sabato 13 settembre 2014

Di Dio

giuduniv
Capitolo VI
In cui il lettore assiste alla nascita dell'idea di Dio nella mente degli uomini e alla sua gloria ineguagliabile.
Non oserò dire che anche Dio sta cambiando. Ma l'immagine che gli uomini si fanno di Dio si modifica profondamente. Occorre affrontare certe questioni con prudenza. Della fine dei viaggi, della contrazione dello spazio, dell'allungamento della vita, nel rigore della scienza che, nelle vesti della relatività generale - e perfino di quella ridotta - o della teoria dei quanti, passa oggi lontanissimo al di sopra delle nostre teste, è permesso parlare liberamente. La religione si confonde così strettamente con noi che la minima parola, il minimo oltraggio, il minimo scarto può aprire delle ferite che faticano a richiudersi.
L'idea di Dio non è molto vecchia. La vita ha qualcosa come tre miliardi e mezzo di anni. È più arduo sapere l'età del genere umano. Uomini e donne più o meno simili a noi, capaci di pensare, di ridere, di parlare, possiamo trovarli, direi, duecentomila anni fa. Rapidamente appare un'attività alla quale potrebbe essere dato il nome di arte. Cinquemila anni fa, dalle parti del Tigri e dell'Eufrate, in Mesopotamia, a Sumer, a Akka, dov'è adesso l'Iraq, poi in Egitto, in Cina, in India, viene inventata la scrittura. Si incidono sul legno, sul cuoio, sull'argilla, sui papiri, parole che, appena pronunciate, scompaiono nell'aria del tempo. E i numeri. Misurano i raccolti, i beni, gli anni del regno dei sovrani. E poi, in India, e portata dagli arabi nel mondo occidentale, quell'idea fulminante: lo zero. Il Dio unico è entrato in scena con Abramo, se davvero è esistito, un po' dopo la scrittura.
Prima di Abramo e del monoteismo, i popoli primitivi non avevano nessuna idea di un Dio unico creatore del mondo e che avrebbe regnato sulla storia degli uomini. Vivevano in un universo in cui tutte le forze della natura assumevano un senso magico. Nel corso dei millenni, quell'universo magico dà vita a una sfilza di pantheon, dominati all'inizio dalle dee. Non soltanto in Mesopotamia, dove appaiono, nel regno di Uruk, con l'Enuma Elish e conGilgamesh, le prime nostre grandi opere letterarie, ma anche in Cina, in India, con il Mahabharata e la Bhagavad-Gita, in Egitto, in Giappone, conAmaterasu, le dee e poi gli dei si generano gli uni con gli altri e non tardano a moltiplicarsi. In Cina le forze celesti finiscono per costituire una gigantesca e opprimente burocrazia. In India, dove gli Indoeuropei dalla pelle chiara venuti da Nordovest riescono a sottomettere i Dravidici dalla pelle scura e a dominarli, innumerevoli divinità dal corpo d'aquila o di toro, di scimmia, di elefante dispiegano nelle acque, sulla terra e nei cieli le loro braccia demoltiplicate, le loro ali, le loro proboscidi. Anche in Egitto trionfano sotto altre forme, più ieratiche, meno agitate, gli dei e le dee dal volto animale: falchi, sciacalli, coccodrilli, gatti, scarabei, sfingi metà donna e metà leone.È la Grecia che offre ai suoi dei e alle sue dee i tratti radiosi degli uomini e delle donne, dei ragazzi e delle ragazze. I greci che, sulle coste dello Ionio, poi nelle città della Magna Grecia, in Italia del Sud, hanno inventato quasi tutto - la geometria, la matematica, la filosofia, la storia, il teatro, la democrazia... - hanno inventato anche la bellezza e, da un certo punto di vista, la dignità dell'uomo che si allontana dal mondo animale e si mette improvvisamente, con audacia, a sfidare gli dei dell'Olimpo. E hanno dato alle loro divinità la grazia dell'essere umano dotato di equilibrio psichico e morale, di saggezza, di senso morale, perfino di passione - kalos kagathos. Zeus, Era, Afrodite, Artemide, Ares, Efesto, poi i loro doppi latini: Giove, Giunone, Venere, Diana, Marte, Vulcano, popolano l'Iliade e l'Odissea, le tragedie greche, l'Eneide, le Metamorfosi di Ovidio, i sogni, le speranze, le paure, la vita quotidiana degli abitanti delle città e delle campagne.Disceso dalle tribù aramaiche portate da Ur, in Caldea, e poi in Israele sotto la guida di Abramo, il popolo ebraico, tuttavia, ha elevato alla dignità di un dio unico il suo Dio, che non può essere rappresentato e il cui nome - Jehovah, o Jahvè, o Elohim, o Adonai - può a malapena essere pronunciato. Un dio unico che conosce anche l'Egitto sotto il faraone Amenophis IV, marito di Nefertiti, che assume il nome di Akhenaton e che, nel primo millennio prima della nostra era, abbandona «Tebe dalle cento porte» - l'attuale Karnak - e tutto il pantheon egizio per Tell el-Amarna e il culto esclusivo del dio unico Aton. Prima del ritorno in forze, con il celebre Tutankhamon, di tutti gli dei e di tutte le dee intorno ad Amon-Ra e al suo inamovibile clero.Ricerche recenti hanno in parte modificato questa tradizionale cronologia del monoteismo. Suggeriscono che l'entrata in scena effettiva del dio unico in seno al popolo ebraico sia sensibilmente posteriore all'epoca presunta di Abramo. Sarebbe solo nel corso del primo millennio che il Dio unico si sarebbe imposto presso gli ebrei. In ogni caso, sia che risalga al secondo millennio sia che risalga alla metà del primo millennio, il monoteismo, con la Torah degli ebrei, con il Nuovo Testamento dei cristiani e sei o sette secoli dopo con il profeta Maometto e il Corano, regnerà come padrone del mondo per quasi duemila anni.In tutto l'Impero romano dopo Costantino e Teodosio, da un capo all'altro dell'Europa per tutto il Medioevo, il Rinascimento, i tempi classici e postclassici, in buona parte dell'Asia sotto l'influenza degli Arabi, dei Turchi, dei Russi, degli Olandesi, dei Portoghesi, degli Inglesi, dei Francesi, in tutta l'America a partire dalla sua scoperta ad opera degli Spagnoli, poi dei Portoghesi, in larghe zone dell'Africa, il Dio unico impone la sua legge.Dio è dappertutto. Domina le menti e i cuori. Si confonde con gli Stati, con la società, con la famiglia. «La volontà di Dio». «Gott mit uns». «In God we trust». «Al servizio di Dio». «Dio lo vuole!». «Allah akbar». «A Dio piacendo». «Despues de Dios, la casa de Quirós». «Re que Diou», il motto dei Talleyrand-Périgord. Nel giorno di Natale dell'anno 800, a Roma, Carlo Magno si fa incoronare imperatore da Leone III. Il papa regna sull'Italia, indirettamente sulla Francia, la Spagna, il Portogallo, e tiene in scacco il capo del Sacro Romano Impero di nazionalità germanica. Nel 1077 l'imperatore Enrico IV a Canossa si getta ai piedi di papa Gregorio VII. Il 24 luglio 1177, Federico Barbarossa s'inginocchia di fronte al papa Alessandro III nell'atrio della basilica di San Marco a Venezia. Dopo una lunga lotta, papa Innocenzo IV finisce per avere la meglio su Federico II Hohenstaufen, l'imperatore mezzo tedesco e mezzo normanno che era entrato a Gerusalemme con le acclamazioni dei musulmani e che i suoi contemporanei chiamavano Stupor mundi. La Francia si proclama figlia minore della Chiesa, il re di Spagna si presenta come Sua Maestà cattolica. In Europa, l'Inquisizione è padrona di casa un po' dappertutto. Quindici anni dopo la presa della Bastiglia, il 2 dicembre 1804, a Parigi, nella Cattedrale di Notre-Dame riaperta al popolo dopo due anni di proibizione, papa Pio VII porge la corona imperiale a Napoleone Bonaparte, generale repubblicano venuto fuori dalla Rivoluzione. Insieme agli imperatori della Cina, dalla storia caotica e frammentaria, la stirpe dei papi è, nonostante molti scompigli e difficoltà, l'istituzione politica e religiosa più longeva e coronata di successi di tutta la storia umana.Per tutto il Medioevo, nel XVI, XVII, XVIII secolo e, da un certo punto di vista ed entro certi limiti, fino all'inizio del XIX secolo, ai tempi di Stendhal, i giovani ambiziosi che non potevano andare in guerra per coprirsi di gloria e una folla di ragazze che, per una ragione o per un'altra, non erano riuscite a sposarsi, si gettano o vengono gettati negli ordini e nei conventi. Le opere che sembrano mettere in dubbio l'esistenza di Dio o che si limitano a porre delle domande sul suo statuto sono condannate al rogo - e la maggior parte delle volte insieme ai loro autori. L'educazione dei figli è fondata sulla religione che, a Damasco e a Baghdad, a Roma, a Londra, a Parigi, a Vienna e a Berlino, a Madrid, a San Pietroburgo, s'impadronisce delle menti dalla nascita alla morte.L'arte e la religione sono legate l'una all'altra. Lo sono sempre state. Molto prima del trionfo del monoteismo, e soprattutto in Egitto, nell'Iliade e nell'Odissea, nei templi dello Ionio, sull'Acropoli di Atene e nelle tragedie greche, gli dei e le dee sono i temi principali e quasi sempre unici dell'architettura, della scultura, del teatro, della filosofia, della letteratura. Perfino prima degli dei e delle dee, sembra proprio che l'arte, o ciò che ne assume il ruolo, abbia una funzione magica. Il cristianesimo e, sei o settecento anni dopo, l'islam, giocano con uno slancio senza pari il ruolo di promotori della cultura e dell'arte. I templi, le sinagoghe, le chiese, le basiliche, i monasteri, i battisteri, le moschee, le università, i sepolcri dei grandi personaggi cantano la gloria di Dio e la trasmettono al popolo. Succedendo alla Roma della Repubblica e dell'Impero, e anche alla Damasco e alla Baghdad dagli innumerevoli tesori, la Roma dei papi diventa il centro artistico dell'universo. Dopo i tempi oscuri delle invasioni che avevano ridotto Roma a un misero borgo, i cronisti del Medioevo e del Rinascimento sostengono con verosimiglianza che più della metà delle ricchezze del mondo conosciuto siano ammassate nella Città Eterna. A Firenze, a Siena, a Spoleto, ad Assisi, a Venezia, a Napoli, in Puglia, in tutta Italia, in Francia, in Spagna, negli Stati tedeschi, in Austria, in Polonia, in Russia, a Ispahan e a Samarcanda, dappertutto, fino nelle campagne più sperdute e nei villaggi più remoti, Dio è all'origine e nel cuori di ogni pittura, di ogni scultura, di ogni architettura e di ogni musica. Dipingere è occuparsi prima di tutto di Dio, di sua madre, dei suoi santi. Caravaggio e Tiziano sono ragazzacci, ma sono anche servitori di Dio. Dal canto gregoriano a Bach e a Messiaen, da Dante, Duccio, Bellini, Giotto fino a Claudel, a Dalí, a Cocteau, Dio è tutto intorno a noi e dentro di noi, nelle grandi e nelle piccolissime cose. Fa girare il sole e le altre stelle, rende la vita più vasta e più bella, governa la matematica, la grammatica, le buone maniere e l'educazione dei figli.Non c'è, in verità, altra ragione oltre Dio. La felicità, la salute, il denaro, l'amore, la gloria passeggera dei conquistatori e dei poeti, il corso della storia degli uomini e il cammino degli astri nel cielo rinviano a Dio, e a Dio soltanto. Grazie per le rose e grazie per le spine. Sia fatta la tua volontà sulla terra come in cielo. Dio è il solo garante dell'universo e di tutto ciò che vi alberga. Immaginato dal Dio eterno e creato da Dio qualche migliaio di anni fa, il mondo è circondato da Dio. Niente che non sia voluto da lui può apparire né sparire. La vita e la morte gli appartengono. 

CAPITOLO VII
In cui Dio, dopo aver affrontato molte prove, passa il suo potere all'uomo.
Dio assume volti diversi e spesso opposti. Tra i tre monoteismi la convivenza è difficile. In Francia, in Spagna, in Italia, in Austria-Ungheria, in Polonia, la Chiesa cattolica, apostolica e romana, scisma trionfante derivato dal popolo ebraico, rende dura la vita agli ebrei, considerati responsabili del processo e della morte di Gesù, figlio di Dio e lui stesso Dio. Gli ortodossi, in Russia, non sono più benevoli. La fulminea crescita dell'islam a partire dal VII secolo fa dei musulmani i nemici giurati dei cristiani. Le nove successive crociate sono, da una parte e dall'altra, un grande momento della storia umana in cui si mescolano eroismo, astuzia, crudeltà, leggenda. Anche in seno al mondo musulmano infuria la battaglia tra fazioni opposte, e in particolare tra sunniti e sciiti. Da Marcione e Ario a Nestore, a Fozio e a Monsignor Lefebvre, il mondo cristiano è anch'esso lacerato dalle eresie condannate di concilio in concilio, poi dalla rottura tra la Chiesa romana e la Chiesa ortodossa, e infine dalle spietate guerre di religione tra cattolici e protestanti. Ci sono molte dimore nella casa del Padre - ma non si intendono tra di loro.
Le prime falle in questo sistema in cui Dio è la chiave di volta dell'universo e di ogni esistenza si manifestano in Europa, e soprattutto in Francia, all'epoca dell'Illuminismo. Attacchi, dapprima dissimulati e ironici, sono lanciati contro Dio da Montesquieu - in particolare nelle Lettere persiane che, fingendo di prendersi gioco dell'islam, colpiscono spesso il cristianesimo - e da Voltaire, e poi, con più violenza, da Diderot. Voltaire si scatena contro l'«Infame» che si confonde con la Chiesa cattolica, ma crede sempre all'esistenza di una potenza che farebbe funzionare l'universo:
L'universo mi confonde e non posso pensare
Che questo orologio esista e non abbia alcun orologiaio.
Jean-Jacques Rousseau - che ha due figli spirituali, uno di sinistra, Robespierre, che imporrà il culto dell'Essere supremo, l'altro di destra, Chateaubriand, che rimarrà fedele alla Chiesa cattolica e romana della sua infanzia - resta attaccato a qualcosa di vago e di un po' piagnucoloso, comunque bagnato di lacrime, che oggi chiameremmo la forza dello spirito. Ispirandosi, alla lontana, a Lucrezio e a Spinoza, è Diderot a spingersi più lontano, immettendo la sua Encyclopédie sui binari di un materialismo avviato verso il trasformismo. Quarant'anni prima di Lamarck, sessant'anni prima di Darwin, annuncia già, nella lingua del XVIII secolo, l'evoluzione delle specie: «Tutti gli esseri viventi circolano gli uni negli altri. Tutto è un flusso perpetuo. Ogni animale è più o meno uomo; ogni minerale è più o meno pianta; ogni pianta è più o meno animale. C'è un solo individuo: il tutto. Nascere, vivere e morire, è cambiare forma».
Ma la più potente macchina da guerra contro l'idea di Dio non sarà schierata dai filosofi, ma sarà opera degli scienziati. Le idee guidano il mondo, e assumono poco a poco il volto di un'osservazione sempre più raffinata e lontana nello spazio e nel tempo, il volto soprattutto dell'esperienza matematica e dei numeri.
Eppure non sono gli astronomi a sferrare l'attacco contro Dio. Copernico è un canonico. Keplero è assai lontano dall'essere ateo. Galileo, che sarà messo di fronte al tribunale dell'Inquisizione, è un sincero cattolico. Newton crede in Dio con ardore. Ciò che la rivoluzione copernicana e l'attrazione di Newton minacciano non è Dio, è il posto dell'uomo nell'universo. Lo tolgono dalla situazione privilegiata che credeva di occupare al centro del mondo fin dagli antichi greci che lo consideravano la misura di tutte le cose. Se la prendono non con Dio, di cui continuano a cantare la potenza, ma con l'orgoglio degli uomini.
L'offensiva decisiva è condotta da un semplice viaggiatore di lungo corso, un biologo dilettante, un geniale antropologo. Darwin, in gioventù, era distratto e con la testa tra le nuvole. Figlio di un medico, amava sua moglie, che si chiamava Emma, la caccia, le piante, le farfalle, la campagna, la vita molto tranquilla. Voleva diventare pastore. Per dire quanto credeva all'esistenza di Dio. Dopo una crociera di cinque anni intorno al mondo a bordo di una barca diventata celebre nella storia della scienza, il Beagle, viene colto da una grande disgrazia agli occhi di Emma e da una grande fortuna agli occhi della biologia: conosce la gloria scoprendo qualcosa che era già nell'aria ai suoi tempi e che si sarebbe chiamato evoluzionismo ed evoluzione. E perde la fede. Dopo avergli parlato del «pericolo di abbandonare la rivelazione», sua moglie gli scrive queste strazianti parole: «Sarei veramente infelice se pensassi che non apparteniamo l'uno all'altra per l'eternità».
Darwin, per così tanto tempo credente, si trova costretto ad abbandonare l'idea di un Dio creatore che regnerebbe da sempre nei cieli. Perché? Perché riunendo in una stessa scienza generale della vita la botanica, la zoologia e l'antropologia, fa discendere tutte le specie viventi da uno stesso antenato comune. Dio, a un tratto, diventa inutile. Non ha creato l'uomo e la donna come una specie distinta, formata dal niente, priva di qualsiasi antenato e alla quale apparterrebbe in sé qualcosa di eterno e di apparentemente luminoso, ma in realtà oscuro, che potrebbe passare per un'anima. Dalle amebe e dalle alghe azzurre fino ai vertebrati corre un filo continuo che non si interrompe. Gli esseri umani sono dei primati modificati dal tempo, le scimmie sono loro cugine e l'intera creazione deriva da un ceppo comune e molto antico, capace di produrre in sé il movimento, l'istinto, la memoria, il riso, il canto, il pensiero e la parola.
Con inaudita audacia, Darwin spinge le nostre origini al di là dell'immaginabile. Scopre che la vita è assai più antica di quanto credessero le migliori menti della sua epoca e che l'universo è ancora più antico. La Bibbia dà all'universo una durata di quattromila anni. Devoto alla precisione, l'arcivescovo anglicano James Ussher, dopo una minuziosa ricerca, aveva fissato la data della creazione del mondo il 23 ottobre 4004 a.C., tra le nove del mattino e le quattro del pomeriggio. Come tutti i pensatori del suo tempo, Bossuet era ancora convinto che il mondo avesse meno di seimila anni. Buffon pensava che si dovesse allungare il più possibile il tempo trascorso dalle origini del mondo. Propendeva per settantacinque o centomila anni, forse duecentomila anni - e probabilmente anche un po' di più. Darwin ricolloca molto lontano nel passato l'antenato unico di ogni tipo di vita ed esclude dalla storia un Dio creatore riducendolo improvvisamente allo stato di leggenda. È una scoperta geniale e, per milioni di credenti, è un dramma innominabile e una catastrofe metafisica.
Poco più di mezzo secolo dopo, astronomi, fisici, matematici, cosmologi scoprono che le galassie non smettono di allontanarsi le une dalle altre e che l'universo è in espansione. D'un tratto, lanciano l'idea di un'esplosione primitiva all'origine di un universo all'inizio infinitamente piccolo, caldo e denso prima di espandersi, raffreddarsi e diventare infinitamente grande. E, prima per scherzo e poi con più serietà, gli danno il nome di big bang. La Chiesa si getta a capofitto su questa soluzione che non è inconciliabile con l'insegnamento della Bibbia e che le fornisce una sorta di ambigua rivincita sulla scoperta di Darwin. Un aneddoto senza dubbio leggendario, ma eloquente nella sua inverosimiglianza, presenta papa Giovanni Paolo II che riceve l'astronomo Stephen Hawking dicendogli: «Intendiamoci bene, signor Hawking: tutto ciò che c'è dopo il big bang è suo, ma tutto ciò che c'è prima è mio».
Il big bang, l'espansione dell'universo, Hubble che è all'origine della sua scoperta, il canonico Lemaître che è arrivato alle stesse conclusioni grazie a un'analisi strettamente matematica, Einstein che dichiara a un rabbino americano di credere nel Dio di Spinoza, il gesuita Teilhard de Chardin, grande mente che si sforza di riconciliare scienza e religione, non bastano a rendere a Dio il posto che aveva avuto per due millenni. Non soltanto il big bang è solo un'ipotesi, largamente accettata, è vero, dall'immensa maggioranza degli scienziati, ma, anche per i suoi maggiori sostenitori, non può confondersi con una creazione dell'universo. Non è sicuro che il big bang, che è all'origine del nostro spazio in espansione continua, sia veramente stato all'origine del tempo. Sant'Agostino sosteneva già, nel Libro XI delle Confessioni, che Dio ha creato il tempo e l'universo nello stesso momento. Ma un gran numero di cosmologi pensano che il big bang, ben lungi dal crearlo, si sia prodotto nel tempo e che il nostro universo sia soltanto un felice accadimento in una moltitudine infinita di multiversi.
Dio, in ogni caso, non ha creato Adamo ed Eva. E dalla polvere di stelle a Omero, ad Alessandro Magno, a Dante, a Tiziano, a Bonaparte e a noi, passando da batteri, amebe, alghe, pesci, vertebrati, primati e da mia nonna nel suo casotto di salice, c'è stata una catena continua dalla quale qualsiasi intervento divino può soltanto essere escluso.
Feuerbach, Marx a sinistra, Nietzsche a destra, Freud e tanti altri non hanno avuto che da trarre, in prospettive e contesti diversi, le conclusioni della faccenda: Dio era morto. Era inutile. Si poteva fare a meno di lui. Occorreva dimenticarlo: la scienza era sufficiente. Dio era un mito passeggero dei tempi primitivi e oscuri. Aveva avuto una vita gloriosa nelle menti e nei cuori degli uomini per quattro o cinquemila anni. E - almeno da noi, in Europa - era morto. Lasciava il posto all'evoluzione, alla metamorfosi, al caso, alla necessità, al tempo che passa e all'uomo. La scienza aveva portato a compimento la più grande rivoluzione di tutti i tempi.
Privato di questo sogno insulso e rassicurante che aveva proiettato al di sopra di sé e al quale aveva dato il nome di Dio, l'uomo rimaneva solo a regnare in un angolo sperduto dell'universo. Restava solo l'immagine che si faceva di se stesso per dare un senso alla vita e al mondo. E forse non c'era più nessun senso e l'uomo, la vita, l'universo, erano destinati all'assurdo.
(Jean d'Ormesson, Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto, Ed. Clichy 2014, cap 6 e 7: pp. 30-43)
dormesson

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