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domenica 6 aprile 2014

Cultura e fede (dizionario)

Come la Chiesa ha alfabetizzato l’Europa

di Francesco Agnoli, scrittore e saggista

Si discute, in questi tempi, della scuole paritarie. Sembra che la scure dell’Imu debba calare anche su di loro, con effetti devastanti. L’argomentazione dei contrari è semplice: le scuole paritarie, che offrono un servizio pubblico, fanno risparmiare allo Stato sei miliardi di euro l’anno. E’ giusto ricordarlo, a tutti coloro che, mentendo, affermano che le scuole paritarie toglierebbero soldi all’istruzione pubblica. Giusto, dicevo, ma troppo poco. Se ormai non apparisse polemico sostenere che la neve è bianca, si dovrebbe ricordare una verità storica evidente: è la Chiesa, da cui ancora oggi originano la gran parte delle paritarie, che ha educato e alfabetizzato l’Europa. Negarle oggi il diritto di continuare a lavorare nel campo dell’educazione significa compiere un delitto, quantomeno di irriconoscenza, contro la propria storia.
Vediamo, brevemente, i fatti.


Con il crollo dell’impero romano, l’istruzione viene a mancare. Solo i monaci, indefessi lavoratori vivificati dalla virtù teologale della speranza, dopo aver arato e coltivato i campi, leggono, studiano e copiano nei loro scriptoria le opere antiche e moderne. Il monaco Cassiodoro, cui dobbiamo la sopravvivenza di gran parte della cultura medica pagana, verrà giustamente definito “il salvatore della civiltà occidentale”. Analogo lavoro svolgono i monaci benedettini e quelli irlandesi, che Luigi Alfonsi ricorda essere stati “missionari, asceti, riformatori e poeti nello stesso tempo”.

“Conoscitori del latino”, con cui erano entrati in contatto tramite il latino ecclesiastico, gli irlandesi “educarono agli studi gli Angli”, consigliarono ed istruirono alcuni sovrani, insegnarono a leggere le sacre scritture e i poeti antichi ai loro contemporanei. I monaci non solo copiavano i testi, ma civilizzavano le popolazioni barbariche, scrivendo per loro poesie, preghiere, grammatiche e dotando quei popoli di un senso della storia. Il venerabile Beda è riconosciuto come il “padre della storia inglese”, mentre Gregorio vescovo di Tours scrisse l’Historia Francorum e il monaco Paolo Diacono la celebre Historia Langobardorum.

Chi educò i germani alla civiltà latina? San Bonifacio del Wessex, noto come “grammaticus germanicus” e Rabano Mauro, il praeceptor Germaniae. Il grande consigliere e ministro dell’istruzione di Carlo Magno? Il monaco Alcuino, organizzatore delle Schole palatine di Aquisgrana e Tours, e delle scuole dell’impero. Durante i secoli dell’alto medioevo l’istruzione è impartita dallescuole monastiche e dalle scuole cattedrali, nelle quali si insegna il principio della fides quaerens intellectum, e che costituiscono l’antefatto delle Università.

In quelle stesse scuole si insegnano la teologia, la filosofia, la musica: dobbiamo al monaco Guido d’Arezzo l’invenzione del pentagramma e delle note, che rese lo studio della musica enormemente più rapido ed efficace. Quanto alle università, come racconta bene Leo Moulin, la Chiesa fornirà molti degli insegnanti più eccelsi, privilegi, sostegno economico e politico, collegi per i poveri e borse di studio. E la nascita del volgare italiano? La prima opera della nostra letteratura è una preghiera, il Cantico delle Creature di San Francesco; quanto a Dante, è la dimostrazione del fatto che la Chiesa e la fede sono all’origine della nostra tradizione letteraria. Dante si forma alla scuola del guelfo Brunetto Latini, ma ancor più presso gli studi teologici dei domenicani e dei francescani di Firenze; quanto ai libri, è la capitolare di Verona, una biblioteca ecclesiastica, a permettergli l’accesso ad una immensa quantità di testi altrimenti irreperibili. Anche Petrarca e Boccaccio, desiderosi di attingere alla classicità, potranno farlo solo recandosi nelle librerie dei monasteri (dalle quali, qualche volta, trafugheranno qualche testo raro e prezioso).

Se ci spostiamo più avanti nel tempo, è con il Concilio di Trento che nascono numerosi ordini religiosi dediti all’istruzione dei poveri, altrimenti destinati all’analfabetismo. Ricordo l’opera dei padri Somaschi e dei Barnabiti; quella degli Oratoriani e degli Scolopi di san Giuseppe Calasanzio, considerato il fondatore della scuola elementare popolare e gratuita (la prima nel 1597, a Trastevere); le scuole cristiane di Jean Baptiste de la Salle (XVII secolo), un altro pioniere dell’istruzione popolare e professionale in Europa. Per secoli sono quasi solo i religiosi a dedicare vita, energie, beni, per andare incontro alle esigenze intellettuali, religiose, lavorative del popolo. Sono loro a istruire i ciechi e i sordomuti, a prendersi in carico orfani e disadattati. Ma non solo: i barnabiti avranno, tra i loro alunni, Alessandro Manzoni; gli Scolopi  Giosué Carducci e Giovanni Pascoli; i Gesuiti Cartesio, Torricelli, Volta, Galvani, Spallanzani
Anche Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi avranno come precettori dei sacerdoti, mentre, dopo di loro, non lo Stato, ma Teresa Verzeri, Maddalena di Canossa, don Ludovico Pavoni, don Giovanni Bosco… si occuperanno, delle ragazze e dei ragazzi orfani, abbandonati, dei vinti e degli sconfitti dell’età industriale
Da Il Foglio, 6 dicembre 2012

Harry Potter
La teologia di Harry Potter

di Rocco Buttiglione, Avvenire, 14.7.11 

Ha senso fare una teologia di Harry Potter? A prima vista si direbbe di no. La creatrice di Harry Potter, la signora Rowling, non è una teologa e certamente la sua intenzione era semplicemente quella di raccontare una storia. Tuttavia di letture teologiche di Harry Potter ce ne sono state più di una. La prima è stata probabilmente quella di Gabriele Kuby che ha letto Harry Potter come una opera legata alla moda new age. Harry, dopotutto, è uno stregone ed i suoi libri non contengono nessun riferimento esplicito alla rivelazione cristiana.
In realtà i riferimenti new age toccano solo lo strato più superficiale della saga. Una lettura più attenta alle strutture narrative profonde del libro non tarda a scoprire numerosi riferimenti cristiani. Per cominciare la singolarità di Harry, quella che lo costituisce nel suo ruolo di personaggio, è la sua (relativa) immunità davanti alla magia. È per questo che il mago più potente e malvagio non riesce ad ucciderlo. Harry è protetto da un incantesimo di straordinaria potenza generato dall’amore della madre (e del padre) che hanno sacrificato la vita per lui. Troviamo qui il tema dell’amore che salva e non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano. Ritroveremo il medesimo tema alla fine del libro. Lì sarà Harry a dare la vita per salvare i suoi amici e per sconfiggere definitivamente il male. Ad Harry, però, la vita verrà restituita. Solo chi è capace di dare la propria vita la potrà salvare. Gesù è per eccellenza colui che dà la vita per i suoi amici.

È Harry Potter una figura cristica, come per esempio il leone Arslan nelle Cronache di Narnia? Sì e no. L’archetipo di Gesù si comunica a tutti i cristiani e, inoltre, i Vangeli ci dicono che questo archetipo ha una valenza naturale che precede la persona di Cristo. Il Vangelo, infatti, ci dice che forse è possibile trovare qualcuno che dia la vita per salvare i suoi amici. Lo specifico di Gesù è che egli ha dato la vita non per i suoi amici ma per i suoi nemici, per i malvagi che lo hanno messo a morte. Harry Potter si lega ad un archetipo naturale che nel racconto di Gesù viene assunto e trasfigurato ma esprime una legge della vita presente già nell’ordine naturale.
Questo convincimento è confermato dal fatto che i primi soggetti del dono della vita sono la madre ed il padre. L’incantesimo che protegge Potter nasce dall’amore di suo padre e di sua madre. Un teologo direbbe che si svolge nell’ordine naturale che già però si apre all’avvenimento cristiano.
Un secondo elemento che caratterizza la saga di Harry Potter è il suo impianto, in un certo senso antiesistenzialista, almeno nel senso dell’ esistenzialismo sartriano.
All’inizio, per la verità, Harry somiglia ad un eroe sartriano. È una libertà gettata nel mondo che sembra dovere dare a se stessa il proprio sostegno ed il proprio senso. Quanto più progredisce il racconto, però, Harry scopre di essere inserito in una storia e di avere, in essa, un destino. In questa storia lo inseriscono originariamente i suoi genitori ma essa gli si fa presente attraverso la comunità degli amici. Si tratta degli amici dei suoi genitori che lo difendono contro Voldemort, si assumono l’onere della sua educazione e progressivamente gli rivelano la storia dei suoi genitori. Si tratta però anche dei suoi compagni di scuola cui si lega con una amicizia per la vita. In questa compagnia ravvivata dalla percezione di un compito cresce una personalità capace di percepire la legge del dovere e del sacrificio.
Questa comunità è composta di maschi e di femmine. La storia accompagna Harry ed i suoi amici anche nella scoperta della differenza sessuale. Il libro è anche un libro sulla amicizia fra gli uomini e le donne. Harry impara ad essere amico delle donne prima di essere attratto sessualmente. Ne considera la testa ed il cuore prima di valutarne la attrattiva sessuale. Per tutti i protagonisti la scelta sessuale avverrà in un momento successivo all’interno del gruppo degli amici. La scelta sessuale, poi, sarà una scelta matrimoniale. Tutti i protagonisti si sposeranno e avranno dei figli. Sembra che a Hogwarts credano ancora al grande amore. Harry, del resto, cresce nel ricordo dell’amore dei suoi che è, in modo indistinguibile, amore dell’uno per l’altro ed amore per il loro bambino. In realtà la Rowling è divorziata due volte. Si può sbagliare nella propria vita senza perdere per i propri figli la speranza del grande amore.
La struttura fondamentale del libro di Harry Potter è quella di una lotta per il bene e contro il male, per la verità e contro la menzogna. In un certo senso questa struttura si oppone direttamente alla cultura oggi dominante, a quello che Benedetto XVI chiama il relativismo etico. In una delle scene madri della saga, che certo sarà piaciuta al Papa se mai la ha letta, Voldemort cerca di indurre in tentazione Harry. Non esiste né verità né menzogna, gli dice. Non c’è né il bene né il male. C’è solo il potere. Il potere fa la verità. E Voldemort offre a Harry di condividere il potere, ma Harry gli risponde, semplicemente, no.
Se si guarda ai principi del moderno decostruzionismo è difficile sottrarsi alla impressione che Voldemort sia anche lui un decostruzionista. Ogni narrazione del vero e del bene deve venire decostruita per mostrare come a costituire l’ordine all’ interno del quale noi distinguiamo fra il giusto e l’ingiusto sia sempre e solo il potere. Non esiste dunque alcun ordine naturale e la pretesa di affermarlo o di farlo valere è per principio ideologica. Il mondo di Harry Potter è invece, in linea di principio, un mondo in cui esiste un ordine naturale violato ed una lotta per ripristinarlo.
L’ idea di un ordine e di una legge che governa il mondo non è, beninteso, solo cristiana. Essa appartiene anche, per esempio, all’universo intellettuale stoico.
A questa idea il cristianesimo ne ha aggiunta un’altra. Nessuno è interamente buono ma anche nessuno è interamente cattivo. Cominciamo con Harry Potter. Fra lui e Voldemort esiste una connessione segreta. Harry porta nella sua anima un frammento dell’anima di Voldemort. Per questo deve morire per poter sconfiggere l’avversario. Anche i migliori hanno bisogno di essere purificati. Ed anche i peggiori non sono totalmente prigionieri del fascino del male. Draco Malfoy, uno dei più ostinati nemici di Harry, si rifiuterà di riconoscere Harry prigioniero e di consegnarlo alla morte. Ancora più interessante è il caso di Severus Piton. Piton è per carattere e propensioni legato al lato oscuro del mondo magico ed odia con tutte le sue forze il padre di Harry e, tendenzialmente, anche Harry. Piton ama però disperatamente Lily Evans, la madre di Harry. In forza di questo amore Piton farà sempre di tutto per proteggere Harry. C’è in questo una lezione molto cristiana. L’amore, se è vero, non è mai sbagliato. Talvolta però esso chiede, per restare vero, il prezzo della sofferenza e del sacrificio.
Qualcosa di simile ritroviamo anche nel caso di Albus Silente, il preside di Hogwarts ed il grande amico e mentore di Harry. Di lui sappiamo che anche lui è stato attratto dal lato oscuro delle arti magiche. È stato amico di Grindelwald (una specie di Voldemort ante litteram) ma se ne è staccato e per tutta la vita si è poi dedicato a combattere per la pacifica convivenza fra i maghi ed i comuni mortali. La Rowling ci informa anche (in una conversazione) che Silente ha tendenze omosessuali in qualche modo sublimate nella sua vocazione pedagogica. Gli uomini hanno tendenze e passioni e di queste non sono responsabili. Sono responsabili dell’uso che ne fanno. Così Harry (ci fa capire la Rowling) forse avrebbe potuto essere Voldemort e viceversa. Per questo ognuno di noi è responsabile e tuttavia esiste una ultima solidarietà che lega tutti gli uomini.
Come mai è possibile ritrovare una tale ricchezza di contenuti simbolici in un’ opera di fantasy? Vi sono tre risposte possibili. La prima è che la Rowling è cristiana. La seconda è che esiste nella letteratura inglese una grande tradizione di fantasy a forte contenuto simbolico cristiano ( C.S. Lewis, J. R.R. Tolkien, G.K.Chesterton etc...). La terza è che esistono strutture simboliche universali congruenti con la fede cristiana. Sia W. Benjamin che H.U. Von Balthasar hanno insegnato che ogni storia che meriti di essere raccontata si misura con il tema della salvezza dell’uomo. Il decostruzionismo cerca di mostrare attraverso l’opera d’arte il caos e l’assenza di un ordine e di un senso. Anche nella rappresentazione dell’assenza è impossibile impedire che emerga la nostalgia e quasi il presagio della presenza di un significato.

IL CODICE DA VINCI
Il codice da Vinci è un romanzo di successo scritto da Dan Brown: pubblicato nel 2003, a settembre 2009 ne erano state stampate 80 milioni di copie in tutto il mondo ed era stato tradotto in 44 lingue.

Nel 2006 ne è stato tratto l'adattamento cinematografico omonimo.

Sebbene opera di fantasia, il romanzo si presenta come una ricostruzione fedele degli eventi storici in esso trattati. Tale pretesa fedeltà storica dichiarata dall'autore ha suscitato notevoli critiche da parte di molti studiosi, specialmente nel mondo cattolico (in Italia particolarmente attivo è stato lo studioso Massimo Introvigne).

Il best-seller ha rinfocolato il dibattito sull'attendibilità delle verità contenute nei vangeli apocrifi, soprattutto con riferimento alla tesi per cui Gesù avrebbe sposato Maria Maddalena e avrebbe avuto dei figli da lei, di cui non vi è documentazione alcuna nel Nuovo Testamento e nelle altre fonti storiche.
RISPOSTE AL CODICE DA VINCI
Ci sono prove nei Vangeli «apocrifi» o «gnostici» che Gesù Cristo avesse sposato la Maddalena, e che la prima comunità cristiana non pensasse affatto che fosse Dio?

E non ha la Chiesa cattolica per questo arbitrariamente scelto solo quattro Vangeli «innocui» come canonici al Concilio di Nicea del 325, appoggiata dalla forza delle armi dell’imperatore Costantino (280-337)?
Niente affatto: ci sono testi del primo secolo cristiano dove Gesù Cristo è chiaramente riconosciuto come Dio. All’epoca del Canone Muratoriano - che risale circa al 190 d.C. - il riconoscimento dei quattro Vangeli come canonici e l’esclusione dei testi gnostici era un processo che si era sostanzialmente completato, novant’anni prima che Costantino nascesse. Quanto alla Maddalena, lo gnostico Vangelo di Tomaso, che piace tanto a Dan Brown, ben lungi dall’essere un testo proto-femminista ne fonda la grandezza sul fatto che «[...] si fa maschio». A Simon Pietro che obietta «Maria deve andare via da noi! Perché le femmine non sono degne della Vita», Gesù risponde: «Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Perché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli» (Vangelo di Tommaso, 114). Né si parla di figli di Gesù Cristo e della Maddalena.
Brown insiste pure su un brano del cosiddetto «Vangelo di Filippo», dove si leggerebbe che «la Maddalena era la compagna del Salvatore. Cristo la amava più degli altri discepoli e la baciava sulla bocca». Gli specialisti fanno osservare che la parola copta (questa la lingua in cui ci è pervenuto il testo, anche se Dan Brown pensa erroneamente che si tratti di aramaico) tradotta con «compagna» ha una pluralità di significati, e che in corrispondenza della parola «bocca» nel testo c’è una lacuna, per cui la frase suona «la baciava su…», e «sulla bocca» è una congettura desunta dal fatto che altri personaggi nello stesso testo e in testi della stessa epoca ricevono «baci sulla bocca», a indicare una stretta comunanza spirituale. Il cosiddetto «Vangelo di Filippo» è un catechismo gnostico di scuola valentiniana del tardo II o del III secolo. Come tale, non aspira a trasmettere informazioni reali sul Gesù storico ma solo a dire che cosa deve credere un buon gnostico valentiniano che, a questo punto della storia, fa già parte di una religione diversa e separata dal cristianesimo della «Grande Chiesa».
Ma come può un cumulo di sciocchezze avere quaranta milioni di lettori?
La questione è complessa sul piano sociologico: incontra e mette insieme due tipi di mode molto diffuse: quella dei complotti e delle società segrete che dominerebbero il mondo, e quella di un anti-cattolicesimo sempre più manifesto e virulento.
Dan Brown e tanti editorialisti di quotidiani hanno raccontato che i Vangeli sono stati imposti da un gruppo minoritario di cristiani e che la verità si trova invece nei Vangeli gnostici….
Secondo Dan Brown, è stato Costantino a imporre e lasciare solo quattro Vangeli, ma in realtà erano almeno ottanta all’inizio del quarto secolo quasi tutto allo stesso livello. Ebbene questa argomentazione mostra una ignoranza abissale.
Nel secondo secolo, due secoli prima di Costantino, sant’Ireneo e altri dimostrano in modo chiaro che esistevano quattro Vangeli. I Vangeli sono precedenti ai Vangeli gnostici. Il Vangelo di Giovanni, che è l’ultimo dei quattro, fu composto verso il 90-95, molti decenni prima che alcuni autori scrivessero i Vangeli gnostici.
Nelle lettere di Paolo e negli atti degli Apostoli non c’è nessun riferimento ai Vangeli gnostici. Anche San Giovanni che viveva tra Sinagoga e Chiesa e dovette affrontare chi negava la divinità di Cristo, non parla mai dei Vangeli gnostici. Quelli chiamati gnostici non sono Vangeli, perché non raccontano l’intera storia di Gesù e poi non parlano di morte e Resurrezione. Il cosiddetto Vangelo gnostico di Tommaso è un elenco di detti. Questo è un abuso del termine di Vangelo.
Alberoni: Il “Codice da Vinci” è stato presentato al pubblico come fondato su dati storici reali. Questa premessa c'è ancora nella edizione inglese ed è stata tolta nella edizione italiana per le nostre proteste. Ora Dan Brown, per ignorante che fosse, non poteva non sapere che la divinità di Cristo è esplicitamente affermata nelle lettere di San Paolo scritte attorno al 60, nel Vangelo di Giovanni, comunque nel primo secolo, e lui dice che è stata affermata nel concilio di Nicea nel IV secolo. Non è possibile sostenere che Gesù Cristo sia stato sposato e tantomeno con Maria Maddalena. E’ un invenzione insostenibile la storia della discendenza nei Merovingi, i massacri compiuti dalla Chiesa cattolica e poi dall’Opus Dei per tener nascosta la notizia etc. Però tutte queste fandonie consapevoli hanno come risultato di screditare la Chiesa perché il libro è fatto in modo che la gente le creda. E’ esattamente quello che fa “I Protocolli dei Savi anziani di Sion”, un testo inventato dagli antisemiti, in cui si attribuisce ai capi degli ebrei il piano di dominio sul mondo e che è stato usato da Hitler per giustificare la loro persecuzione.

I SIMPSON E LA TEOLOGIA

 

Dio, Homer e la ciambella
di Brunetto Salvarani, Jesus, febbraio 2008
La famiglia a fumetti più sgangherata e irriverente del piccolo schermo non ha soltanto una sua filosofia e una sua morale. Esprime anche, con acuta ironia, una sua visione del cosmo e del Trascendente che va al di là dei consueti luoghi comuni.
«Di solito non sono un uomo religioso, ma se tu sei lassù, salvami... Superman!». Lo spiazzamento offertoci dalla battuta di Homer Simpson sottintende due cose: entrambe cruciali. La prima, che il microcosmo del sacro, all’interno della saga a cartoni animati attualmente più famosa sul pianeta (23 Emmy e l’omaggio della rivista Time, che l’ha eletta a «migliore serie televisiva del ventesimo secolo»), ha un peso specifico notevole: proprio come capita negli Stati Uniti, unica porzione del mondo occidentale in cui le fedi risultano in gran spolvero e in evidente aumento. La seconda, che il motivo del successo che essa sta ottenendo, in buona misura, risiede nell’aver intercettato con straordinaria felicità espressiva il cuore di quella che ci siamo abituati a chiamare postmodernità: vale a dire il gioco della citazione, del rimando, dell’allusione insistita a linguaggi, temi, generi, opere d’arte note o notissime.
Nel lontano anno di grazia 1987 il versatile fumettista yankee Matt Groening ha fatto irruzione nel panorama delle tivu americane (da noi qualche anno dopo) con la sua tribù di facce gialle.
Un fulmineo ripasso per chi – nessuno è perfetto – si fosse perso le (oltre quattrocento, ad oggi) puntate della serie. I Simpson rappresentano la tipica famiglia della middle class che da sempre affolla l’immaginario cinematografico e televisivo a stelle e strisce. Distante anni luce dal canonico modello mieloso delle sit-com di maniera, essa appare connotata in particolare di uno smisurato spirito dissacratorio, pur essendo a propria volta quanto mai massificata.
Integralmente schiava del piccolo schermo, dei fenomeni di massa e di una cospicua messe di pregiudizi parossistici, col suo stile di vita per nulla politicamente corretto, la sit-com dei Simpson spolpa però alla radice ogni mito e ogni consuetudine, riscattandosi così dal baratro dell’assoluta mediocrità. Con l’istituzione-famiglia che permane al centro di tutto il plot narrativo: sbeffeggiata di continuo, ovvio, ma anche riconosciuta come l’unico (e l’ultimo) autentico punto di riferimento in chiave sociale, e a conti fatti il più solido, con un reciproco e ben saldo attaccamento fra ogni suo membro.
Il papà, grasso, pigro e devoto a birra e a ciambelle, Homer; la mamma, la casalinga perbenista e azzurrocrinita Marge; i tre figlioletti (Bart lo scavezzacollo impenitente, Lisa la saputella ecologista e l’ancora bebè Maggie): ecco la formazione base per intessere un’enorme quantità di ministorie, con mille ingredienti ulteriori fatti di altri personaggi e di situazioni solo all’apparenza paradossali.
(…) Ci siamo noi nell’ingenua fiducia nel consumismo di Homer, nel suo tentativo reiterato di sgattaiolare lontano dai doveri lavorativi, nella ricerca continua di un quarto d’ora di celebrità, nella bulimia rassegnata davanti al frigorifero o alla scatola della tele.
C’è, però, un secondo filone di lettura più raffinato, che non contrasta il primo ma anzi – a mio parere – lo arricchisce di parecchio. Non è difficile leggere in quelle sgangherate esistenze, infatti, il sogno antico dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Con Homer uomo qualunque, Bart teppistello qualunque, e la famiglia intera famiglia qualunque, tuttavia capaci di dichiarare in controluce l’eccezionalità di ogni storia, ogni vicenda umana: persino della più (apparentemente) banale, frustrata, patetica, demenziale. Come appare la loro e quella della compagnia di giro della loro stralunata Springfield: il nonno più di là che di qua e l’integralista ultras della fede vicino di casa, il preside frustrato e mammone perennemente dedito a rimpiangere l’epopea del Vietnam e l’induista gestore di minimarket alla ricerca di un’anima gemella, il mefistofelico industriale disinteressato dei disastrosi esiti ambientali della sua produzione e il bullo della scuola bisognoso di affetto.
Da questo punto di vista, i Simpson mettono in scena l’ansia e la possibilità di un riscatto dall’abisso in cui quotidianamente rischiano (rischiamo?) di cadere. E soprattutto, l’irripetibilità assoluta delle infinite biografie che si danno nel mondo. Lo fanno, beninteso, con leggerezza e ironia, tenerezza e irriverenza, tenendoci avvinti al tubo catodico per quei poco più di venti minuti di ogni puntata, e dimostrando definitivamente (ce n’era bisogno?) che cartoons e fumetti non sono solo e necessariamente cibo infantile.
(…) Non stupirà troppo, a questo punto, che, più modestamente ma forti di tali illustri precedenti, si sia tentati di abbozzare le tracce di una teologia simpsoniana. Sì, perché i personaggi scaturiti dalla matita di Groening (nato da famiglia ebraica ma autodefinitosi agnostico), in effetti, interpretano come pochi altri il bisogno di socializzazione, di legami sociali in genere oggi negati, ma anche di andare oltre, di cieli almeno parzialmente aperti in tempi di cieli chiusi, della generazione del dopo 11 settembre: considerandola capace di sentimenti, preda di paure irrisolte, aperta al racconto di storie che prendono di petto il groviglio che alberga in tante vite.
Gli abitanti di Springfield dimostrano, infatti, a ogni piè sospinto di essere in primo luogo una vera e propria comunità, una compagnia di amici più che di concittadini, con tanto di mito fondatore, feste ricorrenti e tradizioni locali. E fungono da conferme viventi che il soprannaturale e le sue deviazioni fanno parte a pieno titolo del teatro della quotidianità, ed è assai più interessante imparare a gestirli che temerli ossessivamente. Certo, irridendo, il più dei casi, gli scenari del sacro, a partire dalla civil religion di marca squisitamente americana («Ma Marge, e se avessimo scelto la religione sbagliata? Ogni settimana faremmo solo diventare Dio più furioso!», dice Homer alla moglie per sfuggire alla funzione domenicale; mentre Lisa si scandalizza della strumentalizzazione delle orazioni al Cielo del fratello con un perentorio: «La preghiera: l’ultimo rifugio di una canaglia!»; ed è ancora Homer a lasciarsi scappare un «Dio è il mio personaggio immaginario preferito»).
Al tempo stesso, si inneggia esplicitamente a un dialogo interreligioso fatto di prassi più che di riflessioni metafisiche. (…) E ci si rivolge in presa diretta a Dio (raffigurato secondo i crismi dell’iconografia classica come un uomo enorme dotato di lunga barba bianca, di cui non si vede il volto) nei momenti di maggiore crisi. Mentre il reverendo Lovejoy, pastore di una non meglio precisata chiesa evangelica cittadina, regolarmente sbeffeggiato dal duo Homer/Bart, e più intento a conservare una qualche autorità sociale che a rispondere alle richieste dei suoi fedeli: tanto che a un certo punto sarà la stessa Marge a prenderne il posto, come Signora Ascolta, per replicare attivamente ai loro dubbi e problemi.
In realtà, a essere presa di mira non è tanto l’istituzione Chiesa, ma i suoi rappresentanti. La domenica, infatti, c’è tutto il paese alla funzione, magari con livelli di attenzione diversi al sermone: come nell’episodio in cui il solito Homer si isola da tutto, grazie a una minuscola radio, per non perdersi l’esito finale di un match sportivo. Mentre Bart convoca l’Altissimo anche in relazione alla propria passione preferita: «Fino a oggi non sapevo perché Dio mi aveva messo sulla terra. Ora lo so: per comprare quel fumetto!».
Come osserva l’esperto Luca Raffaelli, il fatto è che «i Simpson sono l’unica serie televisiva animata che si permette di parlare di Dio, e di quello con la D maiuscola». E i contatti diretti di Homer con Lui, del resto, gli confermano l’inutile prolissità delle prediche di Lovejoy, in un episodio in cui il capofamiglia si rifiuta di accettare la noiosità del rito di ogni domenica. Mentre Homer litiga con Marge che fa la parte di quella ligia a ogni dovere civilreligioso, è infatti lo stesso Padreterno che – dalle nuvole in cui abita con veste fluente e sandali ultracomodi – lo rassicura sull’effettiva insignificanza di una partecipazione puramente rituale. Quasi un monito sull’urgenza di rinfrescare il linguaggio ecclesiale!
Ma il passaggio più esilarante è forse, al riguardo, un monologo homeriano, in uno dei suoi (rari) momenti di grazia, che produce la seguente preghiera, davvero sui generis: «Caro Dio: gli dei sono stati benevoli con me. Per la prima volta nella mia vita, ogni cosa è assolutamente perfetta. Quindi ecco il patto: tu fermi ogni cosa così com’è, e io non ti chiederò mai più niente. Se è ok, per favore non darmi assolutamente nessun segno... (silenzio). Ok, affare fatto. In gratitudine, io ti offro questi biscotti e questo latte, se vuoi che li mangi per te, non darmi nessun segno... (silenzio) sarà fatto!».
Esauritesi le preoccupazioni degli inizi degli anni Novanta – quando la serie sbarcò in sordina nel Belpaese – con le riserve di genitori e pedagogisti sul linguaggio un po’ crudo e qualche scena violenta (Grattachecca e Fichetto), oggi il consenso sembra unanime. Il turpiloquio, a ben vedere, è ridotto al minimo; mentre gli accenni di violenza sono caricaturali e grotteschi, e dunque pieni di autoironia, fino a schiudersi in un effetto catartico.
La morale dei Simpson – sì, c’è anche una morale! – e insieme la loro idea vincente è, lo si accennava, che, alla fine, dopo il classico tsunami di peripezie e disavventure, ciò che può salvare il salvabile è solo il focolare domestico. Il nucleo familiare, per sgarrupato che sia, come bene-rifugio, investimento a lungo termine, àncora di salvezza in un universo denso di trappole: per dirla con un proverbio inglese, «east, west, / home’s best».
Anche il film uscito nei cinema, approdato in Italia nel settembre scorso, ce ne dà conferma: è attorno al desco di cucina che vengono ricompattate le tensioni e si ricompone l’ordine sociale, mentre tra un tacchino da ringraziamento e una bisteccona succulenta fioriscono le discussioni e le proposte più balzane. In una parola, c’è dialogo. Frizzante, altalenante, in grado di produrre sorprese e novità. Il che non è davvero poco, se ci pensiamo, di questi tempi malati di pochi happy end e di troppe banalità, per un universo fatto a forma di ciambella.
Brunetto Salvarani

SIA FATTA LA TUA VOLONTA’:
IL SIGNORE DEGLI ANELLI (TOLKIEN):
DANTE:
http://chiesaecultura.blogspot.it/2012/10/dante-promosso-allesame-di-fede-di.html

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