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venerdì 21 settembre 2012

VENERDI’ SANTO

Enzo Bianchi:
Oggi i cristiani ricordano che il venerdì 7 aprile dell’anno 30 della nostra era a Gerusalemme, città santa e cuore della fede ebraica, Gesù di Nazaret – un rabbi e profeta della Galilea che aveva destato attorno a sé un movimento e che trascinava dietro di sé una piccola comunità itinerante composta di una dozzina di uomini e alcune donne – viene arrestato, condannato e messo a morte mediante il supplizio della crocifissione. Storicamente si può dire che Gesù è stato arrestato su iniziativa di alcuni capi dei sacerdoti di Gerusalemme, a motivo di gesti compiuti e parole pronunciate (…) Catturato di notte nella valle del Cedron da un pugno di guardie del tempio, fu trascinato presso il Gran Sacerdote alla presenza del quale avvenne un confronto che permise di formulare accuse precise da presentare al governatore romano, l’unico cui spettava il potere di emettere una condanna capitale e di disporne l’esecuzione.

Non ci fu un autentico processo formale. Gesù viene comunque consegnato a Pilato, il quale, con alcune sedute e procedimenti che paiono un vero e proprio processo, decide di condannarlo con altri malfattori, dopo averlo fatto flagellare. Misura di sicurezza, tentativo di compiacere il gruppo sacerdotale che glielo aveva consegnato, odio verso chiunque tra i giudei apparisse portatore di un messaggio non omogeneo all’ideologia imperiale? Probabilmente tutte queste ragioni insieme portarono Pilato a decidere per la condanna di quel galileo. Certo Gesù muore in croce, subendo quello che per i romani era un “supplizio crudelissimo e orribile” (Cicerone) e per gli ebrei era, come l’impiccagione, segno di scomunica per l’empio, maledizione del bestemmiatore, come recita la Torah: “Maledetto chiunque è appeso al legno” (Dt 21,23; cf. Gal 3,13). (…)
Gesù, a differenza del Battista, non muore come martire, bensì come scomunicato e maledetto, come ama dire Paolo che si vanta di predicare Gesù crocifisso, scandalo per gli uomini religiosi e follia per i saggi del mondo greco.
La croce è il segno di questa morte nell’infamia di Gesù – “annoverato tra i malfattori”, si compiacciono di annotare gli evangelisti – è il racconto della sua solidarietà con i peccatori, del suo abbassamento fino alla condizione dello schiavo umiliato, “fino alla morte e alla morte di croce”, come testifica Paolo. La croce non deve tuttavia prevalere sul Crocifisso! Non è la croce, infatti, a far grande chi vi è appeso, ma è proprio Gesù che riscatta e dà senso alla croce, in modo che tutti gli uomini che conoscono questa situazione di sofferenza e di vergogna, di maledizione e di annientamento possano trovare Gesù accanto a loro. In un mondo ingiusto, il giusto può soltanto essere rifiutato, osteggiato, condannato. E’ una necessitas humana, e Gesù – proprio perché ha voluto “restare giusto”, solidale con le vittime, – ha dovuto conoscere quest’urto dell’ingiustizia del mondo contro di lui. Ma chi sa leggere così la passione e la morte di Gesù è obbligato a comprenderla come una vicenda di gloria per Gesù: gloria di chi ha speso la sua vita per gli uomini, gloria di chi ha amato fino alla fine, gloria di chi muore condannato per aver cercato di narrare che Dio è misericordia, amore. Se c’è un luogo in cui Gesù ha reso Dio “buona notizia”, se lo ha “evangelizzato”, è proprio la croce: buona notizia per tutti i peccatori!
Oggi, Venerdì santo, i cristiani raccolgono nell’immagine del crocifisso, agnello innocente, tutte le vittime della storia, gli agnelli uccisi dai lupi: i cristiani in questo giorno sono chiamati a imparare a sostenere lo scandalo della croce senza rovesciare le colpe sull’altro, sicuri che dalla croce di ogni giusto si evidenzia una ragione per cui vale la pena dare la vita. Perché solo chi ha una ragione per cui vale la pena dare la vita, ha anche una ragione per cui vale la pena vivere.
ENZO BIANCHI
Dare senso al tempo

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