Nel maggio dello scorso anno abbiamo mostrato che in dieci anni i sacerdoti cattolici macchiatisi di pedofilia sono stati 3.456, ovvero lo 0,8% del totale dei preti cattolici in attività negli ultimi 10 anni. Come è evidente non si tratta affatto di percentuali elevate, anzi, decisamente modeste rispetto a quelle che colpiscono genitori, matrigne e patrigni, compagni, insegnanti, allenatori e parenti in generale.
I grandi numeri della pedofilia riguardano infatti persone sposate, dunque non celibi, e questo smonta l’accusa al celibato dei sacerdoti come spiegazione degli atti di violenza sessuale. Il celibato non è affatto innaturale, come qualcuno dice. E’ semmai soprannaturale, è un dono di Dio a chi si sente chiamato al sacerdozio. Soltanto coloro che hanno ricevuto il carisma del celibato possono essere chiamati al sacerdozio.
Chi ha la vocazione del sacerdozio non è una persona affettivamente castrata, repressa, non è un essere asessuato. Egli rinuncia semplicemente, aiutato da Dio, all’espressione genitale dell’amore, ma non rinuncia all’amore. La paternità la vive prendendosi cura della comunità che gli viene affidata. A qualcuno sembra impossibile da comprendere, ma questo accade perché si pensa al celibato come ad uno sforzo eroico del sacerdote, in realtà per chi ha ricevuto la vocazione non è affatto difficile o particolarmente faticoso. Non più del rimanere fedeli al proprio marito/moglie per chi è sposato.
Gesù stesso scelse il celibato probabilmente per dedicare totalmente se stesso alla sua missione tuttavia, come ha spiegato Papa Francesco,«ci sono, nel rito orientale, preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta» ad un possibile cambiamento nel futuro. Nel 2010 nel libro “Il cielo e la terra” (Mondadori 2010, pp 211), ha affermato: «Mentre ero seminarista rimasi abbagliato da una ragazza che conobbi al matrimonio di uno zio. Mi colpì la sua bellezza, il suo acume. Rimasi in confusione per un bel po’ di tempo, mi faceva girare la testa. Tornai a scegliere il cammino religioso. Io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori». Recentemente è tornato a parlarne ma non come i media hanno riportato, su Cruxnow un corretto approfondimento.
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Senza celibato resta solo il proselitismo
di don Salvatore Vitiello, http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2015/02/24/chiesa/senza-celibato-resta-solo-il-proselitismo
Forse non tutti sanno che il celibato dei sacerdoti è solo l’aspetto giuridico di un’esigenza molto più profonda e fondata: quella della perfetta continenza. Se è storicamente discussa la tesi secondo cui la cosiddetta “legge del celibato” risalirebbe al IV secolo, è fuori discussione l’esistenza della precedente “disciplina della continenza”, secondo la quale, anche gli sposati che accedevano ad uno degli ordini sacri (vescovi, preti, diaconi) erano tenuti a “non usare più” del matrimonio. La richiesta del consenso delle mogli per l’ordinazione, ha qui il proprio fondamento: esse, infatti, rinunciavano ad un diritto naturale, per il bene della Chiesa e la Chiesa, madre, non procedeva all’ordinazione senza che tale consenso fosse assunto e manifestato consapevolmente.
Anche i dati biblici sono incontrovertibili: Gesù è stato celibe; Gesù ha scelto liberamente e volontariamente la vita celibataria (dubitare di ciò significa dubitare dell’integrità della sua umanità); Gesù ha chiesto la continenza a tutti i suoi apostoli, sia a Pietro sposato, sia a Giovanni celibe. Tale richiesta emerge, in modo diretto, nell’invito a seguirlo, ed in modo indiretto, nella risposta pronta e totale degli apostoli al Signore. Essi sono stati fedeli alla continenza sia nei tre anni della peregrinazione in Palestina, sia dopo la morte e risurrezione di Gesù. Non c’è, infine, alcuna prova scritturistica per affermare che la richiesta della continenza non sia stata trasmessa dagli apostoli ai loro successori.
Storicamente, poi, è necessario riconoscere che la disciplina del celibato/continenza è stata tenuta in grandissima considerazione sia nella Chiesa latina, sia in quella orientale, anzi i documenti storici sono di maggiore rilievo per quest’ultima. (Policarpo, Clemente d’Alessandria, Origene, Costituzione siriana detta Didascalia degli apostoli, Concilio di Nicea, Basilio il Grande, Efrem il Siro, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo).
Ancora oggi tutte le Chiese orientali scelgono solo i celibi per la pienezza del sacramento dell’ordine che è l’episcopato.
Ancora oggi i sacerdoti orientali sono tenuti all’obbligo della continenza, per poter celebrare l’Eucaristia. Questa è la ragione per cui, di solito, celebrano solo la domenica, osservando per i giorni precedenti la continenza. Il celibato sacerdotale, allora, è solo la “veste giuridica”, che la Chiesa si è data per preservare qualcosa di molto più importante: la Tradizione apostolica (e quindi immutabile) della continenza.
Il cristianesimo si diffonde solo per attrazione, per testimonianza. Che cos’è la testimonianza?
È quel modo di vivere che sarebbe assurdo se non ci fosse Cristo! È più il modo di vivere è assurdo, più la testimonianza è forte, scioccante, intollerabile e quindi da eliminare. Il celibato per il Regno dei Cieli è esattamente questo: un modo di vivere assurdo per chi non ri-conosce Cristo. Ma davanti a tutti è testimonianza di Lui, del fatto che si può vivere e morire per Lui, del fatto che la sua croce e risurrezione bastano a dare senso all’intera esistenza dell’uomo. La più grande testimonianza (in greco martyria) che ancora oggi, quotidianamente, i cristiani offrono al mondo è il martirio fisico: l’offerta della vita fisica per testimoniare Cristo e la sua irriducibile sovranità sul mondo. Perché “Cesare non è Dio”, come afferma il Catechismo al n. 450. Dopo il martirio fisico, c’è il martirio della castità: l’offerta della forza più grande presente nell’uomo, dopo l’istinto di sopravvivenza, che è la forza affettiva.
Non è un caso che la secolarizzazione vada a braccetto con la banalizzazione della sessualità umana. Ridotta a mero istinto, essa non parla più di relazione, dell’altro e quindi dell’alterità suprema trascendente: di Dio.
Gesù ha vissuto da celibe ed ha chiesto agli apostoli di vivere nello stesso modo (apostolica vivendi forma) perché il cristianesimo fosse testimoniato dall’eccezionalità di una presenza; dalla forza di un “umano cambiato” grazie all’incontro con Cristo; cambiato nel modo di vivere e di amare; cambiato fino all’accoglienza, nella propria carne, nel nulla di se stessi, del tutto di Dio.
Solo un’umanità cambiata può attirare a Cristo; solo così il cristianesimo potrà continuare a trasmettersi alle nuove generazioni e diffondersi: per attrazione.
Per l’attrazione di un modo di vivere nuovo, che sarebbe assurdo se non ci fosse Cristo. Al di fuori della testimonianza, resta solo il triste proselitismo che, invece di porre di fronte alla Presenza, cerca di convincere di alcune -pur grandi- idee.
I cristiani non dànno la vita per un’idea, ma per una persona; il celibato per il regno è la scelta che Gesù ha compiuto perché coloro che Egli chiama a guidare la sua Chiesa siano, innanzitutto ed in modo supremo, testimoni. E non ci sono infedeltà storiche che possano cancellare la luminosità (talora abbagliante) della testimonianza di chi lascia tutto per seguire il Signore.
Ancora oggi. Dopo duemila anni. Con la “convenienza umana” del centuplo di ragione, di senso e di amore e di umanità che ciò promette. E mantiene.
24/02/2015
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