sacramento della Penitenza.
PENITENZA: dal latino paenitere (mancare di qualcosa; da cui penuria) ed esprime, nella Chiesa. Il cammino di conversione per chi è consapevole di aver perso un bene spirituale prezioso o di non possederlo abbastanza, fino a indicare il sacramento stesso.
RICONCILIAZIONE: è l’effetto dell’assoluzione con la quale il sacerdote manifesta e dona la grazia del perdono, che ristabilisce la piena comunione con Dio e la Chiesa.
Il Codice di diritto canonico (CDC) dice: «Chi è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa, né comunichi al corpo del Signore senza premettere la Confessione sacramentale, a meno che non ci sia una ragione grave e manchi l’opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima» (can. 916).
I peccati gravi richiedono «materia grave, piena consapevolezza e totale consenso» (CDC 1858-1859). Quindi, per accostarsi alla Comunione è necessario il sacramento della Penitenza per chi è consapevole di peccato grave. Un tale peccato provoca una rottura e richiede, pertanto, una riconciliazione con Dio e con la Chiesa. Accostarsi alla mensa eucaristica in tale situazione, senza un sincero pentimento che, di norma, conduce alla Penitenza, sarebbe un gesto contraddittorio e inaccettabile. Tuttavia «anche per i peccati veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento… per affinare la grazia del Battesimo» (Rito della Penitenza, n. 7). Una pratica salutare e anche opportuna, ma lasciata alla sensibilità e libera scelta di ciascuno.

Lo stesso Rito della Penitenza ricorda che il perdono dei peccati veniali si ottiene anche «compiendo opere di misericordia e di carità» (n. 4). In ogni caso, anche solo con peccati veniali, non ha senso accostarsi alla mensa eucaristica se non si ha un autentico atteggiamento di conversione e, quindi, di impegno nella pratica delle virtù evangeliche. Per questo tutto il rito della Messa è percorso da invocazioni e gesti penitenziali, perché non si dimentichi la necessità di una vera e continua conversione.

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