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mercoledì 2 luglio 2014

DOLORE INNOCENTE (Dizionario)

“Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza.
Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore,
non dalla croce, ma nella croce”
(Bonhoeffer)

Il Venerdì Santo del 2011 il Papa ha voluto, per la prima volta, rispondere in una trasmissione televisiva, (A Sua Immagine, Rai 1), ad alcune domande poste da alcuni bambini. La domanda di una bambina giapponese va dritta al cuore della grande questione del male innocente (cioè non causato dalla cattiveria umana) che affrontiamo su questa terra sotto forma di malattie, cataclismi naturali… Lo scandalo del dolore innocente è intollerabile e incomprensibile, specie quando ha come vittime dei bambini.
Elena, la bambina giapponese di sette anni che si è rivolta al Papa chiede: “Ho tanta paura perché la casa in cui mi sentivo sicura ha tremato tanto, e molti miei coetanei sono morti. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché i bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di spiegarmelo”.
Risponde il Papa:
Cara Elena, anche a me vengono le stesse domande: perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. Mi sembra questo molto importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra parte, e siete sicuri che questo vi aiuterà. (…) Un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che c’è un progetto buono, un progetto di amore dietro (…)”.
In una udienza, pochi giorni dopo, il Papa torna sull’argomento e, parlando a braccio, commenta l’episodio dei tre discepoli che, al Calvario, nell’ora dell’angoscia più grande del Cristo, si addormentano. Quel sonno il Papa lo paragona alla nostra indifferenza rispetto al male del mondo e dice: «È una certa insensibilità dell’anima per il potere del male, per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose, vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo». Non è forse proprio ciò che facciamo davanti alle immagini del terremoto in Giappone, o ai numeri dei morti per fame nel mondo, o a quelle barche di profughi che talvolta sprofondano nel Mediterraneo, tra grida che nessuno sente, nel buio del mare? È vero: noi ascoltiamo, ci rammarichiamo, poi voltiamo pagina e cerchiamo di non pensare. Saremmo sopraffatti dall’oscurità se sapessimo davvero quale e quanto male ogni giorno si compie su questa terra. Dobbiamo pur sopravvivere: e dunque sonnecchiamo – come quei tre, nel Getsemani. Enorme è il male sotto al sole; ma soltanto nella certezza che Cristo ha vinto la morte il dolore è affrontabile. Solo se in Cristo tutti quelli che muoiono abbandonati sono salvi, e finalmente abbracciati, possiamo alzare gli occhi, e guardare il male, e affrontarlo, senza esserne travolti; possiamo vegliare, come era stato chiesto a quei tre.
(da Marina CorradiIl male innocente, Avvenire, 22.4.11)

Non la sofferenza ma solo l’amore salva
da Messagero di Sant'Antonio lug 2009
«... mi aspettavo anche una riflessione sul fatto che la sofferenza conduce alla salvezza… La sofferenza, infatti, ci rende graditi a Dio, ed è un bene prezioso da offrire per la conversione del mondo. Non è così?».
La sua domanda, mette a fuoco un’altra questione, che riguarda il significato salvifico del dolore. Vale a dire, la sofferenza del cristia­no (una malattia invalidante, un abbandono, un torto subìto, ecc.) hanno un qualche va­lore positivo in ordine alla salvezza? Se leggiamo i vangeli, l’unica sofferenza con valenza salvifica è quella derivante dalle perse­cuzioni contro la fede.
Soffrire senza rinnegare la propria fede in Dio è l’atteggiamento credente per eccellenza, che all’estremo può condurre al martirio, ma anche in questo caso non è la sofferenza ad essere gradita a Dio quanto piuttosto la fiducia incrollabile in lui esercitata pur dentro un contesto di durissima prova. Il cristiano accetta di perdere la vita quando non c’è altro modo per non perdere il suo legame con Dio, giudicato come realtà che fonda l’identità personale più genuina e profonda. E lo sguardo, a questo punto, non può che posarsi su Gesù, che la tradizione cri­stiana considera come modello di ogni mar­tirio. Anche qui va chiarito il fatto che Dio non approva e tantomeno apprezza la croce alla quale il Figlio è appeso dagli uomini. Gradito a Dio è piuttosto l’amore che porta Gesù ad accettare la croce: questa viene abbracciata (non scelta ma accolta) nel momento in cui intraprendere un’altra strada significherebbe tradire la missione affidatagli dal Padre, quella cioè di manifestare in pienezza agli uomini il suo volto di misericordia. È qui la grande svolta del vangelo: non gli uomini – come è nell’immaginario religioso di molti – devono sacrificarsi per rendere onore a Dio, ma Dio si lascia inchiodare alla croce perché gli uomini abbiano la vita e vedano finalmente il volto di un «Dio diverso», non vendicativo, «umile». Nella prospettiva cristiana, ben riassunta dall’immagine dolente ma assolutamente liberante e originale della croce, l’amore non si impone bensì si propone, si offre e perciò soffre.
Tornando sulla via maestra del nostro discorso, è chiaro dunque che non la sofferenza ma l’amore salva. La sofferenza non è ricercata dal cristiano per se stessa, per il fatto di avere un qualche peso specifico in ordine alla salvezza, quasi fosse un sigillo di garanzia di autenticità della fede. Solo che il permanere nell’amore (quando c’è rifiuto, disprezzo, indifferenza) richiede per tutti il pagamento di un prezzo salato. Il dolore e la sofferenza – con le varianti del caso – sono in genere questo prezzo: non il fine, dunque, ma l’inevitabile pedaggio per una fedeltà nell’amore che voglia essere leale e incrollabile.
Ci dobbiamo distanziare da un certo dolorismo che in passato ha condotto a una superficiale e dannosa esaltazione della sofferenza in sé, senza offrirne la specifica connotazione cristiana. Non è vero che ogni sofferenza è cristiana, così come non è vero che ogni croce è la croce di Cristo. Mi fermo qui, anche se rimane in sospeso una seconda questione: è possibile, e come, offrire a Dio la propria sofferenza?
IL MALE INNOCENTE e il “caso” DE MATTEI

Lo storico Roberto de Mattei, vicepresidente del CNR (Consiglio nazionale delle ricerche scientifiche) non immaginava che la riflessione da lui fatta dai microfoni di Radio Maria, nel corso di una rubrica mensile intitolata: alle radici cristiane, sarebbe stata usata per chiedere le sue dimissioni dal CNR, per incompatibilità tra le idee espresse in quella occasione e il ruolo scientifico che la sua carica presuppone. Rilanciate dall'Unione atei e agnostici razionalisti, le parole di De Mattei sono diventate, in un titolo della Stampa, l'affermazione che "il terremoto è un castigo di Dio": "Il suo, insomma; è un punto di vista non particolarmente basato sulla scienza - ha scritto la giornalista Flavia Amabile - ed è abbastanza comprensibile: se si legge il suo curriculum si nota che non è uno scienziato ma uno storico con evidenti radici cattoliche". E' il professor De Mattei a spiegarci che "i temi da me trattati da un anno nella rubrica su Radio Maria, da privato cittadino e ovviamente senza che sia mai stato citato il mio ruolo al Cnr, sono di carattere religioso. Ho parlato del mistero del male, accostando due episodi di sofferenza: il terremoto giapponese e l'assassinio del ministro pachistano cristiano Shahbaz Bhatti, un male indipendente dalla volontà dell'uomo e un male originato dalla persecuzione e dall'odio umano. Ho detto testualmente che non c'è male morale nel terremoto perché il terremoto viene dalla natura, che è in sé buona, è creata da 'Dio, e se Dio permette i terremoti e altre sciagure, esistono ragioni che egli conosce e che noi non conosciamo".
De Mattei ha ripreso alcuni passi di quanto monsignor Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro, pubblicava in un libriccino all'indomani del terremoto di Messina, nel 1908. "Mazzella, a proposito del male inspiegabile, della catastrofe che colpisce indiscriminatamente, faceva una serie di ipotesi. La prima è che attraverso queste sciagure Dio ci stacca dai beni della terra e ci fa sollevare gli occhi al cielo. Una seconda ipotesi - ipotesi, non sentenza - è quella della punizione, una terza è che attraverso la sofferenza e il sacrificio le anime hanno la possibilità di unirsi a Dio. Ho aggiunto che l'unica cosa certa, per noi credenti, è che una ragione per Dio c'è, anche se non ci è dato comprenderla. Tutto ciò che accade ha un senso”.
Si rimprovera a De Mattei il passaggio in cui dice che "ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi, il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire". (…) De Mattei dice che "dovrebbe essere evidente che un credente, come io sono, all'interno di una meditazione dettata dalla fede abbia il diritto di ricordare quello che la dottrina cattolica, il magistero dei padri e dei dottori della chiesa, degli stessi Pontefici, ripete da sempre: Dio non ha creato il mondo per disinteressarsene". Il problema, secondo lui, è che "chi chiede le mie dimissioni vuoi fare passare il principio che un cattolico non possa svolgere funzioni pubbliche. Chi crede nel dogma dell'Immacolata Concezione non potrà quindi mai più insegnare all'Università? Chi fa la comunione, e quindi crede nella transustanziazione, dovrà nascondere la propria fede perché antiscientifica? Gli insegnanti credenti che svolgono un ruolo pubblico, non potranno più andare a parlare di ciò in cui credono alla radio, cattolica o meno?". (…)
Einstein diceva che Dio non gioca a dadi con l'universo, il grande genetista cristiano Francis Collins ha scritto che la scienza è per lui una "opportunità di preghiera". Da declassare anche loro? Conclude De Mattei: "Sei credente? Bene, purché te ne rimanga in chiesa; senza occupare spazi pubblici né pretendere di parlare pubblicamente delle tue convinzioni".
(Il Foglio, 30.3.11)

Di tutt’altro tenore è l’intervista di Antonio Gnoli a De Mattei pubblicata su La Repubblica (11.4.11)con il titolo: “Il fondamentalista non riluttante”. L’avversione verso De Mattei è subito espressa: le sue idee hanno vinto “l’Oscar del ridicolo” con “tesi balzane e in ogni caso antiscientifiche, come il creazionismo, l'immutabilità delle specie”. Ricorda che il vicepresidente del CNR dirige il periodico Le radici cristiane, insegna alla Nuova Università Europea che appartiene ai Legionari di Dio. Il suo ultimo libro (pubblicato da Lindau) è una rilettura molto polemica del Concilio Vaticano II. Alcune domande risultano comunque interessanti:
Come è avvenuta la sua nomina al CNR?
"Fu la Moratti, nel 2004 Ministro dell'Istruzione, a nominarmi".
Perché scelse lei?
"Il Cnr ha anche un settore minoritario dedicato alle scienze umane. Al cui interno cadono le mie competenze… La contestazione alla mia nomina, una vera e propria levata di scudi, si basava sul fatto che la mia cultura cattolica era negatrice di alcuni valori fondanti della democrazia occidentale. Non ho mai nascosto che la fede religiosa non sia solo una questione privata, ma vada testimoniata pubblicamente...Se Dio permette questo male non intendo dire che sia l'autore del male, perché altrimenti cadremmo in una visione manichea. Non esiste un Dio del male. Egli è il sommo bene capace di trarre il bene dal male. Anche dalla catastrofe giapponese".(…)


di Arnaldo Pangrazzi

IL VOCABOLARIO DELLA SOFFERENZA

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