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venerdì 6 giugno 2014

DIPENDENZE e giovani (Dizionario)

GIOVANI E DROGHE LEGGERE

Marijuana, Canapa indiana, Cannabis, Canne & Spinelli, Hashish

Nonostante il suo consumo si sia ridotto negli ultimi vent'anni, la marijuana è ancora oggi la sostanza d'abuso più frequentemente consumata negli Stati Uniti e in Europa. I consumatori di marijuana costituiscono una popolazione eterogenea per età, etnia o sesso. Si stima che circa il 70% degli americani, di età compresa tra i 27 ed i 32 anni, abbiano consumato marijuana. Il 2-3% della popolazione ne fa uso quotidianamente. Il consumo di marijuana tra gli adolescenti costituisce un grave problema medico e sociale.
Le conseguenze del consumo di marijuana sulla salute sono ancora poco chiare e non ben caratterizzate.

Effetti


È noto che la marijuana influenza le funzioni sensoriali, psicomotorie e cognitive: il fumo di marijuana, in certi individui, determina una compromissione dell'abilità con cui determinati compiti, soprattutto se difficili ed impegnativi, vengono svolti. Ad esempio, è stata osservata una ridotta capacità nella guida dell'automobile, che risulta poi essere all'origine di tanti incidenti stradali.
Esistono però dei fattori che complicano l'interpretazione dei danni indotti dalla marijuana, quali il contemporaneo abuso di altre sostanze, una certa variabilità tra individuo ed individuo, lo sviluppo di tolleranza a certi suoi effetti e le difficoltà nella valutazione dei dati provenienti da una popolazione così eterogenea.


Perché i ragazzi fumano marijuana
A partire dalla preadolescenza sappiamo che nella formazione dei valori legati al presente (ad esempio nel campo della musica, dell'abbigliamento, del tempo libero, ecc.) il gruppo dei coetanei esercita un'influenza maggiore rispetto ai genitori e ciò si conferma anche nell'ambito del consumo di cannabis (hashish e marijuana). Attraverso l'osservazione di coloro che fumano gli spinelli i ragazzi costruiscono una rappresentazione personale di queste sostanze che esclude le categorie di rischio, di pericolosità e di emarginazione che contraddistinguono invece le droghe pesanti. Nel contesto dell'interazione con dei soggetti consumatori si rafforza l'immagine positiva della droga: con un po' fumo ti diverti di più, socializzi meglio, evadi un po' dalle menate quotidiane; che male c'è? E riguardo alla dipendenza? Nessun problema, se ci sono si fumano, altrimenti se ne fa a meno.
Fumare spinelli può costituire una sfida al mondo adulto per rimarcare la propria differenza e distanza; facilita la sensazione di appartenenza, soprattutto quando consente al soggetto di essere accettato dal gruppo; è un modo per dimostrare a chi rimane estraneo a questo tipo di esperienze che si è diversi, più coraggiosi, meno condizionati; ancora l'uso di cannabis, come l'adesione a certe mode, a certi gusti musicali, può essere visto dall'adolescente come un modo per partecipare alla cultura giovanile.
Assodato che non tutti i ragazzi che fumano gli spinelli hanno dei problemi o diventeranno tossicodipendenti (meno male!) ci chiediamo: l'uso degli spinelli cosa determina nei ragazzi cosiddetti 'normali'? e cosa determina nei ragazzi più fragili, più vulnerabili, i cosiddetti ragazzi a rischio?
Rispondere al secondo interrogativo è paradossalmente più agevole: quanto più un adolescente avverte delle difficoltà ad affrontare i compiti di sviluppo specifici della sua fase di vita (la definizione di sé e delle proprie scelte, la costruzione di rapporti di intimità con gli altri, ecc.) tanto più aumenta la possibilità che le droghe, a partire da quelle leggere, possano apparirgli come un mezzo per ridurre l'ansia, l'angoscia, l'incertezza. In questi casi il rischio di procedere verso una escalation, con utilizzo di sostanze sempre più pesanti, appare elevato, come dimostra il fatto che oltre il 95% degli eroinomani ha cominciato con le droghe leggere.
Per questa fascia di ragazzi l'uso di cannabis è deleterio: passano rapidamente dall'uso sporadico e ricreativo ad una assunzione giornaliera massiccia (5-8 spinelli al giorno) modificando anche le modalità di assunzione. Non più in compagnia del gruppo ma nella solitudine della proprio mondo interiore.


A proposito di: “Le canne non fanno male” e “Uso terapeutico”



“Nessuno è mai morto per uno spinello”, “una canna non fa male a nessuno ed è meno dannosa di un bicchiere di vino”, “è una sostanza naturale”, “sono molto più nocivi alcool e tabacco della cannabis”,… sono alcuni degli slogan che gli antiproibizionisti usano nella campagna per la depenalizzazione delle cosiddette droghe leggere che, oltre a puntare su presunti benefici terapeutici nella cura di malattie che impressionano l’immaginario collettivo, vogliono anche rimarcare l’assoluta innocuità per la salute, di un consumo puramente voluttuario.
Vediamo, allora, se è vero che “le canne non fanno male” andando a controllare ciò che dicono studi e ricerche scientifiche. 
Cannabis come droga d’inizio
Chi usa cannabis corre un rischio 60 volte maggiore di passare ad altre sostanze illecite rispetto a chi non consuma. La marijuana diventa in questo modo la porta d’accesso verso la sperimentazione di sostanze più forti e deleterie come cocaina ed eroina. Il 95% delle persone tossicodipendenti da eroina in trattamento in Italia ha iniziato con la cannabis.
 Alterazioni e danni Cerebrali, invecchiamento precoce
Il principio attivo della cannabis, tetraidrocannabinolo (THC), può provocare gravi alterazioni cerebrali.
E non solo, studi sugli effetti cognitivi dell’uso di cannabis riportano deficit nell’attenzione sostenuta nell’apprendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale e nella velocità di processamento delle informazioni. Anche in questo caso più precoce è l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate.
Il fumo della cannabis altera la memoria a breve termine, le percezioni, la capacità di giudizio e le abilità motorie.
A differenza dell’alcool, gli effetti sulle capacità e le funzioni neurocognitive della marijuana, persistono anche dopo il periodo di intossicazione, variando in base alla durata e alla precocità del periodo di esposizione.
Il consumo medio di cannabis comporta, sulla salute fisica di un uomo, un invecchiamento di otto anni.
Disturbi psicotici
Il cervello di un adulto che da adolescente ha consumato cannabis, risulta più vulnerabile ed esposto all’insorgere di disturbi mentali (depressione, psicosi e disturbi affettivi) .
Dipendenza e astinenza
L’uso di cannabis continuato nel tempo può condurre a dipendenza. Diversi sintomi sono stati descritti, anche associati a dosi molto alte di cannabis, tra i quali: umore irritabile o ansioso, accompagnato da modificazioni fisiche come tremore, sudorazione, nausea, modificazione dell’appetito e turbe del sonno.
Altri disturbi ed effetti negativi
L’uso di cannabis può provocare anche un’intossicazione acuta con sintomi come euforia, variazioni dell’umore, confusione, disorientamento, delirio, disforia, incremento della frequenza cardiaca a riposo, xerostomia, atassia, iperiflessia. Ma il consumo di cannabis può indurre anche panico e allucinazioni, psicosi acuta e, addirittura, coma.
Cancro ai polmoni e altre patologie polmonari
Il fumo di cannabis altera la composizione genetica del DNA aumentando il rischio di cancro.
L’uso cronico della Cannabis per inalazione (fumo) comporta effetti analoghi al tabagismo, cioè irritazione delle vie respiratorie, broncocostrizione e rischio di tumore polmonare. Il fumo di cannabis, infatti, contiene gli stessi prodotti della combustione riscontrati nel fumo di tabacco: monossido di carbonio, catrame, sostanze mutagene e cancerogene .

Concludo con un racconto che Bruno Ferrero dedica a tutti coloro che si lasciano tentare dalla droga, dall’alcol o dall’eccessiva velocità sulla strada.

LO SAPEVI
(Bruno Ferrero, L’importante è la rosa, Editrice Elle Di Ci, 1997, pp. 62, 63)
In una tribù indiana, i giovani venivano riconosciuti adulti dopo un rito di passaggio vissuto nella più stretta solitudine. Durante questo periodo di solitudine dovevano provare a se stessi di essere pronti per l’età matura.
Una volta uno di loro camminò fino a una splendida valle verdeggiante di alberi e radiosa di fiori. Guardando le montagne che cingevano la valle, il giovane notò una vetta scoscesa incappucciata di neve dal biancore abbacinante. “Mi metterò alla prova contro quella montagna”, pensò. Indossò la sua camicia di pelle di bisonte, si gettò una coperta sulla spalla e cominciò la scalata.
Quando arrivò in cima, vide sotto di sé il mondo intero. Il suo sguardo spaziava senza limiti, e il suo cuore era pieno di orgoglio. Poi udì un frusciò vicino ai suoi piedi, abbassò lo sguardo e vide un serpente. Prima che il giovane potesse muoversi, il serpente parlò.
“Sto per morire”, disse. “Fa troppo freddo quassù per me e non c’è nulla da mangiare. Mettimi sotto la tua camicia e portami a valle”.
“No”, rispose il giovane. “Conosco quelli della tua specie. Sei un serpente a sonagli. Se ti raccolgo mi morderai e il tuo morso mi ucciderà”.
“Niente affatto”, disse il serpente. “Con te non mi comporterò così. Se fai questo per me, non ti farò del male”.
Il giovane rifiutò per un po’, ma quel serpente sapeva essere molto persuasivo. Alla fine, il giovane se lo mise sotto la camicia e lo portò con sé. Quando furono giù a valle, lo prese e lo depose delicatamente a terra. All’improvviso il serpente si arrotolò su se stesso, scosse i suoi sonagli, scattò in avanti e morse il ragazzo a una gamba.
“Mi avevi promesso…”, gridò il giovane.
“Sapevi che cosa rischiavi quando mi hai preso con te”, disse il serpente strisciando via.

GIOVANI E ALCOOL


Ma l’alcol è una droga?
di Alberto Friso Il Messaggero di Sant'Antonio, marzo 2010
L’idea imperante è: bevo forte e mi drogo, ma non sono alcolista né tossicodipendente. Non sono tossico perché la droga «è un’altra cosa», non sono dipendente perché posso fermarmi quando voglio, in fin dei conti mi sballo solo il sabato sera.
Va detto comunque che la dipendenza è una seconda fase del consumo di alcolici e sostanze: il guaio è che molti ragazzi sottovalutano il livello precedente, cioè quei comportamenti a rischio che, nonostante siano magari saltuari, possono essere la porta d’accesso a guai ben più seri, e che già nell’immediato provocano danni alle cellule di molti organi, in primis fegato e sistema nervoso centrale. Il binomio «alcol e droga» è quasi sovrapponibile anche dal punto di vista medico. Non a caso l’Oms classifica l’alcol né più e né meno tra le droghe: è una sostanza tossica, potenzialmente cancerogena, può indurre dipendenza e assuefazione, e infine ha potere psicoattivo, cioè modifica il funzionamento del cervello.
Girando un po’ per il web si trovano tanti segnali dell’aria che tira. Partiamo da Youtube, il più famoso tra i siti di condivisione di video: non manca chi mette in mostra le sbornie proprie o degli amici, e addirittura chi si immortala mentre guida ubriaco, attirandosi i commenti furenti di altri internauti.
Le voci di chi c’è dentro
Ci trasferiamo su Facebook, ancora alla ricerca di segnali dei giovani bevitori. Peschiamo subito il gruppo Non siamo alcolisti anonimi ma ubriaconi famosi!, che conta oltre 104 mila fans, ed è un club «riservato a quelle persone che, a un certo punto della giornata, stufe delle rotture lavorative, esclamano con gioia e disprezzo che la sera stessa andranno a ubriacarsi per liberare la mente...». Ancora più lanciato il gruppo Con più alcol che sangue nelle vene, dal quale prendiamo un messaggio indicativo dell’amore-odio per la sostanza. Dice Dario: «Ho un post sbornia spaventoso, sto male, ho le budella rivoltate,sensazione di morte e una paura fottuta. A mettermi ko è stata una serie di shot con la seguente combinazione: metà jagermeister metà assenzio. Avrete la sensazione di bervi una bottiglia di tantum verde, ma dopo il quinto non ci farete più caso, potreste bervi qualunque cosa... Stasera mi ubriacherò». Non si pensi a persone «strane», fuori dal giro. Katilla su Girlpower.it rivendica la sua «normalità»: «Anche io ho vomitato un bel po’ di volte il sabato sera, ma il sabato pomeriggio qualche volta facevo volontariato dagli anziani, a scuola vado molto bene, e in generale non farei male a una mosca! Per dire che uno che il sabato sera esce con gli amici e finisce a sboccare (non sempre sempre!) non deve per forza essere un alcolizzato (non tocco alcol abitualmente) o un maniaco deviato e delinquente! Siamo giovani, spassiamocela!».

«È la percezione del pericolo – spiega il professor Scafato – quella che manca in tanti giovani bevitori. Non è stata trasmessa, in primis, dalla famiglia. Non si dice mai che l’alcol espone immediatamente a un rischio di disabilità, mortalità prematura e malattia di lunga durata».

Katilla poi rappresenta un esempio dei nuovi consumatori, ovvero le giovani ragazze. Nel decennio 1998-2008 (dati Istat) il consumo occasionale delle 18-24enni ha quasi raggiunto la quota dei maschi, mentre quello fuori pasto è salito dal 20,8 al 33,5 per cento. A livello di criticità, l’Italia detiene un brutto record: siamo i più precoci bevitori europei, con una media di 12,2 anni contro i 14,6 continentali.

«Riguardo ai minorenni – commenta Scafato – il problema è grave, e coinvolge tutti, a partire dalle istituzioni. L’alcol sotto i 15 anni è un forte tossico, va evitato completamente. Ma in Italia sotto i 16 anni è vietata solo la somministrazione al bar, mentre la vendita, la detenzione e la cessione di bevande alcoliche sono libere, a differenza dal resto d’Europa. Per questo sono intervenute a macchia di leopardo, attraverso quella che io chiamo una politica di controllo “creativa”, le municipalità e i Comuni, adottando regolamenti che hanno almeno il pregio di aver individuato il problema. È il caso di Milano, ad esempio. C’è chi ha parlato di proibizionismo, ma l’ottica non è proibire, bensì innalzare il livello di protezione. Prevenzione in alcuni casi significa adottare politiche di controllo. Tutti coloro che non sono particolarmente inclini a sentirsi controllati – e mi riferisco al settore che trae guadagno dall’alcol – è ovvio che si lamentino, ma i ragazzi hanno bisogno di regole. Chi invoca l’assenza di regole va contro l’interesse dei ragazzi e soprattutto dei minori».

Mamma, ho preso la sbronza
LA STAMPA, 15.6.09
Alcol tra gli adolescenti, è allarme: non si beve per dimenticare, ma per vivere
Come si festeggia la fine della scuola? Con una sbronza. Come ci si prepara al primo appuntamento con una ragazza? Con un paio di bicchieri. E che cosa si fa a un compleanno, in discoteca, al pub con gli amici, soprattutto d'estate? Si beve, tanto, troppo. Parliamo di ragazzi di terza media e primo anno delle superiori, fra i 13-15 anni, chiusi nel loro mondo, carichi d’insicurezze e paure. In teoria, essendo vietato, il loro consumo di alcolici dovrebbe essere vicino allo zero. Invece non è così. Cominciano con una birra a 11 anni, a 15 mescolano allegramente superalcolici e vino.
«Una cosa da duri» - (…) Chi beve lo fa «per non pensare alle cose brutte», «per sentirsi invincibile», «sciolto, libero, felice», addirittura «più bello», perché «è una cosa da duri», «si ha l'impressione che niente può andare storto». Ma anche «per una botta di vita», «per divertimento», «per fare colpo», «per essere figo». Non ci si ubriaca più per dimenticare ma per vivere. (…) «Il 67% dei 13-15enni beve al sabato sera. Di questi, il 20% si ubriaca nel fine settimana. I dati dimostrano che tra i teenager è diffuso il fenomeno del binge drinking, bere sei o più bicchieri in un’unica occasione. Gli happy hour aumentano del 70% il rischio del pronto soccorso». E l'happy hour è responsabile del flirt, sempre più stretto, tra le ragazzine e l'alcol (55%).
Paura di crescere - Ma l'aspetto più importante della ricerca sta nelle motivazioni, nella percezione di sé che hanno questi adolescenti. Nessuno associa l'ubriachezza al timore di essere scoperto, al senso del proibito, alla trasgressione. La birra, il vino, la vodka, il rum, il limoncello sono la stampella di un Io fragile che cerca conferme nel gruppo. Tutti vogliono essere simpatici, spiritosi, brillanti. E bere aiuta. Alla domanda: «Che cosa apprezzano di te i tuoi familiari?» la maggioranza risponde: «Non lo so, non ne ho la più pallida idea». Stessa cosa per gli insegnanti. L'unica paura vera è quella di crescere: «Vorrei che il tempo si fermasse per rimanere così», «Cerco di essere sempre più bambino, il pensiero di essere grande con tante responsabilità mi spaventa». Oppure: «Sono talmente confusa su che fare del mio futuro che a volte mi sembra d’impazzire frantumandomi in mille pezzi». E raccontano storie di serate alcoliche con amici che hanno visto diventare confusi, violenti, «dare di matto», vomitare e avere allucinazioni. L'altro aspetto dell'indagine riguarda padri e madri. (…) Metà dei genitori sa che i figli bevono, soprattutto durante il fine settimana, e pensa che lo facciano perché «vogliono sentirsi grandi» ma anche per tristezza, depressione e noia. La maggioranza vuole capirne i motivi e anche «fare ricorso a punizioni». Emerge forte la delega delle responsabilità («maggior ricorso alle leggi e ai controlli»). Indebolita la famiglia, proiettati verso l'esteriorità, questi ragazzini si spezzano per niente, anche per un esame andato male.

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