«Gesù è stato certamente la maggior personalità della storia. Il suo insegnamento, se è resistito per 2000 anni, significa che aveva davvero qualcosa di eccezionale: ha trasmesso valori che sono essenziali anche per un non credente». (M. Hack, “Dove nascono le stelle”, Sperling & Kupfer, Milano 2004, pag. 198).
Ci piace ricordarla con questa frase, Margherita Hack, morta oggi a 91 anni, compiuti da poco. Ci sentiamo vicini ad Aldo, suo marito (sposati in chiesa) e agli amici che le hanno voluto bene. Studiosa di astrofisica, ha guidato l’osservatorio astronomico di Trieste e si è poi dedicata con successo alladivulgazione scientifica (commettendo talvolta anche errori grossolani, recentemente aderendo allo stato stazionario e all’universo senza inizio né fine), ma è divenuta nota al grande pubblico sopratutto per le sue idee in campo politico e religioso, accolte e rilanciate con incredibile spinta e diffusione da alcuni quotidiani. Lei stessa ha umilmente risposto a coloro che la hanno sempre portata in trionfo, chiaramente per intenti secondari, come Voce della scienza italiana: «ne sono onorata, ma come scienziata non ho scoperto nulla».
Il più grande sbaglio di Margherita Hack, lo abbiamo sottolineato più volte, è stato quello di concepire la fede in Dio come una forma di “tappabuchi” (il cosiddetto “Dio delle lacune”, contro cui si scaglia inutilmente anche Dawkins) verso quel che non si conosce ancora dal punto di vista scientifico. Unaconcezione positivista della fede, un’idea che non si ritrova da nessuna parte nella riflessione teologica di qualche spessore. Forse è per questo che Lanfranco Pace l’ha definita (assieme ad Odifreddi) una«nipote ritardata del positivismo ottocentesco». La frase per sintetizzare il suo pensiero può essere questa: «Credere è un segno di incapacità a rispondere a quello domande che l’universo ci pone. E’ un po’ come credere alla befana. Quando siamo bambini crediamo che i regali ce li porti la befana. Quando ci accorgiamo che sono stati i nostri genitori a portarci i regali ci rimaniamo male» (Trento, Festival della Montagna 2012). Peccato che nessuno le abbia mai spiegato che per il cristianesimo, e solo per esso, Dionon è certo una spiegazione alternativa alla scienza. Al contrario, è la ragione di ogni spiegazione, la Hack ha sempre negato un Dio a cui nessuno crede.
Il biologo cattolico Kenneth R. Miller lo ha spiegato a sua volta: «In qualità di schietto difensore dell’evoluzione sono spesso sfidato da coloro che ritengono che se la scienza possa dimostrare l’origine naturale della nostra specie, e sicuramente lo fa, allora Dio dovrebbe essere abbandonato. Ma la divinità che essi rifiutano così facilmente, non è quella che conosco. Per essere minacciato dalla scienza, Dio dovrebbe essere niente più che un segnaposto per l’ignoranza umana». Invece, «se Dio è reale, dovremmo essere in grado di trovarlo da qualche altra parte, alla luce brillante della conoscenza umana, spirituale e scientifica. E che luce che è!». Richard Swinburne, professore emerito di filosofia all’Università di Oxford, ha chiarito il punto in modo forse più incisivo: «io non presuppongo un “Dio delle lacune”, un dio al puro scopo di spiegare le cose che la scienza ancora non ha spiegato. Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega. Proprio il successo della scienza nel mostrarci quanto profondo sia l’ordine del mondo fornisce valide ragioni per credere che tale ordine abbia una causa ancora più profonda» (R. Swinburne, “Is there a God?”, Oxford University Press 1996, p. 68). Dio, come giustamente osserva Swinburne, è la spiegazione migliore della potenza esplicativa della scienza.
Fortunatamente la Hack ha sempre avuto l’onestà intellettuale (e la simpatia umana, spiccatamente toscana) che il suo “amico” Odifreddi non avrà mai. L’ex matematico afferma provocatoriamente infatti che gli scienziati per essere bravi devono essere atei, sostenendo l’ateismo scientifico imposto da Joseph Stalin nelle università sovietiche. La Hack lo ha sempre corretto, dicendo: «Ci sono scienziati credenti, scienziati agnostici, scienziati atei ed è una questione che secondo me esula completamente dalla scienza, è una questione di fede». Ed ancora: «Scienza e fede possono benissimo convivere. Lo scienziato credente adotterà il metodo scientifico per le sue ricerche e attribuirà la capacità del cervello umano di decifrare l’universo a questa misteriosa entità chiamata Dio, ispiratore della ragione e anche causa ultima del mondo. Il non credente, dal canto suo, prenderà atto del fatto che la materia nelle sue forme più elementari abbia la capacità di aggregarsi e formare atomi e molecole, stelle e pianeti, ed esseri viventi. Ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue siano laici, nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza voler imporre le proprie». Accenniamo solamente, in ogni caso, che riconoscere l’esistenza di Dio in quanto Creatore è compito della ragione, e non della fede, come ci hanno insegnato Aristotele (“motore immobile”) e Tommaso d’Aquino (“motore primo”).
Al di là di questo, che bella e inaspettata un’apertura del genere, lontana anni luce dall’arroganza odifreddiana! Qualche anno fa scrisse: «La scienza non riesce a dare una risposta totale. Quindi il mistero c’è certamente. Se quando morirò dovessi scoprire che c’è la vita eterna, direi a Dio che ho sbagliato. E forse tutto sommato, sarebbe bello essersi sbagliati» (M. Hack, “Dove nascono le stelle”, Sperling & Kupfer, Milano 2004). Il tuo colloquio con il Padre, probabilmente, sarà già iniziato a quest’ora: grazie Margherita per questa umanità, che ha insegnato molto anche a noi credenti. Arrivederci!
La redazione
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