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mercoledì 3 febbraio 2016

Maternità surrogata o uteri in affitto (Dizionario)

Uteri in affitto: un’industria miliardaria, spesso illegale
VALENTINA FIZZOTTI, Avvenire, 3.2.16

La chiamano 'gesta­zione per altri', 'ma­ternità surrogata' o 'di sostituzione', 'utero in affitto': definizioni più o meno edulcorate di una pratica, proibita in molti Paesi e regolata in altri, che consiste nel far portare a­vanti una gravidanza – die­tro compenso o 'rimborso spese' – a una donna che cederà per contratto il na­scituro ai richiedenti, che con lui o lei condividono al­meno in parte il patrimo­nio genetico. Pochissimi, e molto pubblicizzati, sono i casi in cui sussiste un lega­me di sangue fra la surro­gata e uno degli aspiranti genitori: sorelle che presta­
no l’utero a fratelli gay, ma­dri che ospitano in pancia i nipoti per sterilità di una fi­glia – etichettati come 'mi­racoli di al­truismo' o 'mostruo­sità' – non incidono sul­le cifre di una industria mi­liardaria del­la riprodu­zione che ar­ruola donne per l’usufrut­to tempora­neo del proprio corpo.
La tendenza principale è quella di utilizzare una 'ge­stante' (o mère porteuse, con la dolcezza che ha solo il francese), una femmina che non abbia legami gene­tici con il figlio che ha in grembo. Il concepimento può avvenire grazie a di­versi attori: il seme può es­sere dell’a­spirante pa­dre (o di uno dei due padri richiedenti), o di un dona­tore; l’ovoci­ta può essere dell’aspiran­te madre oppure, nella maggior parte dei casi, di u­na terza donna, acquistato in base alle caratteristiche richieste dai genitori (es­sendo più difficili da otte­nere del seme, gli ovociti so­no sempre a pagamento). Poiché l’operazione avvie­ne attraverso agenzie spe­cializzate, che si muovono con supporto legale anche in zone grigie della legge o nell’illegalità, prevede l’uti­lizzo di ingenti quantità di denaro, soprattutto a se­conda della nazionalità del­la gestante. Nei Paesi in cui questa pra­tica è legale, molti acqui­renti sono coppie eteroses­suali sterili, ma la battaglia a favore della maternità surrogata è combattuta con forza dalle associazioni LGBT (Lesbian, gay, bi­sexual, transexual) poiché è l’unico modo per una coppia omosessuale ma­schile di avere un figlio (al­meno per metà) biologico. Anzi, nel tentativo politica­mente corretto di equipa­rare i due padri, alcune cli­niche mixano i semi (senza poi approfondire chi abbia realmente fecondato l’ovo­cita), o impiantano em­brioni fecondati da ciascu­no dei due. Nella maternità surrogata vigono le leggi di mercato: al netto della le­galità, ci si sposta dove co­sta meno. Dagli Stati Uniti e dal Regno Unito il turismo della ripro­duzione conto terzi si è quindi spostato in India e in Messico, e poi in Thailandia e nell’Est Europa: la diffe­renza fra le tariffe è di cen­tinaia di migliaia di dollari. La portata del fenomeno è emersa per le tensioni in­ternazionali causate dalla necessità di documenti ed espatrio di neonati commissio­nati in Paesi in cui la ma­ternità surro­gata è legale da genitori che vivono in Paesi in cui non lo è: in que­sto senso la stepchild adop­tion rappresenta di norma l’ultimo passaggio necessa­rio a sancire legalmente il rapporto con il genitore non biologico della coppia.

Tranne i rari ma rumorosi casi in cui (davanti a u­na telecame­ra) le surro­gate si dico­no mosse dal desiderio di servire una causa o di es­sere incinta ma non di crescere altri figli, tutte le donne che affittano il pro­prio utero lo fanno per sol­di. Negli Stati Uniti il proto­tipo è la giovane moglie di un militare, in India una
donna cui il marito chiede di contribuire così all’edu­cazione dei figli (e che spe­ra di contribuire all’eman­cipazione delle figlie). Una americana guadagna fino a 25mila euro, una indiana fi­no a 2mila. Tutte loro sono già madri, giovani, sane; tutte firmano contratti che non le tutela­no in caso di perdita del bambino o complicanze e che le obbligano a sottosta­re al volere degli aspiranti genitori sul proseguimento della gravidanza in caso di problemi di salute del bam­bino. Tutte, appena parto­rito, rinunceranno a ogni di­ritto sul nascituro e, nella maggior parte dei casi, non lo vedranno nemmeno.

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È la pratica di fare condurre una gravidanza a una donna, pagata, che cederà poi il nascituro ai committenti
Il 'turismo riproduttivo', consentito in alcuni Paesi, si sta spostando dagli Usa a India e Thailandia

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