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venerdì 6 dicembre 2013

CELIBATO (SACERDOTALE), dizionario

SACERDOZIO e CELIBATO

Il card. Ratzinger risponde a Peter Seewald nel libro-intervista Il Sale della terra(1996)

Perché esiste il celibato?Esso è legato a una frase di Cristo: Ci sono coloro - si legge nel Vangelo - che per amore del regno dei cieli, rinunciano al matrimonio e, con tutta la loro esistenza, rendono testimonianza al regno dei cieli. La Chiesa è arrivata molto presto alla convinzione che essere sacerdoti significa dare questa testimonianza per il regno dei cieli. (…) Israele entra nella terra promessa, undici tribù ricevono ciascuna la propria porzione di territorio; solo la tribù di Levi, quella dei sacerdoti, non riceve territorio né eredità; la sua eredità è solo Dio. (…)
Dover morire senza figli, un tempo voleva dire aver vissuto senza scopo: una volta dispersa la traccia della mia vita, io sono morto del tutto. Se invece ho dei figli, continuerò a vivere in loro, grazie a una specie di immortalità, ottenuta attraverso la discendenza. (…) La rinuncia al matrimonio e alla famiglia è quindi da intendersi nella seguente prospettiva: rinuncio a ciò che per gli uomini non solo è l’aspetto più normale, ma il più importante. Rinuncio a generare io stesso vita dall’albero della vita, ad avere una terra in cui vivere e vivo con la fiducia che Dio è davvero la mia terra. Così rendo credibile anche agli altri che c’è un regno dei cieli. Non solo con le parole, ma con questo tipo di esistenza sono testimone di Gesù Cristo e del Vangelo e gli metto così a disposizione la mia vita. Il celibato ha dunque un significato contemporaneamente cristologico e apostolico. Non si tratta solo di risparmiare tempo - ho un po’ di tempo a disposizione perché non sono un padre di famiglia – il che sarebbe troppo banale e pragmatico. Si tratta di un’esistenza che punta tutto sulla carta di Dio, e tralascia proprio quanto normalmente rende matura e promettente un’esistenza umana.
D’altra parte qui non si tratta di un dogma. Il problema sarà forse, un giorno, aperto al dibattito, nel senso di una libera scelta tra una forma di vita celibataria e una non celibataria?
Si, certo, non si tratta di un dogma. È una consuetudine venutasi a creare assai presto nella Chiesa, a seguito di sicuri riferimenti biblici. (…) Non è un dogma, è un modo di vivere che è cresciuto nella Chiesa e che naturalmente comporta sempre il pericolo di una caduta. Penso che ciò che oggi irrita la gente nei confronti del celibato è che essa vede quanti preti non sono interiormente d’accordo e lo vivono ipocritamente, male, o non lo vivono affatto o solo con tormento e dicono……che distrugge gli uomini…Quanto più un’epoca è povera di fede, tanto più frequenti sono le cadute. Così il celibato perde di credibilità e il suo vero messaggio non viene alla luce. Si deve chiarire che i periodi di crisi del celibato corrispondono sempre a periodi di crisi del matrimonio. Infatti oggi non viviamo solo la crisi del celibato, lo stesso matrimonio viene sempre più messo in discussione come fondamento della nostra società. Nelle legislazioni degli Stati occidentali esso è sempre più messo allo stesso livello di altri stili di vita e viene così dissolto anche come forma giuridica. (…) In pratica, con l’abolizione del celibato assisteremmo solo alla nascita di un nuovo tipo di problematica, quella dei preti divorziati. La Chiesa evangelica conosce bene questo problema. (…) La conseguenza che ne trarrei, non è, però, di perdere la speranza e dire: “non ci riusciamo più”, ma dobbiamo tornare a credere, ad avere più fede. E, ovviamente, dobbiamo essere ancora più cauti nella scelta degli aspiranti sacerdoti. L’importante è che uno scelga davvero liberamente e non dica: “ si, voglio diventare prete, e allora mi carico anche di questo”, oppure; “in fondo le ragazze non mi interessano più di tanto, quindi non sarà un gran problema”. Questo non è un corretto punto di partenza. L’aspirante sacerdote deve riconoscere nella sua vita la forza della fede e deve sapere che solo in essa può vivere il celibato. Allora il celibato può diventare una testimonianza che dice qualcosa agli uomini e che riesce anche a dar loro coraggio in relazione al matrimonio. (…)Se una fedeltà non è più possibile, anche l’altra non ha più senso: l’una sostiene l’altra.Suppone quindi che esista una relazione tra la crisi del celibato e quella del matrimonio.In entrambi i casi la persona singola si trova di fronte al problema di una scelta di vita definitiva: a 25 anni posso già disporre di tutta la mia vita? C’è la possibilità di farcela, di crescere e di maturare in modo vivo oppure devo tenermi costantemente aperto per nuove possibilità? La domanda fondamentale è la seguente: può l’uomo prendere una decisione definitiva per quel che riguarda l’aspetto centrale della sua vita? (…) Al riguardo mi permetto due osservazioni: lo può solamente se è ancorato saldamente alla fede; secondo: solo in questo caso egli perviene alla piena dimensione dell’amore e della maturazione umana. (…)
Forse un giorno si arriverà ad aprire il dibattito circa la possibilità di una libera scelta? Libera deve esserlo in ogni caso. Infatti, prima dell’ordinazione si deve confermare con una promessa solenne che lo si fa e lo si vuole in tutta libertà. Ho sempre una brutta sensazione, quando in seguito si dice che si è trattato di un celibato forzato, che è stato imposto. Ciò va contro la parola che si è data all’inizio. Nell’educazione dei sacerdoti si deve far attenzione che questa promessa sia presa sul serio. Questo è il primo punto. Il secondo è che dove vive la fede e nella misura in cui una Chiesa vive la fede, allora vien fuori anche la forza di sostenere queste scelte. (…) Naturalmente si tratta di una tragedia per una Chiesa, quando molti conducono, più o meno, una doppia vita. Non sarebbe, purtroppo, la prima volta che accade. Nel tardo medioevo abbiamo avuto una situazione simile, che poi fu una delle cause che portarono alla Riforma protestante. (…)

Ritorniamo ancora alla mia domanda: crede che i preti forse un giorno potranno scegliere liberamente tra una vita celibataria ed una non celibataria?(…)  La domanda è: quanto profondamente sono legati tra loro sacerdozio e celibato? La volontà di optare soltanto per uno solo dei due termini non implica già di per sé una minore considerazione del sacerdozio? Credo che su questo punto non ci si possa richiamare semplicemente alle Chiese ortodosse e alla cristianità protestante. Quest’ultima ha una visione completamente diversa del ministero: è una funzione, un servizio derivato dalla comunità, ma non è un sacramento, non è il sacerdozio in senso proprio. Nella Chiesa ortodossa, abbiamo, da un lato, la forma perfetta di sacerdozio, cioè i preti-monaci, gli unici che possono diventare vescovi. Accanto a loro ci sono i preti secolari che, se vogliono sposarsi, devono farlo prima della loro consacrazione; essi si occupano poco della cura delle anime, ma propriamente, sono solo ministri del culto. Per questo aspetto è quasi un’altra concezione di sacerdozio. Noi, invece, riteniamo che chiunque sia sacerdote, deve esserlo nella maniera di un vescovo e che non deve esistere una tale divisione. Nessuna consuetudine di vita della Chiesa deve essere interpretata come un assoluto, per quanto sia profondamente radicata e fondata. Sicuramente la Chiesa si dovrà porre ancora il problema, lo ha già fatto recentemente in due sinodi. Ma penso che a partire da tutta la storia della cristianità occidentale e anche dall’intima concezione che sta alla base di tutto ciò, la Chiesa non deve credere di ottenere molto orientandosi verso la dissociazione di sacerdozio e celibato; se lo facesse, finirebbe comunque per perdere qualcosa.Si può quindi concludere che Lei non crede che un giorno ci saranno preti sposati nella Chiesa cattolica?Comunque non in un futuro prevedibile. Per essere sincero, devo dire che abbiamo già dei preti sposati, arrivati a noi come convertiti dalla Chiesa anglicana o da diverse comunità evangeliche. Quindi, in casi eccezionali, questo è possibile, ma si tratta, appunto, di eccezioni. E penso che anche in futuro rimarranno tali.
Ma l’obbligo del celibato non dovrebbe venire meno, anche solo in considerazione del fatto che la Chiesa, diversamente, non avrà più preti?Non credo che quest’argomento sia veramente adeguato. Il problema delle vocazioni sacerdotali va visto sotto molti aspetti. Ha prima di tutto a che fare con il numero di bambini. Quando oggi il numero medio di bambini per famiglia è 1,5, il problema dei candidati al sacerdozio si pone in modo ben diverso dai periodi in cui le famiglie erano notevolmente più numerose. Nelle famiglie, poi, ci sono ben altre aspettative. Oggi sperimentiamo che i maggiori ostacoli al sacerdozio frequentemente vengono dai genitori, che hanno ben altre attese per i loro figli. Questo è il primo punto. Il secondo è che il numero di cristiani praticanti è molto diminuito e perciò si è ridotta anche la base di selezione. Considerato il numero dei bambini e il numero dei praticanti, probabilmente il numero dei nuovi sacerdoti non è affatto diminuito. Quindi bisogna tener conto di questa proporzione. La prima domanda allora è: ci sono credenti? Solo dopo viene la seconda domanda: da essi escono dei sacerdoti?.


Il celibato ecclesiastico
Benedetto XVI risponde a Peter Seewald nel libro-intervista Luce del mondo(2010)

Il celibato sembra essere sempre alla radice di ogni male; che si tratti degli abusi sessuali, oppure dell’abbandono della Chiesa ovvero della penuria di sacerdoti. Gli stessi vescovi consigliano di usare “più fantasia ed un pizzico di generosità in più” per “rendere possibile il ministero sacerdotale anche ad una persona sposata, accanto al modello fondamentale di sacerdozio celibatario”.Posso capire che i vescovi, nella confusione presente, riflettano anche su questo. Il difficile viene quando bisogna dire come una simile coesistenza dovrebbe configurarsi. Credo che il celibato ci guadagni nel suo essere segno grande e significativo e soprattutto diventa più vivibile se si costituiscono comunità di sacerdoti. È importante che i sacerdoti non vivano isolati da qualche parte, ma stiano insieme in piccole comunità, si sostengano a vicenda e facciano così esperienza dello stare insieme nel loro servizio a Cristo e nella rinuncia per il Regno dei cieli, e ne prendano sempre più coscienza. Potremmo dire che il celibato è sempre un affronto a quello che le persone pensano normalmente; qualcosa che è realizzabile e credibile se donato da Dio e se attraverso di esso mi batto per il Regno di Dio. In questo senso il celibato è un segno di tipo particolare. Lo scandalo che suscita, sta anche nel fatto che mostra questo: che vi sono persone che vi credono. Sotto questo aspetto si tratta di uno scandalo che ha anche un aspetto positivo
.

Ragioni in favore del celibato ecclesiastico. Vediamone alcune.
1. Gesù non si è sposato (non certo per conformismo, dato che fu un rivoluzionario; del resto i sacerdoti giudei potevano sposarsi) e il sacerdote è un alter Christus. Dunque il ce­libato del prete scaturisce da quello di Cristo ed è uno degli aspetti che lo rendono simile a Lui.
Nei Vangeli ci sono passi che fondano il celibato sacerdotale, in particolare Matteo 19,12: «Vi sono eunuchi che si sono resi tali essi stessi per il regno». Gesù sta parlando di sé e di coloro che hanno scelto liberamente il celibato come totale servizio a Dio. Stu­diosi come Christian Cochini hanno rilevato che quegli apostoli che erano in precedenza sposati, hanno poi interrotto la vita coniugale e praticato il celibato.
2. Il celibato è una scelta d’amore esclusivo per Ge­sù, una scelta esclusiva co­me quella del coniuge, a cui si deve donare tutta intera la propria vita.
Nello stesso tempo, il sa­cerdote, oltre al rapporto con Gesù, coltiva comun­que la fraternità con gli al­tri «celibi per il regno» e for­ma dunque una nuova fa­miglia.
Insomma, il suo celibato non è una rinuncia all’a­more: è la scelta di amare Gesù, gli altri confratelli sa­cerdoti e il proprio gregge e «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15,13-16).
3. Dai testi di san Paolo si può ricavare che, grazie al celibato, l’amore per Dio e per il prossimo possono es­sere più integrali. Il celibe si preoccupa di piacere a Dio; l’uomo sposato, oltre a ciò, si deve preoccupare, giu­stamente, anche di sua moglie. Paolo osserva che l’uomo sposato «si trova di­viso » a causa dei suoi ob­blighi familiari (1 Corinzi 7,34). Così, il sacerdote, che amministra l’Eucaristia, che è il dono perfetto, rie­sce ad essere egli stesso dono totale se è celibe.
Anche gli sposati sono chiamati ad amare Gesù in modo radicale, mettendo­lo al centro di tutte le loro attività e del matrimonio. Inevitabilmente, però, la loro disponibilità non può essere uguale a quella del sacerdote, che può eserci­tare la sua piena donazio­ne (a Dio e in favore di tut­te le anime) in maniera concretamente più ampia. Ciò non vuol dire disprez­zare gli affetti interperso­nali e il matrimonio. Come dice ancora san Paolo, «Ciascuno ha il proprio do­no da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (1 Corinzi 7,7).
Diversamente da quel che si pensa spesso, il celibato rimonta agli apostoli. A. Stickler ha documentato che fin dalle origini i sacer­doti non erano sposati, op­pure erano uomini sposati che, una volta ricevuto l’or­dine sacro, da quel mo­mento, col consenso della moglie (che doveva essere mantenuta dalla Chiesa), si impegnavano alla conti­nenza.
È vero, presso certi riti o­rientali alcuni sacerdoti so­no sposati; ma anche in O­riente i vescovi devono es­sere celibi, il che mostra che c’è un nesso profondo fra il celibato e il sacerdo­zio: infatti, l’ordinazione sacerdotale è una parteci­pazione al sacerdozio del vescovo. Sempre per Stick­ler, il celibato vigeva fin dai tempi apostolici anche nel­la Chiesa orientale. Solo nel 691 (Concilio Trullano) ci fu il cambiamento, per l’in­gerenza degli imperatori.
Del resto, anche in Oriente non ci sono preti che si sposano, bensì uomini sposati che vengono ordi­nati preti: chi è già prete non può sposarsi. E un pre­te sposato, se diventa ve­dovo, non può risposarsi.
FONTE: Avvenire, 16.01.2008

Vedi anche: http://www-maranatha-it.blogspot.it/2011/03/il-celibato-sacerdotale-questione-di.html (Il celibato sacerdotale, questione di radicalità evangelica, di Mauro Piacenza)

Due versioni sul celibato
E' sorprendente come la questione del celibato dei preti sia diventata argomento di dibattito sui grandi quotidiani.
Oggi, la Repubblica presenta due visioni sensibilmente diverse.
Vito Mancuso esprime la ferma convinzione che ciò che conta per un uomo di Dio (perché nulla di meno il prete è chiamato a essere) sia avere l'anima piena della luce e della gioia del vangelo, e che a questo scopo la condizione migliore sarà per uno vivere nel celibato e per un altro metter su famiglia, a seconda del temperamento e dell'attitudine personali. Il che è esattamente quello che avveniva tra gli apostoli, come ci fa sapere san Paolo quando scrive che, a differenza di lui, «gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» vivevano con una donna (1Cor 9,5). I capi della Chiesa non avevano ancora dimenticato che «non è bene che l'uomo sia solo».
Invece, monsignor Gianfranco Girotti, Reggente della Penitenzieria Apostolica, dichiara in una intervista:

Il celibato sacerdotale è un bene prezioso a cui la Chiesa cattolica non rinuncerà mai. Difficile, forse, da capire in una società come quella attuale sempre più dominata da consumismo, modelli edonistici, sfruttamento del sesso. Ma la Chiesa sa che col vincolo della castità, liberamente accettato e coltivato, i suoi sacerdoti sono più liberi di esercitare il loro ministero avendo come modello esclusivo e irrinunciabile Gesù Cristo».
(...) "La Chiesa sa che col celibato, liberamente scelto e abbracciato, i sacerdoti possono svolgere la loro vita pastorale con più credibilità e completezza. Anche se i modelli di vita che vengono imposti in una società secolarizzata come la nostra non sembrano in sintonia con una scelta tanto libera e radicale».
Ma, in concreto, un sacerdote quali vantaggi ha dal celibato?
«La sua missione pastorale è più illuminata perché ha come modello Cristo, il nostro Signore a cui tutti dobbiamo guardare. Sul piano più pratico, col celibato il sacerdote si dedica completamente alla guida della comunità senza dovere, ad esempio, pensare al mantenimento di una sua famiglia».
Trovo a dir poco curioso che, per una Chiesa la quale afferma essere la famiglia un valore non negoziabile, la consideri un ostacolo nel rapporto di fede con il Signore e un impedimento nel partecipare alla missione della Chiesa. Per di più associando il matrimonio al consumismo, all'edonismo e allo sfruttamento del sesso. In questo modo si riprone l'antica concezione del matrimonio come di uno stato spiritualmente inferiore al celibato. Come se il matrimonio non fosse un sacramento al pari dell'ordine.
Indipendentemente da come la penso io, i pastori della Chiesa cattolica possono legittimamente decidere di mantenere l'obbligo del celibato per i preti, ma argomentazioni di questo genere suonano offensive per me e per chi condivide la mia vocazione. Non sono migliore di nessuno, ma se guardo i miei figli, non posso ritenerli una diminuzione rispetto a niente altro. Come tra l'altro attesta già un ricco patrimonio teologico e magisteriale che si non viene valorizzato e tradotto fino in fondo in prassi.
Gli articoli completi sono pubblicati anche nel blog: http://spogli.blogspot.com/

Repubblica 18.3.10
Celibato
Perché entra in crisi il vincolo dei sacerdoti
Quella di Paolo non è semplice sessuofobia, ma è legata alla fine del mondo e al ritorno di Cristo: a che serve sposarsi e mettere al mondo dei figli?
di Vito Mancuso

La Genesi insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro l´umanità: la vera immagine di Dio non è il monaco, ma la coppia che diventa una carne sola

Si riapre il dibattito sull´obbligo imposto dalla Chiesa cattolica ai suoi ministri: la norma nasce con San Paolo e si afferma con la tradizione mistica e ascetica

«Non è bene che l´uomo sia solo», dice Dio di fronte al primo uomo. Per rimediare crea gli animali, ma l´uomo non è soddisfatto. Allora gli toglie una costola, plasma la donna e gliela presenta. A questo punto l´uomo non ha più dubbi: «Questa è osso delle mie ossa e carne della mia carne. La si chiamerà išà (donna) perché da iš (uomo) è stata tolta». Una voce fuori campo commenta: «Per questo l´uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,23-24). Questa scena mitica, mai avvenuta in un punto preciso del tempo perché avviene ogni giorno, insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro di noi e che, ben prima dei genitali, riguarda la carne e le ossa. La Sacra Scrittura esprime così nel modo più intenso che noi siamo relazione in cerca di relazione, che viviamo con l´obiettivo di formare "una carne sola" e di compiere l´uomo perfetto, quello pensato da subito nella mente divina come maschio+femmina, secondo quanto insegna Genesi 1,27: «Dio creò l´uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». La vera immagine di Dio, che è comunione d´amore personale, non è né il monaco né il prete celibe e neppure il papa, ma è la coppia umana che vive di un amore reciproco così intenso da essere "una carne sola". Per questo, secondo un detto rabbinico, «il celibe diminuisce l´immagine di Dio».
Lo stesso si deve dire della paternità e della maternità. Se Dio è padre che eternamente genera il Figlio e che temporalmente genera gli uomini come figli nel Figlio, la sua immagine più completa sulla terra sono gli uomini e le donne che a loro volta generano figli e spendono una vita di lavoro per farli crescere. Per questo la Bibbia ebraica considera la scelta celibataria di non avere figli qualcosa di innaturale che trasgredisce il primo comando dato agli uomini cioè "crescete e moltiplicatevi".
Naturalmente tutti sanno che Gesù era celibe, e così anche san Paolo. Ma mentre Gesù conservava una visione positiva del matrimonio, san Paolo giunge a ribaltare quanto dichiarato da Dio al principio dei tempi («non è bene che l´uomo sia solo») scrivendo al contrario che «è cosa buona per l´uomo non toccare donna» (1Cor 7,1). Per lui il matrimonio è spiritualmente giustificabile solo «a motivo dei casi di immoralità», nulla più cioè che un remedium concupiscentiae per i deboli di spirito che non sanno controllare le passioni della carne. L´apostolo non poteva essere più esplicito: «Se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che ardere» (1Cor 7,9). Da qui sorge la visione che domina la tradizione occidentale che assegna una schiacciante superiorità morale e spirituale al celibato e solo un valore secondario al matrimonio. Da qui la chiesa latina del secondo millennio sarà portata a legare obbligatoriamente il sacerdozio alla condizione celibataria.
Ma su che cosa si fondava l´idea di Paolo? Qualcuno parla di sessuofobia, ma a mio avviso il motivo è un altro e si chiama escatologia: ovvero la sua ferma convinzione che «il tempo ormai si è fatto breve» (1Cor 7,29), che «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7,31), che quanto prima cioè giungerà la fine del mondo con il ritorno di Cristo. La Prima Corinzi, lo scritto decisivo in ordine alla fondazione del celibato ecclesiastico, è dominata dall´attesa dell´imminente parusia (vedi 15,51-53): se Cristo tornerà a momenti, «al suono dell´ultima tromba», a che serve sposarsi e mettere al mondo figli?
Il mancato ritorno di Cristo al suono dell´ultima tromba ha portato naturalmente a moderare l´impostazione già nelle lettere deuteropaoline, tra cui in particolare quella agli Efesini i cui passi si leggono spesso durante le cerimonie nuziali, ma questo avrà solo l´effetto di giustificare il matrimonio in quanto sacramento, non di ritenerlo spiritualmente degno almeno quanto il celibato. Anzi, la tradizione ascetica e mistica dei padri della chiesa e della scolastica è unanime nell´affermare la superiorità indiscussa del celibato rispetto al matrimonio. Tommaso d´Aquino la sintetizza col dire che «indubitabilmente la verginità deve essere preferita alla vita coniugale» (Summa theologiae II-II, q. 152, a. 4), e il decreto del Concilio di Trento del 1563 arriva persino a scomunicare chi osi dire che «non è cosa migliore e più felice rimanere nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio» (DH 1810). Una scomunica che, a ben vedere, colpisce lo stesso Dio Padre per quella sua frase imprudente all´inizio della Bibbia!
Oggi assistiamo alla fine abbastanza ingloriosa del modello di vita sacerdotale sancito dal Concilio di Trento, e in genere portato avanti nel secondo millennio cristiano, con il legare obbligatoriamente alla vita sacerdotale la scelta celibataria. I crimini legati al clero pedofilo (che la gerarchia conosceva e copriva per anni) stanno scavando la fossa, anzi hanno già scavato la fossa, alla falsa idea della superiorità morale e spirituale del celibato. Naturalmente non intendo per nulla cadere nell´eccesso opposto di chi ritiene la vita celibataria alienante e disumana a priori. Conosco preti celibi straordinari, modelli integerrimi di vita serena, pura, felicemente realizzata. Voglio piuttosto esprimere la mia ferma convinzione che ciò che conta per un uomo di Dio (perché nulla di meno il prete è chiamato a essere) sia avere l´anima piena della luce e della gioia del vangelo, e che a questo scopo la condizione migliore sarà per uno vivere nel celibato e per un altro metter su famiglia, a seconda del temperamento e dell´attitudine personali. Il che è esattamente quello che avveniva tra gli apostoli, come ci fa sapere san Paolo quando scrive che, a differenza di lui, «gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» vivevano con una donna (1Cor 9,5). I capi della Chiesa non avevano ancora dimenticato che «non è bene che l´uomo sia solo».

Repubblica 18.3.10
Parla monsignor Girotti del Tribunale pontificio
La difesa della castità

La missione pastorale
"È un bene prezioso, a cui i cattolici non rinunceranno mai. È una scelta libera e radicale, che permette ai sacerdoti di svolgere la loro vita pastorale, la loro missione, con maggiore credibilità e competenza"

CITTA´ DEL VATICANO «Il celibato sacerdotale è un bene prezioso a cui la Chiesa cattolica non rinuncerà mai. Difficile, forse, da capire in una società come quella attuale sempre più dominata da consumismo, modelli edonistici, sfruttamento del sesso. Ma la Chiesa sa che col vincolo della castità, liberamente accettato e coltivato, i suoi sacerdoti sono più liberi di esercitare il loro ministero avendo come modello esclusivo e irrinunciabile Gesù Cristo». Non si scompone l´arcivescovo Gianfranco Girotti, Reggente della Penitenzeria Apostolica, il tribunale pontificio che ha competenza sui grandi peccati che possono essere assolti solo dalla Santa Sede, i cosiddetti delicta graviora. E vale a dire, la profanazione delle ostie consacrate; l´assoluzione del complice (quando un sacerdote rompe il celibato e assolve anche la persona con cui ha avuto un rapporto sessuale); la violazione del segreto confessionale; la consacrazione del vescovo senza autorizzazione del Papa; l´offesa alla persona del Pontefice. Moralista di fama, collaboratore del cardinale Ratzinger negli anni in cui l´attuale Pontefice era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, monsignor Girotti considera «il celibato un bene assoluto per i sacerdoti, anche se non è un dogma di fede, ma una norma disciplinare che comunque rende più libero e più credibile l´esercizio pastorale dei consacrati».
Eppure, monsignor Girotti, sempre più frequentemente oggi si mette in dubbio la validità del celibato sacerdotale.
«È vero. Ma non è la prima volta e non sarà nemmeno l´ultima che si levano voci critiche sulla castità a cui sono chiamati i sacerdoti. Ma non significa che questa scelta non sia valida. La Chiesa sa che col celibato, liberamente scelto e abbracciato, i sacerdoti possono svolgere la loro vita pastorale con più credibilità e completezza. Anche se i modelli di vita che vengono imposti in una società secolarizzata come la nostra non sembrano in sintonia con una scelta tanto libera e radicale».
Ma, in concreto, un sacerdote quali vantaggi ha dal celibato?
«La sua missione pastorale è più illuminata perché ha come modello Cristo, il nostro Signore a cui tutti dobbiamo guardare. Sul piano più pratico, col celibato il sacerdote si dedica completamente alla guida della comunità senza dovere, ad esempio, pensare al mantenimento di una sua famiglia».
Nella Chiesa non sempre è stato così. Il celibato storicamente è stato imposto solo dopo il secondo millennio.
«Certo, perché si tratta di una legge disciplinare, non di un dogma di fede. Ma se la Chiesa ha fatto questa scelta avrà avuto i suoi motivi che sono validi ancora oggi e credo che lo saranno anche in futuro».
Nella Chiesa cattolica orientale, legata da sempre al Papa, però i sacerdoti si possono sposare. Non è un controsenso?
«No. È solo una tradizione che viene rispettata. Ma le posso assicurare che sono pochi i sacerdoti di rito orientale che decidono di sposarsi. I loro vescovi vengono, invece, scelti tra chi sceglie il celibato. Questo perché, in generale, anche la Chiesa d´Oriente guarda con rispetto alla castità sacerdotale».
Non è una scelta che può causare disturbi di natura psicologica e caratteriale?
«Il sacerdozio celibatario è un dono, una scelta libera e un servizio pastorale gratuito. L´importante è affrontarlo con discernimento e in piena consapevolezza, anche attraverso una attenta preparazione. Malgrado le difficoltà, è una scelta sempre valida e chi pensa che la Chiesa cattolica in un futuro più o meno lontano possa rinunciarvi, dice semplicemente una grande sciocchezza».

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