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sabato 22 novembre 2014

EVANGELIZZARE (dizionario)

EVANGELIZZARE. Nuovi stili di evangelizzazione

Cf. E.Bianchi, Nuovi stili di evangelizzazione, San Paolo, 2012

“Evangelizzare vuol dire insegnare l’arte di vivere…
(lasciare che Gesù ci dica:)
io vi mostro la strada della vita, la strada alla felicità, anzi:
 io sono questa strada…”
(J.Ratzinger)

Nuova evangelizzazione: Giovanni Paolo II ne inizia a parlare nel 1979 e da allora diventa motivo ricorrente dei suoi interventi e parola d’ordine dell’intera Chiesa.

Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi così scriveva:
Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d'amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore…
Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d'essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo.


Tra i destinatari dell’evangelizzazione sono da annoverare i cristiani stessi. Si pensi ai cosiddetti “cristiani a intermittenza”, ossia quelli che vivono la pratica cristiana non nel ritmo tradizionale scandito dalle domeniche e dai tempi liturgici, ma in occasione di eventi particolari segnati dai grandi numeri o da luoghi come i santuari.
Oppure si pensi ai “cristiani ricomincianti”, persone che, dopo aver ricevuto l’iniziazione cristiana, si sono allontanati dalla fede, e in età adulta bussano alla porta della chiesa per riscoprire le loro radici. (…). Ma non vanno dimenticati neppure i “cristiani praticanti o impegnati”, sempre esposti a un rischio assai sottile: la pretesa di annunciare agli uomini un Vangelo che essi non vivono in prima persona.

Oggi siamo in una società secolarizzata: siamo passati da epoche in cui di fatto era impossibile non credere in Dio a un’epoca culturale in cui credere in Dio è una possibilità tra le tante.
Vi si riscontrano due fenomeni prioritari: l’indifferentismo e il pluralismo religioso, dovuto soprattutto alle migrazioni di credenti di altre religioni nel nostro continente. Essi affermano, con il loro stesso esserci, che il cristianesimo può essere insignificante e che si può vivere bene anche senza di esso (...) e fa intravedere al cristianesimo la possibilità di doversi considerare una proposta tra le tante, senza titoli di superiorità né, tanto meno, di assolutezza.
Tutto ciò deve spingerci a porre domande interessanti: perché il cristianesimo ha cessato di essere interessante agli occhi di molti?
Del resto, il cristianesimo è un’offerta, non un’imposizione.
Quanto al pluralismo religioso: non si incontra mai una religione, bensì uomini e donne, tutti “creati a immagine e somiglianza di Dio”, che appartengono a determinate tradizioni religiose. In questo “camminare accanto”, in questo vivere gli uni a fianco degli altri, i cristiani non devono imboccare vie apologetiche né assumere atteggiamenti difensivi o, peggio ancora, aggressivi, ma devono saper creare spazi di vita e di accoglienza, in vista dell’edificazione di una pòlis non semplicemente multiculturale e multi religiosa, ma interculturale e interreligiosa. Qui più che mai i cristiani sono chiamati a creare spazi comunitari a partire dalla loro capacità di essere uomini e donne di comunione e a rendere le loro chiese autentiche “case e scuole di comunione[1] per tutti gli uomini.
Il cammino di evangelizzazione richiede conoscenza dell’altro e della sua fede, capacità “pentecostale” di parlare la lingua dell’altro (cf. At 2,4.11), di farsi prossimo nel senso evangelico di chi si è fatto vicino a noi fisicamente (cf. Lc 10,36-37), mostrando così di credere nell’unico Padre e di riconoscere la fraternità universale. Di fronte all’altro prima di evangelizzare occorre imparare l’alfabeto con cui rivolgersi a lui, manifestando concretamente una vicinanza e una simpatia “cordiali”.
Rimane infine aperto il problema dell’evangelizzazione (o trasmissione della fede)delle nuove generazioni appartenenti a famiglie che sono cristiane ma nelle quali sono presenti un’incapacità di trasmissione e una labilità nel rapporto con la comunità cristiana tali da impedire ogni “lascito” o eredità religiosa. Si registra “una rottura delle tradizioni” che ferisce la memoria collettiva della nostra società, con grande responsabilità del sistema educativo, familiare, scolastico e parrocchiale.
I giovani di oggi non professano un’incredulità intellettuale e neppure un’indifferenza giustificata: cercano proposte di senso, vogliono tentare un cammino che trovi senso con gli altri, non apprezzano gli a-priori e le soluzioni prefabbricate[2]. Non è riscaldando la liturgia con effetti musicali particolari e sensazionali, né convocando raduni oceanici in forma di happening che si risolverà il problema della trasmissione della fede.

Perché evangelizzare
Perché Dio si è fatto uomo? “Per salvarci”, ripete l’occidente; “perché l’uomo diventi Dio”, afferma l’oriente. Ma in realtà potremmo dire che Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi veramente uomo: uomo come Dio l’ha voluto e creato, uomo la cui immagine è il Figlio, uomo che è salvato dal male e dalla morte, uomo che partecipa della stessa vita, anzi della stessa natura divina (cf. 2Pt 1,4).
L’evangelizzazione, allora, è l’annuncio di un uomo, Gesù Cristo, che ha narrato Dio (cf. Gv 1,18): proprio quest’uomo, come noi in tutto eccetto che nel peccato, indica strade che diano senso, per una umanizzazione vera e piena.
Solo chi ha una ragione per cui vale la pena di donare, di spendere la vita, fino a morire, ha anche una ragione per vivere. E Gesù questa ragione l’aveva: l’amore per i fratelli, il servizio agli uomini. E questa ragione ci apre alla speranza: la morte che vince tutti è stata vinta in Gesù Cristo. Perché “l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6), è più forte della morte (cf. 1Cor 13,8): solo l’amore può vincere la morte, e l’amore di Dio, espresso e vissuto da Gesù, ha riportato questa vittoria definitiva.

Il contenuto dell’evangelizzazione (è Gesù Cristo)
Viviamo in un mondo sempre più secolarizzato e tuttavia, paradossalmente, attraversato dal “religioso”, cioè da una aspirazione religiosa diffusa e fragile, che spesso appare più effervescente che profonda. Proprio per questo si è istaurato un vero e proprio mercato con offerta seducente delle varie vie religiose, in cui è possibile usufruire di una sorta di “menu delle religioni”. Ma non ci si illuda: questa effervescenza inquieta del religioso non è affatto più favorevole al cristianesimo di quanto lo sia la secolarizzazione: si tratta infatti di una religiosità che fugge la responsabilità nella storia, la relazione personale con un Dio personale, la comunione nella confessione di un Dio Padre.

E’ una questione anche di stile: non si può annunciare un Gesù che racconta Dio nella mitezza, nell’umiltà, nella misericordia, e farlo con stile arrogante, con toni forti o addirittura con atteggiamento che appartengono alla militanza mondana!
Paolo VI ci ricorda come il cristiano deve “guardare al mondo con immensa simpatia perché, se anche il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo…qualunque sia l’atteggiamento del mondo verso di esso”.

Dobbiamo ricordare a tutti che la vita cristiana è buona, bella e beata:
-          la vita cristiana è “buona”: abitata dalla carità, dal fare il bene, dall’amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia, coloro con i quali Cristo stesso ha voluto identificarsi.
-          La vita cristiana è umanamente bella, arricchita dalla gioia dell’amicizia, circondata dall’armonia della creazione e illuminata da uno sguardo di amore sulle realtà più concrete di ogni esistenza umana.
-          La vita cristiana è una vita felice, beata. Certo, non in senso mondano, ma felice nel senso vero, profondo, perché la felicità è la risposta alla ricerca umana di senso.


[1] Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 43
[2] Cf. A.Matteo, Il cammino del giovane, Qiqajon, 2012

 

Nuova evangelizzazione (secondo Chiara Lubich)


Chiara Lubich (dal discorso ai Vescovi amici del Movimento dei Focolarini, 24.2.2002)
Come mai alla parola “evangelizzazione” è stato aggiunto l’aggettivo “nuova”?
Lo ha fatto Giovanni Paolo II per la prima volta nel 1983. Durante gli anni seguenti, poi, ha formulato dei principi, delle caratteristiche di questa “nuova evangelizzazione”.
Intanto occorre dire che, fin dai primi decenni del ’900, aveva in certo modo pronunciato questa parola “nuova” lo Spirito Santo, quando ha iniziato a mandare sulla terra – come fa di tempo in tempo – carismi particolari, per una rievangelizzazione della cristianità, che ne aveva bisogno, ed una più estesa evangelizzazione dell’umanità, dando origine così a vive e vibranti nuove forme associative, come i Movimenti e le Comunità ecclesiali.
I principi e le caratteristiche più importanti della “nuova evangelizzazione” annunciata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio (1990) sono una decina.
L’evangelizzazione deve essere:
1. nuova nel suo ardore;
2. nuova nei suoi metodi;
3. nuova nelle sue espressioni;
4. il primo annuncio che deve fare è: “L’uomo è amato da Dio”;
5. è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature;
6. occorre prima evangelizzare se stessi;
7. la Parola del Vangelo che metterà in rilievo sarà l’amore;
8. dovrà attuare e far attuare il Comandamento Nuovo di Gesù;
9. non la si potrà realizzare senza puntare sulla santità;
10. per una “nuova evangelizzazione” necessiterà naturalmente anche la Parola detta.
Tutti chiamati ad evangelizzare
Come si sa, le Parole di Gesù: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15) segnano la nascita dell’evangelizzazione.
Esse erano dirette ai suoi apostoli, ai loro successori ed a quanti avrebbero collaborato con loro.
E per 20 secoli è stato così.
Tutti i cristiani, e non solo, sono a conoscenza di missionari vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e qualche laico che, lasciando patria, casa, famiglia, lavoro, studi..., hanno adempiuto, lungo i secoli, questo comando. E a tutti è noto quale tipo di vita essi abbiano scelto per compiere tale missione; e quale esistenza, spesso eroica, abbiano condotto e conducano, ancor oggi, per annunciare il Vangelo alle genti. Evangelizzazione questa che, pensiamo, continuerà.
Primo principio: “nuova nel suo ardore”
Tuttavia oggi la Chiesa, per bocca del Papa, afferma la necessità di una “novità”.
Anzi, parlando ai vescovi del Celam in Haiti, già il 9 marzo ’83, il Santo Padre precisava che deve essere “nuova nel suo ardore”. E sarà tale se, man mano che procede, cresce, in chi la promuove, l’unione con Dio.
L’evangelizzare gli altri, i prossimi, il mondo, ha da portare, dunque, un aumento dell’unione con Dio in chi la opera. (…)
Poiché vi è uno stretto legame fra l’amore al prossimo e l’amore a Dio, più cresce l’uno, più aumenta l’altro e viceversa. Più cresce la radice di una pianta, più s’alza il fusto. E più s’allunga quest’ultimo – per il contributo dell’ossigeno, ad esempio –, più s’affonda la radice.
Ecco, quindi, la possibilità per tutta la Chiesa di una “evangelizzazione nuova” che fa crescere l’unione con Dio, l’“ardore” nei cuori.
Secondo principio: “nuova nei metodi”
Questa evangelizzazione deve essere “nuova nei metodi”. Lo ha detto il Santo Padre nel 1988, in un’omelia a Salto, in Uruguay.
Nuova nei metodi significa che, questa volta, sarà attuata non solo da persone speciali, come sarebbero gli ecclesiastici o i religiosi, ma dall’intero popolo di Dio.
Lo Spirito Santo, nel caso nostro, ha scelto sin dall’inizio proprio laici, o meglio laiche, per suscitare questa realtà ecclesiale, che è strumento di evangelizzazione.
È anche qui, dunque, il popolo che evangelizza e lo fa da quasi 60 anni. Ora però questo metodo deve diventare prassi per tutta la Chiesa.
Terzo principio: “nuova nelle sue espressioni”
La “nuova evangelizzazione” sarà nuova anche “nelle sue espressioni”. Afferma sempre il Santo Padre: «È ormai tramontata, anche nei Paesi di antica evangelizzazione (come l’Europa), la situazione di una ‘società cristiana’, che (...) si rifaceva ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare (...) una situazione (...) nel contesto della globalizzazione e del nuovo (...) intreccio di popoli e culture che la caratterizza»(Novo Millennio ineunte, 40).
Per questo occorrono nuove espressioni di evangelizzazione. E non c’è dubbio che fra le forme di evangelizzazione moderne emergano i dialoghi, nei quali sono impegnati pure diversi Movimenti o Comunità ecclesiali: dialogo tra i cattolici (tra i vecchi e nuovi carismi) per essere “Chiesa-comunione”, dialogo ecumenico dove facciamo calcolo del molto che abbiamo in comune con i cristiani delle altre Chiese, dialogo interreligioso nel quale, come primo passo, cominciamo col vivere assieme la “Regola d’oro” presente in quasi tutti i Libri Sacri, regola che, nel Vangelo, recita così: «Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi» (cf Lc 6, 31);dialogo con persone di buona volontà. Si tratta dei quattro dialoghi già annunciati da Paolo VI nell’Ecclesiam suam7, previsti oggi da Giovanni Paolo II per la Chiesa intera.
Quarto principio: “l’uomo è amato da Dio”
Il primo annuncio da dare sarà: “L’uomo è amato da Dio!”, perché – ha detto il Papa ai vescovi degli Stati Uniti nel 1998 – «l’evangelizzazione è lo sforzo della Chiesa di proclamare a tutti che Dio li ama, che ha offerto la propria vita per loro in Cristo Gesù e che li invita a una vita eterna di felicità». (…)
Meravigliosa sintetica definizione della Buona Novella.
E qui si può capire come la precisazione di questo doveroso primo annuncio da fare al
mondo, non può non aver stupito noi ed altri. Non siamo soli, infatti, ad iniziare proprio,
in tal modo, l’evangelizzazione.
Per quanto ci riguarda, come molti sanno, lo Spirito Santo, sin dai primi giorni della
“nostra nuova vita”, ha impresso nel nostro cuore una forte convinzione: “Dio ci ama”.
Dicevamo a tutti, in tutti i modi: «Dio ci ama immensamente».
E noi abbiamo creduto all’amore di Dio e, da allora, abbiamo continuato ad annunciarlo nei 58 anni di vita del nostro Movimento. Ed è stato da quella fede che tutto è incominciato e s’è sviluppato dando origine così alla nostra “spiritualità dell’unità”.
In obbedienza allo Spirito Santo, che parla nel Santo Padre, ora quest’annuncio potrà essere universalizzato in tutta la Chiesa.
Quinto principio: “formare comunità cristiane mature”

Dalla VEGLIA DI PREGHIERA CON I GIOVANI (GMG 2013) DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Lungomare di Copacabana, Rio de Janeiro, Sabato, 27 luglio 2013
(…) ho pensato a tre immagini che ci possono aiutare a capire meglio che cosa significa essere discepolo-missionario: la prima immagine, il campo come luogo in cui si semina; la seconda, il campo come luogo di allenamento; e la terza, il campo come cantiere.
1. Primo: Il campo come luogo in cui si semina. 
- Forse a volte siamo come la strada: ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella nostra vita, perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali che ascoltiamo, Io vi domando, ma non rispondete adesso, ognuno risponda nel suo cuore: Sono un giovane, una giovane, intontito? 
- O siamo come il terreno sassoso: accogliamo con entusiasmo Gesù, ma siamo incostanti davanti alle difficoltà non abbiamo il coraggio di andare controcorrente. Ognuno di noi risponda nel suo cuore: Ho coraggio o sono un codardo? 
- O siamo come il terreno con le spine: le cose, le passioni negative soffocano in noi le parole del Signore (cfr Mt 13,18-22).
Io so che voi volete essere terreno buono, cristiani veramente, non cristiani part-time; non cristiani “inamidati”, con la puzza al naso, così da sembrare cristiani e, sotto sotto, non fare nulla; non cristiani di facciata, questi cristiani che sono “puro aspetto”, ma cristiani autentici. So che voi non volete vivere nell'illusione di una libertà inconsistente che si lascia trascinare dalle mode e dalle convenienze del momento. So che voi puntate in alto, a scelte definitive che diano senso pieno. 
2. Il campo. Il campo oltre ad essere un luogo di semina è luogo di allenamento. Gesù ci chiede di seguirlo per tutta la vita, ci chiede di essere suoi discepoli, di “giocare nella sua squadra”.  Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto! Così è la nostra vita di discepoli del Signore. San Paolo descrivendo i cristiani ci dice: «Ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce; noi invece una che dura per sempre» (1 Cor 9,25). Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del Mondo! Qualcosa di superiore della Coppa del Mondo! Gesù ci offre la possibilità di una vita feconda, di una vita felice e ci offre anche un futuro con Lui che non avrà fine, nella vita eterna. E’ quello che ci offre Gesù. Ma ci chiede che paghiamo l’entrata, e l’entrata è che noi ci alleniamo per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede. Attraverso il dialogo con Lui: la preghiera. (…) Attraverso i Sacramenti, che fanno crescere in noi la sua presenza. Attraverso l’amore fraterno, il saper ascoltare, il comprendere, il perdonare, l’accogliere, l’aiutare gli altri, ogni persona, senza escludere, senza emarginare. Cari giovani, siate veri “atleti di Cristo”!

3. E terzo: il campo come cantiere.  Ti domando: volete costruire la Chiesa? (…) Siamo parte della Chiesa, anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze, per favore: non mettetevi nella “coda” della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate in avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace, di fraternità, di solidarietà. Giocate in attacco sempre! San Pietro ci dice che siamo pietre vive che formano un edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5). E guardiamo questo palco, si vede che esso ha forma di una chiesa costruita con pietre vive. Nella Chiesa di Gesù siamo noi le pietre vive, e Gesù ci chiede di costruire la sua Chiesa; ciascuno di noi è una pietra viva, è un pezzetto della costruzione, e, quando viene la pioggia, se manca questo pezzetto, si hanno infiltrazioni, ed entra l’acqua nella casa. E non costruire una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone. Gesù ci chiede che la sua Chiesa vivente sia così grande da poter accogliere l’intera umanità, sia la casa per tutti! 
Il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Voi… Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non “guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto nel balcone, si è immerso, non “guardate dal balcone” la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù.
Resta però una domanda: da dove cominciamo?  Da te e da me! 
Cari amici, non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore.

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