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martedì 20 ottobre 2015

Polemica: gli omosessuali non hanno diritto di essere sacerdoti?

La risposta è tassativa: no. E neanche gli eterosessuali. Essere sacerdote non è un diritto. E c'è altro da sapere.
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Di tanto in tanto, emerge nei media qualche caso di un sacerdote omosessuale che innalza la bandiera dei cosiddetti “diritti gay”, tra i quali il “diritto al sacerdozio”.
In primo luogo, bisogna chiarire che il sacerdozio cattolico non è un “diritto” per nessuno: né per gli omosessuali né per gli eterosessuali. Il sacerdozio cattolico è una vocazione, una chiamata personale e intrasferibile, fatta da Cristo a chi vuole.
Cristo stesso ha affidato al primo papa, San Pietro, la missione di curare il suo gregge sulla terra, affermando che quello che avesse legato sulla terra sarebbe stato legato nei cieli. Fin dalle origini, i cristiani hanno formato intorno a Pietro un’assemblea (in greco ekklesia, termine passato al latino come ecclesia e all’italiano come chiesa), un gregge la cui cura spettava agli apostoli, con Pietro in testa, per presiedere l’assemblea dei cristiani. In questa missione affidata da Cristo a Pietro e trasmessa ai suoi successori, la Chiesa presieduta dal papa ha adottato una serie di misure pratiche, sembra basate sulla riflessione coscienziosa sul messaggio di Cristo contenuto nei Vangeli. Tra queste misure, basate sul Vangelo e preservate dalla Chiesa, c’è quella di confermare la chiamata al sacerdozio mediante esigenze concrete: che il sacerdote sia uomo, battezzato ed eterosessuale. Uomo perché Cristo stesso si è fatto uomo, nel pieno senso antropologico di “farsi uomo” e perché, scegliendo i suoi ministri, Cristo ha ordinato solamente uomini. Battezzato perché il sacerdote deve essere un membro vivo della Chiesa. Eterosessuale perché il sacerdote è chiamato ad essere “padre”, sublimando la paternità biologica e trasformandola in una paternità spirituale, che include la rinuncia consapevole e libera alla paternità biologica attraverso l’opzione del celibato, su esempio di Cristo Sacerdote.
La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha chiarito il rapporto tra sacerdozio e omosessualità nell’Istruzione “circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri” (4 novembre 2005). Il documento distingue gli “atti omosessuali” dalle “tendenze omosessuali”. Gli atti implicano l’esercizio attivo dell’omosessualità, mentre le tendenze implicano soltanto l’impulso omosessuale.
Il documento compie poi un’altra distinzione relativa alle “tendenze omosessuali”: quelle “profondamente radicate” e quelle che sono “espressione di un problema transitorio”, dichiarando che “la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Gli uomini con tendenze omosessuali transitorie potrebbero essere ammessi in seminario se queste tendenze fossero “chiaramente superate almeno tre anni prima dell’Ordinazione diaconale”.
Quanto ai sacerdoti già ordinati che si rivelano omosessuali, papa Benedetto XVI ha chiarito nel libro-intervista Luce del Mondo, pubblicato nel 2010, che “l’omosessualità non è conciliabile con il ministero sacerdotale; perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso. Sarebbe un grande pericolo se il celibato divenisse motivo per avviare al sacerdozio persone che in ogni caso non desiderano sposarsi, perché in fin dei conti anche il loro atteggiamento nei confronti dell’uomo e della donna è in qualche modo alterato, disorientato, ed in ogni caso non è in quell’ordine della creazione del quale abbiamo parlato. Alcuni anni fa la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha emanato una disposizione per la quale candidati omosessuali non possono diventare sacerdoti perché il loro orientamento sessuale li distanzia dalla retta paternità, da ciò che nel profondo definisce l’essere sacerdote. La scelta dei candidati al sacerdozio deve perciò essere molto accurata. Bisogna usare molta attenzione affinché non si introduca una simile confusione ed alla fine il celibato dei preti non venga identificato con la tendenza all’omosessualità”. Benedetto XVI riconosceva poi che l’esistenza di sacerdoti con tendenze omosessuali fa parte delle difficoltà della Chiesa, e che le persone interessate devono almeno cercare di non praticare attivamente questa inclinazione, per rimanere fedeli all’impegno interiore del proprio ministero.
Essere sacerdote, quindi, non è un “diritto” di nessuno, ed esercitare l’eventuale tendenza omosessuale non è diritto di alcun sacerdote, così come non lo è esercitare la tendenza eterosessuale, visto che tutti i sacerdoti cattolici sono chiamati, per vocazione, anche al celibato.

Questa è la risposta che i cattolici devono conoscere quando i media decidono di fare una campagna per reinventare quello che Cristo ha stabilito, approfittando delle debolezze di sacerdoti che non sono stati coerenti con la vocazione che si sono liberamente impegnati ad abbracciare. Nessuno può sostenere che non era a conoscenza delle rinunce e dei sacrifici richiesti dal sacerdozio.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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