Il
ruolo della donna nella Chiesa, accusata di essere prettamente maschilista, è
una delle questioni molto dibattute. Perché non possono essere ordinate come
sacerdoti, così come fanno le Chiese protestanti? E’ indubbio che Gesù ha avuto
nei confronti delle donne un rapporto molto libero e positivo, eppure ha scelto
solo uomini come suoi apostoli. In uno speciale dossier del mensile paolino
Jesus si parla del “lato femminile di Dio” e si ricorda, fra l’altro,
come solo in Italia vivano ben 80 mila religiose, tre volte più dei preti, ma
come queste siano rimaste ai margini, discrete, silenziose, lontano dai
riflettori e dal potere.
Seguiamo
alcuni passi dell’articolo “L’altra metà della Chiesa”:
L'Istruzione
di Pio XII Musica sacra e sacra liturgia, pubblicata nel 1958,
non lasciava spazi di alcun tipo. Le donne erano tenute a grande distanza da
tutto ciò che riguardava la "gestione del sacro". Occorrerà aspettare
fino al 1967 per avere qualche segnale differente. Un vento nuovo spirava nella
Chiesa dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, ma le remore erano ancora
tante. (…) Se il "contatto" con lo spazio sacro continuava a essere
un problema, su altri piani si aprivano, invece, nuove strade. E così, nella
seduta del 20 dicembre del 1967, la stessa Congregazione osava spingersi fino
al punto da affrontare il tema della «capacità dottrinale delle donne» sancendo
la «piena e pari dignità teologica dell'universo femminile e consentendo alle
donne di salire in cattedra.
Una svolta epocale. Almeno in linea di principio,
perché a guardare ciò che è accaduto negli oltre quarant'anni successivi, la
parità è ancora lontana dall'essere raggiunta. Certo, le donne hanno avuto
accesso alle cattedre di Teologia ma le docenti sono ancora il 10,4 per cento
del totale: una minoranza che diventa ancora più esigua se si guarda alle
materie di insegnamento.
(…)
I numeri si capovolgono, invece, quando si tratta di questioni pratiche. Per
restare in Italia, basti pensare che a far andare avanti le 23 mila parrocchie
ci pensano circa 200 mila laici tra catechisti e operatori pastorali. In quasi
l'80 per cento dei casi si tratta di donne, e di donne giovani, visto che il 70
per cento ha meno di 50 anni. Per esse si delinea un vero paradosso: sono ai
margini dei luoghi decisionali, ma nello stesso tempo sono al centro dei
problemi e della vita.
Non
sul pulpito, poco sulle cattedre, ancor meno come direttrici di oratori o di
uffici pastorali, le donne sono molto presenti nelle aule di catechismo, nei
servizi sociali e di volontariato, come ministre straordinarie dell'Eucarestia
e, sempre di più, come madri spirituali. Impossibilitate ad accedere al
"potere", hanno cercato i loro spazi arrivando a dar vita a quello
che da qualche tempo viene chiamato «magistero della vita», un modo di stare
dentro e con la Chiesa che è "magisteriale", di insegnamento.
(…)
Sono questi – la gestione del potere, l'accesso delle donne al diaconato, lo
spazio di ascolto e di parola, la questione del genere, la femminilità nella
tradizione della Chiesa – alcuni dei nodi irrisolti. (…) «La Chiesa cattolica», sottolinea la teologa Maria
Cristina Bartolomei, «stenta a dare spazio e voce al femminile.
Non solo alle donne storiche, ma al femminile in quanto tale, presente sia
negli uomini che nelle donne. Abbiamo un vizio d'origine che nasce anche dal
linguaggio. Nelle lingue che non hanno il neutro, come la nostra, Dio è sempre
tradotto al maschile. E questo non è indolore». Esserne coscienti e
discuterne apertamente è già una forma di coraggio.
(Laura Badaracchi e Iacopo Scaramuzzi, L’altra
metà della Chiesa, Jesus, maggio 2011)
PARITA’
o PARI DIGNITA’ nella differenza di genere?
Il
femminismo non è stato mai bene accolto nella Chiesa. Per affermare la loro
dignità, hanno creduto necessario assumere atteggiamenti maschili, lavori
tradizionalmente riservati ai maschi, oppure minimizzare la differenza dei
sessi, riducendola a un prodotto culturale (vedi la polemica attuale dei
gender, cioè dei generi sessuali).
Seguiamo
quanto scrive Lucia Bellaspiga: “Abbiamo
lottato per la parità. Abbiamo urlato nelle piazze che noi eravamo come loro,
gli uomini. Abbiamo pensato che vivere libere equivalesse ad essere la loro
copia, bella o brutta che fosse, una specie di clone asessuato, mascolinizzato.
Abbiamo bandito la femminilità come fosse un orpello e lo stigma di una
manifesta inferiorità. E così, in nome del femminismo, abbiamo rinunciato ad
essere femmine, e prima ancora donne. Un errore che affonda le proprie radici
storiche nelle battaglie ideologiche del Sessantotto, ma che paghiamo caro
ancora oggi, con tanto di interessi: alla fine del nostro lungo affannarci,
oggi le libertà sono le stesse di allora, forse sono anche meno, e noi ci siamo
perse, convinte ancora che indossare i pantaloni sia un grido di battaglia. Il
ragionamento è molto semplice: se si cerca di imitare qualcuno è perché lo si ritiene
superiore. Dunque proprio quell’arrabbiato e caparbio emulare la natura
dell’uomo, persino i suoi difetti, in realtà tradisce un nostro (immotivato)
complesso di inferiorità, quello che ci fa dire «sono libera se sono uguale al
maschio». No, noi siamo libere perché fieramente diverse.
Senza
cadere in un complesso di superiorità, ma consce del fatto che Dio per i
credenti, la natura per gli atei, ci ha fatti uomini e donne, opposti e
complementari, ognuno chiamato a valorizzare sempre meglio quelle precipue
caratteristiche che fanno di noi donne delle 'vere donne', e dei nostri
compagni dei 'veri uomini'. Ma tutto questo può avvenire solo a un prezzo, che
in fondo è anche bello pagare: accettare di essere concavi e convessi, per
rivestire ognuno il proprio ruolo. (…) Siamo arrivate al punto di lottare
per il diritto ad uccidere il figlio che portiamo in grembo: per essere come
chi non lo può e mai lo potrà generare... Ma il diritto, quello vero, che
ancora ci chiama a battaglia è ancora molto lontano a venire: si chiama
complementarietà. Agogniamo una società che ci permetta di valorizzarci senza
perderci, che ci lasci essere orgogliosamente mogli e madri, ma insieme
lavoratrici, studiose, artiste, donne realizzate anche al di fuori della
famiglia, come avviene ai mariti e padri responsabili. Che ci dia i mezzi,
concreti, per poter essere – se lo vogliamo – tutto questo insieme. Solo così
'restare a casa' per crescere i figli non sarà mai un ripiego, parola che suona
come una bestemmia se accostata al ruolo di madre, ma una scelta felice perché
libera. Solo così sapremo trasmettere i nostri atavici saperi senza l’amarezza
di una costante rinuncia.
Solo
così guarderemo ai nostri uomini come a compagni di strada che marciano assieme
a noi, pronti ad aspettarci se ci attardiamo un po’, ma anche a chiederci aiuto
quando le più forti siamo noi. E non perché indossiamo i pantaloni, ma perché
Dio (o la natura, per chi non crede) ci ha dato la capacità di essere sempre un
po’ madri, anche degli uomini che non abbiamo messo al mondo”.
(Lucia Bellaspiga, La libertà che non inganna
perché ci rende più donne, Avvenire 8.3.11)
Sul ruolo della donna nella
Chiesa secondo Giovanni Paolo II
“Nella Mulieris dignitatem, Giovanni
Paolo II ha voluto approfondire le veritàantropologichefondamentali dell'uomo e della donna, l'uguaglianza in dignità e l'unità dei due, la radicata e profonda diversità tra il maschile e
il femminile e la loro vocazione alla reciprocità e allacomplementarità, alla collaborazione e alla comunione. Questa unità-duale dell'uomo e della donna si basa
sul fondamento della dignità di ogni persona, creata a immagine e
somiglianza di Dio, il quale "maschio
e femmina li creò". (Papa
Benedetto XVI, 9 febbraio2008)
La Mulieris
Dignitatem ("La dignità della donna") è una Lettera Apostolica diGiovanni
Paolo II pubblicata nel 1988, in occasione dell'Anno Mariano e sulla scia delSinodo dei Vescovi dell'anno precedente.
Tornerà a rivolgersi alle donne con una lettera del
1995 in cui, tra l’altro, scrive:
“Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo
dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti
rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi
primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo
cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente
il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a
servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti
nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della
tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua
costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli
ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per
l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di
coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al
senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche
più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della
più grande delle donne, la Madre di Cristo, ti apri con docilità e fedeltà
all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti
di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione
che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!
Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la
comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.
Ma il grazie non basta, lo so. Siamo purtroppo eredi
di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni
latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella
sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino
ridotta in servitù. (…) Ma se in questo non sono mancate, specie in determinati
contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della
Chiesa, me ne dispiaccio sinceramente. Tale rammarico si traduca per tutta la
Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all'ispirazione evangelica, che
proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di
dominio, ha un messaggio di perenne attualità, sgorgante dall'atteggiamento
stesso di Cristo.
Egli, superando i canoni vigenti nella cultura del suo
tempo, ebbe nei confronti delle donne un atteggiamento di apertura, di
rispetto, di accoglienza, di tenerezza. Onorava così nella donna la dignità che
essa ha da sempre nel progetto e nell'amore di Dio. Guardando a Lui, sullo
scorcio di questo secondo millennio, viene spontaneo di chiederci: quanto del
suo messaggio è stato recepito e attuato?
Vedi anche: http://parolevita.blogspot.it/2013/03/donne-un-legame-speciale-con-gesu.html
(Interventi di Benedetto XVI)
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Messaggio che, a chiusura del Concilio Vaticano II, il Santo Padre Paolo VI rivolse, suddiviso in undici punti, alle donne. Era l’8 dicembre 1965. Eccone il testo:
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Messaggio che, a chiusura del Concilio Vaticano II, il Santo Padre Paolo VI rivolse, suddiviso in undici punti, alle donne. Era l’8 dicembre 1965. Eccone il testo:
1) Ed
ora è a voi che ci rivolgiamo, donne di ogni condizione, figlie, spose, madri e
vedove; anche a voi, vergini consacrate e donne nubili: voi siete la metà
dell’immensa famiglia umana!
2) La Chiesa è fiera, voi lo sapete, d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza sostanziale con l’uomo.
3) Ma viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto.
4) È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere.
5) Voi donne avete sempre in dote la custodia del focolare, l’amore delle origini, il senso delle culle. Voi siete presenti al mistero della vita che comincia. Voi consolate nel distacco della morte. La nostra tecnica rischia di diventare disumana. Riconciliate gli uomini con la vita. E soprattutto vegliate, ve ne supplichiamo, sull’avvenire della nostra specie. Trattenete la mano dell’uomo che, in un momento di follia, tentasse di distruggere la civiltà umana.
6) Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano nel segreto dei focolari, trasmettete ai vostri figli e alle vostre figlie le tradizioni dei vostri padri, nello stesso tempo che li preparate all’imprevedibile futuro. Ricordate sempre che attraverso i suoi figli una madre appartiene a quell’avvenire che lei forse non vedrà.
7) Ed anche voi, donne nubili, sappiate di poter compiere tutta la vostra vocazione di dedizione. La società vi chiama da ogni parte. E le stesse famiglie non possono vivere senza il soccorso di coloro che non hanno famiglia.
8) Voi soprattutto, vergini consacrate, in un mondo dove l’egoismo e la ricerca del piacere vorrebbero dettare legge, siate le custodi della purezza, del disinteresse, della pietà. Gesù, che ha conferito all’amore coniugale tutta la sua pienezza, ha anche esaltato la rinuncia a questo amore umano, quando è fatta per l’Amore infinito e per il servizio di tutti.
9) Donne nella prova, infine, voi che state ritte sotto la croce ad immagine di Maria, voi che tanto spesso nella storia avete dato agli uomini la forza di lottare fino alla fine, di testimoniare fino al martirio, aiutateli ancora una volta a ritrovare l’audacia delle grandi imprese, unitamente alla pazienza e al senso delle umili origini.
10) O voi donne, che sapete rendere la verità dolce, tenera, accessibile, impegnatevi a far penetrare lo spirito di questo Concilio nelle istituzioni, nelle scuole, nei focolari, nella vita di ogni giorno.
11) Donne di tutto l’universo, cristiane o non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi salvare la pace del mondo!
2) La Chiesa è fiera, voi lo sapete, d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza sostanziale con l’uomo.
3) Ma viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto.
4) È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere.
5) Voi donne avete sempre in dote la custodia del focolare, l’amore delle origini, il senso delle culle. Voi siete presenti al mistero della vita che comincia. Voi consolate nel distacco della morte. La nostra tecnica rischia di diventare disumana. Riconciliate gli uomini con la vita. E soprattutto vegliate, ve ne supplichiamo, sull’avvenire della nostra specie. Trattenete la mano dell’uomo che, in un momento di follia, tentasse di distruggere la civiltà umana.
6) Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano nel segreto dei focolari, trasmettete ai vostri figli e alle vostre figlie le tradizioni dei vostri padri, nello stesso tempo che li preparate all’imprevedibile futuro. Ricordate sempre che attraverso i suoi figli una madre appartiene a quell’avvenire che lei forse non vedrà.
7) Ed anche voi, donne nubili, sappiate di poter compiere tutta la vostra vocazione di dedizione. La società vi chiama da ogni parte. E le stesse famiglie non possono vivere senza il soccorso di coloro che non hanno famiglia.
8) Voi soprattutto, vergini consacrate, in un mondo dove l’egoismo e la ricerca del piacere vorrebbero dettare legge, siate le custodi della purezza, del disinteresse, della pietà. Gesù, che ha conferito all’amore coniugale tutta la sua pienezza, ha anche esaltato la rinuncia a questo amore umano, quando è fatta per l’Amore infinito e per il servizio di tutti.
9) Donne nella prova, infine, voi che state ritte sotto la croce ad immagine di Maria, voi che tanto spesso nella storia avete dato agli uomini la forza di lottare fino alla fine, di testimoniare fino al martirio, aiutateli ancora una volta a ritrovare l’audacia delle grandi imprese, unitamente alla pazienza e al senso delle umili origini.
10) O voi donne, che sapete rendere la verità dolce, tenera, accessibile, impegnatevi a far penetrare lo spirito di questo Concilio nelle istituzioni, nelle scuole, nei focolari, nella vita di ogni giorno.
11) Donne di tutto l’universo, cristiane o non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi salvare la pace del mondo!
LE DONNE AL SEPOLCRO: “C’ERANO ANCHE
ALCUNE DONNE”
Di P. Raniero Cantalamessa, Predica del Venerdì Santo 2007
nella Basilica di S. Pietro
“Stavano
presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e
Maria di Màgdala” (Gv 19, 25). Per una volta lasciamo da parte Maria, sua
Madre. La sua presenza sul Calvario non ha bisogno di spiegazioni. Era “sua
madre” e questo spiega tutto; le madri non abbandonano un figlio, neppure
condannato a morte.
Ma perché erano lì le altre donne? (…) Venute con Gesú dalla
Galilea, queste donne lo avevano seguito, piangendo, nel viaggio al Calvario
(Lc 23, 27-28), ora sul Golgota osservavano “da lontano” (cioè dalla
distanza minima loro consentita) e di lì a poco lo accompagnano al sepolcro,
con Giuseppe di Arimatea.
Le chiamiamo, con una certa condiscendenza maschile, “le pie
donne”, ma esse sono ben più che “pie donne”, sono altrettante “Madri
Coraggio”! Hanno sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così
apertamente in favore di un condannato a morte. Gesú aveva detto: “Beato chi
non si sarà scandalizzato di me” (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche
che non si sono scandalizzate di lui. (…)
Furono degli uomini a condannarlo, non delle donne. Anche
l’unica donna pagana menzionata nei racconti, la moglie di Pilato, si dissociò
dalla sua condanna (Mt 27, 19). (…) Questo è uno dei segni più certi
dell’onestà e dell’attendibilità storica dei vangeli: la figura meschina che
fanno in essi gli autori e gli ispiratori dei vangeli e la figura meravigliosa
che vi fanno fare a delle donne. Chi avrebbe permesso che fosse conservata, a
imperitura memoria, la storia ignominiosa della propria paura, fuga,
rinnegamento, aggravata in più dal confronto con la condotta così diversa di
alcune povere donne, chi, ripeto, l’avrebbe permesso, se non vi fosse stato
costretto dalla fedeltà a una storia che appariva ormai infinitamente più
grande della propria miseria?
Ci si è sempre chiesti come mai le “pie donne” sono le prime a
vedere il Risorto e ad esse viene dato l’incarico di annunciarlo agli apostoli.
Questo era il modo più sicuro per rendere la risurrezione poco credibile. La
testimonianza di una donna non aveva alcun peso. (…) Gli stessi apostoli sulle
prime presero le parole delle donne come “un vaneggiamento” tutto
femminile e non credettero ad esse. (…)
Le donne sono state le prime a vederlo risorto perché erano
state le ultime ad abbandonarlo da morto e anche dopo la morte venivano a
portare aromi al suo sepolcro (Mc 16,1).
Perché le donne hanno resistito allo scandalo della croce?
Perché gli sono rimaste vicine quando tutto sembrava finito e anche i suoi
discepoli più intimi lo avevano abbandonato e stavano organizzando il ritorno a
casa? (…) Le donne avevano seguito Gesú per lui stesso, per gratitudine del
bene da lui ricevuto, non per la speranza di far carriera al suo seguito. Ad
esse non erano stati promessi “dodici troni”, né esse avevano chiesto di
sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo regno. Lo seguivano, è
scritto, “per servirlo” (Lc 8, 3; Mt 27, 55); erano le uniche, dopo
Maria la Madre, ad avere assimilato lo spirito del vangelo. Avevano seguito le
ragioni del cuore e queste non le avevano ingannate.
(…) Non solo per il ruolo svolto nella passione, ma anche per
quello svolto nella risurrezione le pie donne sono di esempio alle donne
cristiane di oggi. Nella Bibbia si incontrano da un capo all’altro dei “va!” o
degli “andate!”, cioè degli invii da parte di Dio. (…) Sono tutti “andate!”
indirizzati a degli uomini. C’è un solo “andate!” indirizzato a delle donne,
quello rivolto alle mirofore il mattino di Pasqua: “Allora Gesù disse loro:
“Andate ed annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”
(Mt 28, 10). Con queste parole le costituiva prime testimoni della
risurrezione. È un peccato che, a causa dell’errata identificazione con la
donna peccatrice che lava i piedi di Gesú (Lc 7, 37), Maria Maddalena abbia
finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel
culto e nell’arte quasi solo nella veste di “penitente”, anziché in quella di
prima testimone della risurrezione, “apostola degli apostoli”, come la
definisce san Tommaso d’Aquino.
“Abbandonato in fretta
il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai
suoi discepoli” (Mt 28, 8). Donne cristiane, continuate a portare ai
successori degli apostoli e a noi sacerdoti loro collaboratori il lieto
annuncio: “Il Maestro è vivo! E’ risorto! Vi precede in Galilea, cioè
dovunque andiate!” (…) .
La Beata Madre Teresa di Calcutta
parla alle donne
[Beata Madre Teresa di Calcutta - Conferenza ONU
sul ruolo della donna -
Pechino, 13 settembre 1995]
“Devo dire che non arrivo a comprendere perché alcuni affermino che l’uomo e la donna sono esattamente uguali, e che si trovino così a negare la bellezza delle diversità che esistono fra l’uomo e la donna. I doni di Dio sono tutti ugualmente buoni ma non sono necessariamente gli stessi. Rispondo spesso a chi mi dice che gli piacerebbe servire i poveri come faccio io: ” Ciò che faccio io, non siete in grado di farlo Ciò che voi fate , io non sono in grado di farlo. Ma voi ed io insieme, possiamo fare qualcosa di bello per Dio.
“Devo dire che non arrivo a comprendere perché alcuni affermino che l’uomo e la donna sono esattamente uguali, e che si trovino così a negare la bellezza delle diversità che esistono fra l’uomo e la donna. I doni di Dio sono tutti ugualmente buoni ma non sono necessariamente gli stessi. Rispondo spesso a chi mi dice che gli piacerebbe servire i poveri come faccio io: ” Ciò che faccio io, non siete in grado di farlo Ciò che voi fate , io non sono in grado di farlo. Ma voi ed io insieme, possiamo fare qualcosa di bello per Dio.
E’ così anche per le differenze fra
l’uomo e la donna. Dio ha creato ciascuno di noi , ciascun essere umano, in
vista di una cosa più grande: amare ed essere amati. Perché Dio ci ha creato
uomini e donne? Perché l’amore di una donna è uno dei volti dell’amore di Dio.
L’amore di un uomo è un altro volto di questo stesso amore. L’uomo e la donna
sono entrambi creati per amare, ma ognuno in modo diverso; l’uomo e la donna si
completano l’un l’altro, e tutti e due insieme manifestano l’amore di Dio molto
meglio di quello che potrebbe fare ciascuno separatamente.
Questa potenza .speciale di amore che
hanno le donne non è così evidente come quando esse diventano madri. La
maternità è il dono che Dio fa alle donne. Quanto dobbiamo essere riconoscenti
a Dio per questo dono che porta una così gran gioia al mondo intero, agli
uomini come alle donne. E tuttavia questo dono della maternità , noi lo
possiamo distruggere e in modo tutto speciale attraverso il male dell’aborto,
ma anche attraverso il fatto di pensare che ci sono delle cose più importanti
che amare, che donarsi al servizio degli altri: la carriera, per esempio, il
lavoro fuori casa. Nessun lavoro, nessun programma di carriera, nessun possesso
materiale, nessuna idea di “libertà” può sostituire l’amore. Di modo che tutto
ciò che distrugge il dono della maternità, che è un dono di Dio, distrugge il
più prezioso dei doni fatti da Dio alle donne, quello di amare in quanto donne.
Dio ci ha detto : “Ama il prossimo tuo
come te stesso”. Di modo che io devo prima di tutto amare me stesso, come si
deve, e poi amare il mio prossimo alla stessa maniera. Ma come posso amare me
stesso se non mi accetto come Dio mi ha fatto? Coloro che negano la bellezza
delle differenze fra l’uomo e la donna non si accettano come Dio li ha fatti, e
non possono dunque amare il loro prossimo. Essi non possono portare con sé che
divisione e infelicità e distruggere la pace del mondo. Per esempio, come ho
spesso sostenuto, l’aborto è ciò che distrugge maggiormente la pace del mondo
d’oggi. E coloro che vogliono assolutamente che l’uomo e la donna siano la
medesima cosa sono tutti favorevoli all’aborto.
Al posto della sofferenza e della
morte, portiamo la pace e la gioia al mondo. A questo scopo, dobbiamo chiedere
a Dio il dono della pace ed imparare ad amarsi e ad accettarsi come fratelli e
sorelle, figli di Dio. Sappiamo che l’ambiente dove il bambino può meglio
imparare ad amare e a pregare, è la famiglia, dove egli è testimone dell’amore
e della preghiera del padre e della madre. Quando c’è una frattura o disunione
nella famiglia, i figli, molto spesso, crescono senza sapere cosa vuol dire
amare e pregare. Un Paese dove sono numerose la famiglie distrutte in questo
modo non può non essere esposto a parecchi problemi. Sono spesso stata
testimone, specie nei Paesi ricchi, del fatto che i figli cercano rifugio nella
droga o altre cose dal momento che sono costretti a far fronte all’indifferenza
o al rifiuto della famiglia.
D’altra parte quando le famiglie sono
forti ed unite, i figli sono in grado di vedere nell’amore del padre e della
madre l’amore tutto speciale che Dio ha per loro e possono anche arrivare a
fare dei loro paesi un luogo dove si ama e si prega. Il bambino è il più bel
dono che Dio possa fare alla famiglia: egli ha altrettanto bisogno del padre
come della madre perché l’uno e l’altra manifestano l’amore di Dio in una
maniera speciale. Una famiglia che prega insieme resta insieme, e se essi
restano insieme, si ameranno gli uni gli altri come Dio li ha amati, tutti ed
ognuno vicendevolmente. E le opere dell’amore sono sempre opere di pace.
Allora, custodiamo ognuno nel nostro cuore la gioia di amare e condividiamo
questa gioia con tutti coloro che si trovano sul nostro cammino. La preghiera
che rivolgo a Dio è che tutti i delegati, e che tutte le donne che la
Conferenza di Pechino cerca di aiutare, che tutte e ciascuna di loro, io dico,
arrivino a fare propria l’umiltà e la purezza di Maria per poter vivere in pace
e in amore gli uni con gli altri, facendo così delle nostre famiglie e del
nostro mondo un luogo di bellezza per Dio. Ciò di cui abbiamo bisogno è la
preghiera. Tutto per la gloria di Dio ed il bene degli uomini. Che Dio benedica
voi tutti.
L’importanza delle donne nella Chiesa
di Lucietta Scaraffia Il Messaggero, 21.2.13
«Il genio femminile non ha certo bisogno di cariche
gerarchiche per affermarsi nella Chiesa». Con queste parole Papa Woityla aveva sintetizzato il suo pensiero sul
ruolo delle donne nella Chiesa, ma nonostante la sua bellissima lettera
apostolica “Mulieris dignitatem”,
che chiariva una volta per tutte che la differenza femminile doveva essere
accolta come una ricchezza, e non come una inferiorità, alla sua morte la
questione era ancora aperta. E ancora aperta rimane anche oggi, dopo la
decisione di Benedetto XVI. Papa Ratzinger ha contribuito senza dubbio a una
maggiore visibilità delle donne nella Chiesa: non solo durante il suo
pontificato sono aumentate e salite di grado le donne che lavorano per la Santa
Sede e nei suoi organismi, ma ha voluto che crescessero nell’Osservatore Romano
le collaborazioni femminili, fino a permettere la creazione di un mensile,
“Donne, Chiesa, Mondo”, pensato proprio per dare voce alle donne che operano
nella Chiesa. Nella Chiesa infatti le donne stanno svolgendo un ruolo
fondamentale. Non solo costituiscono più della metà dei religiosi, ma anche
nelle parrocchie assumono compiti insostituibili come il sostegno ai poveri,
l’insegnamento del catechismo, l’assistenza agli anziani. Ma il problema si
pone soprattutto se si confronta la Chiesa con il mondo occidentale, dove le
donne ormai hanno raggiunto una completa parità con gli uomini, e svolgono
anche ruoli direttivi di primaria importanza. Allora la differenza salta agli
occhi, e il Vaticano, cioè l’insieme delle più alte gerarchie ecclesiastiche,
appare un mondo strettamente maschile.
In
realtà, soprattutto negli ultimi anni, sono molto aumentate le donne che
lavorano all’interno delle sacre mura, e un po’ sono anche salite di grado. Ma
la differenza rimane tuttora significativa, e rischia di far considerare come
nemica dell’emancipazione femminile una istituzione che, almeno fino alla prima
metà del Novecento, aveva dato alle donne molte maggiori possibilità di
affermazioni e libertà che non il mondo laico. Si può ben capire quindi come nelle
file di molti istituti religiosi, o di altri tipi di organizzazione in cui le
donne sono ampiamente presenti, serpeggi ormai da qualche anno un profondo
malcontento, che può arrivare perfino, in alcune frange più radicali, a
un’aperta protesta che si accompagna alla richiesta del sacerdozio femminile,
visto come l’unica strada per le donne per ottenere un ruolo riconosciuto nella
Chiesa. Sono sorte così associazioni femminili che si pongono in posizione
fortemente critica nei confronti della Chiesa ufficiale, mutuando parole
d’ordine dal femminismo e accettando perfino di utilizzare la categoria del
“gender”, che dovrebbe sostituire il concetto di differenza sessuale.
Un’uguaglianza totale, che nega ogni specificità: proprio il contrario del
programma di femminismo cattolico proposto da Woityla con
la “Mulieris dignitatem” e da Ratzinger nella lettera ai vescovi “sulla
collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo”. Si va dal “Comité de la jupe” in
Francia, alle proteste delle religiose americane, dagli scritti di teologhe
radicali a interventi di intellettuali dissenzienti, come Hans Küng. Non è
certo questa la via che seguirà la Chiesa per affrontare il problema, come i
documenti pontifici hanno già chiarito da tempo. E anche le sostenitrici del
sacerdozio femminile dovranno farsene una ragione: anche perché non c’è nessun
bisogno di ordinare le donne prete per aprire loro le porte di ruoli di
responsabilità, che hanno già dimostrato di sapere sostenere molto bene. È
sufficiente che la necessità del riconoscimento di una alterità - che tra
l’altro è il fondamento del matrimonio cristiano - per la fertilità della
diffusione della fede venga riconosciuta anche dalle istituzioni
ecclesiastiche, che dovrebbero solo applicare anche al loro interno le giuste
parole che rivolgono al mondo. Basta che nella Chiesa prevalgano il merito e
l’umiltà e non il carrierismo e il peso delle cordate, proprio come auspica
Benedetto XVI. In una ristabilita meritocrazia le donne non dovrebbero avere
difficoltà a trovare il loro posto.
Donne, un legame speciale con Gesù (Benedetto
XVI)
In tutti i Vangeli, le donne hanno un grande spazio nei racconti
delle apparizioni di Gesù risorto, come del resto è anche in quelli della
Passione e della Morte di Gesù. A quei tempi, in Israele, la testimonianza
delle donne non poteva avere valore ufficiale, giuridico, ma le donne hanno
vissuto un’esperienza di legame speciale con il Signore, che è fondamentale per
la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non
solo all’inizio del cammino della Chiesa.
Modello sublime ed esemplare di questo rapporto con Gesù, in modo particolare nel suo Mistero pasquale, è naturalmente Maria, la Madre del Signore. Proprio attraverso l’esperienza trasformante della Pasqua del suo Figlio, la Vergine Maria diventa anche Madre della Chiesa, cioè di ognuno dei credenti e dell’intera comunità.
9 aprile 2012, Regina Coeli
Modello sublime ed esemplare di questo rapporto con Gesù, in modo particolare nel suo Mistero pasquale, è naturalmente Maria, la Madre del Signore. Proprio attraverso l’esperienza trasformante della Pasqua del suo Figlio, la Vergine Maria diventa anche Madre della Chiesa, cioè di ognuno dei credenti e dell’intera comunità.
9 aprile 2012, Regina Coeli
Persiste ancora una mentalità maschilista, che ignora la novità
del cristianesimo, il quale riconosce e proclama l'uguale dignità e
responsabilità della donna rispetto all'uomo. Ci sono luoghi e culture dove la
donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna,
dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari,
sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano
atti di violenza nei confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti
e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del
divertimento. Dinanzi a fenomeni così gravi e persistenti ancor più urgente
appare l’impegno dei cristiani perché diventino dovunque promotori di una
cultura che riconosca alla donna, nel diritto e nella realtà dei fatti, la
dignità che le compete.
Dio affida alla donna e all’uomo, secondo le proprie peculiarità, una specifica vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. Penso qui alla famiglia, comunità di amore aperto alla vita, cellula fondamentale della società. In essa la donna e l’uomo, grazie al dono della maternità e della paternità, svolgono insieme un ruolo insostituibile nei confronti della vita.
9 febbraio 2008, XX anniversario della Mulieris Dignitatem
L'antico racconto della Genesi lascia intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista «per l'altro» (cfr 1Cor 11,9): è un'affermazione che, ben lungi dall'evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui Persone, con l'avvento del Cristo, rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre. «Nell'“unità dei due”, l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere “uno accanto all'altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altro... Il testo di Genesi 2,18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere “per” l'altro, nella “comunione” interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”».
Dio affida alla donna e all’uomo, secondo le proprie peculiarità, una specifica vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. Penso qui alla famiglia, comunità di amore aperto alla vita, cellula fondamentale della società. In essa la donna e l’uomo, grazie al dono della maternità e della paternità, svolgono insieme un ruolo insostituibile nei confronti della vita.
9 febbraio 2008, XX anniversario della Mulieris Dignitatem
L'antico racconto della Genesi lascia intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista «per l'altro» (cfr 1Cor 11,9): è un'affermazione che, ben lungi dall'evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui Persone, con l'avvento del Cristo, rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre. «Nell'“unità dei due”, l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere “uno accanto all'altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altro... Il testo di Genesi 2,18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere “per” l'altro, nella “comunione” interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”».
Sacerdozio femminile: perché c’entra Maria
C’è un dito puntato ormai da parecchio tempo contro la Chiesa, da fuori ma anche talvolta dal suo stesso interno. Un cavallo di battaglia del laicismo che però non sembra dispiacere anche ad alcuni cattolici ed è la denuncia di quella che sarebbe una gravissima ingiustizia e cioè il "rifiuto” del sacerdozio alle donne. Si tratta di una “rivendicazione” che è nata e che si è sviluppata nell’ottica del femminismo dal quale attinge le categorie interpretative. Cioè da quell’ottica dei diritti e delle pari opportunità tra uomo e donna che, se può essere utile nella società civile, non si dimostra invece idonea nell’ambito di una realtà quale è la Chiesa. Ma vediamo un po’ di spiegare il perché e al contempo di dimostrare come mai, anche in questo caso, il riferimento a Maria diventi decisivo.
Sappiamo bene come il fatto di riservare il sacerdozio ministeriale ai soli uomini non sia una scelta che la Chiesa ha fatto in proprio – come, per esempio, quella del celibato ecclesiastico – ma sia piuttosto il frutto di un atto di “obbedienza” che essa ha compiuto e continua a compiere nei confronti della volontà del suo fondatore. Cioè di quel Gesù che per il ministero apostolico ha scelto chiaramente non qualche uomo e qualche donna, bensì dodici uomini. Una prassi che non è certo possibile attribuire alle cultura maschilista dell’epoca, dal momento che Gesù ha chiaramente dimostrato di saperla ribaltare, quando necessario. E che dunque non può che risalire ad una sua precisa volontà. D’altra parte, il sacerdote, quando celebra i sacramenti, ha proprio il compito, che non è un potere ma un servizio, di essere un alter Christus, cioè di riprodurre nella sua efficacia ciò che Gesù fece. Gesù nella sua interezza di uomo e dunque anche nella sua maschilità. Che tuttavia non si tratti di una ingiustizia, quanto piuttosto di una divisione di ruoli tra uomo e donna, che non solo non intacca la loro dignità ma anzi ne mette in luce la reciproca fecondità, è proprio Maria. Quando infatti guardiamo agli eventi che hanno presieduto alla incarnazione del Verbo di Dio nella persona di Gesù, cioè all’evento più straordinario che la storia umana registri, ci accorgiamo che mentre Dio non ha voluto aver bisogno di un seme maschile per compiere il suo piano, ha invece considerato necessario il passaggio attraverso un utero femminile, un utero evidentemente non solo considerato nel suo aspetto fisico ma in tutto quello che ciò comporta a livello di persona. Ha cioè chiesto a una donna, non ad un uomo, quella libera adesione al suo progetto che egli riteneva indispensabile.
Ha scritto al proposito il cardinal Biffi: «Tutto ciò obbedisce a un disegno non mondano ma trascendente che non insegue il mito di una uguaglianza astratta e indifferenziata, ma vuole esaltare le singole apprezzabili diversità, armonizzandone i valori rispettivi nell’ambito di un’unica multiforme comunione vivente. Colui che ha chiamato una donna (e non un uomo) a essere la creatura più bella, a collaborare nel modo più decisivo e ampio all’opera della redenzione e a essere l’immagine, l’anticipazione, la madre dell’intera realtà ecclesiale, ha riservato agli uomini (e non alle donne) il ministero apostolico».
Aggiunge von Balthasar che il ministero di Pietro è, in realtà, una pura e semplice funzione provvisoria all’interno di una Chiesa che, in Maria, quale madre del corpo mistico, femminilmente lo abbraccia. E che, con la concessione di un sacerdozio alla donna, questa verrebbe a «rinunciare a un di più per un di meno». E questo perché Maria non rivendica per sé potestà apostoliche ma è la “Regina degli Apostoli”. Ella, dunque, «ha già altro e di più».
LA DONNA E LA CHIESA
Nell’Antico Testamento (o Primo
secondo una scuola di pensiero teologica) molte sono le donne che incontriamo,
alcune delle quali emergono e trovano visibilità per volontà divina, ma ogni
azione ed ogni evento di cui esse sono protagoniste avvengono in un contesto
patriarcale dove esse sono sottomesse all’autorità del padre, del marito o dei
fratelli senza occupare alcun posto di rilievo. Alcune di esse sono scelte,
chiamate da Dio e lasciano una traccia significativa come la prostituta Raab,
la vedova di Sarepta, Ruth, Ester, Anna la madre di Samuele. Iddio si serve di
loro ed a loro parla per mezzo di messaggeri, di visioni, di segni particolari.
Sebbene non si possa parlare di chiesa e di inserimento sociale della donna,
tuttavia esse sono state il tramite con cui il Signore ha portato a compimento
i suoi disegni. Tutte donne fedeli ed ubbidienti alla volontà divina.
Nel Nuovo Testamento lo scenario cambia poiché delle donne
acquistano visibilità accanto a Gesù e proprio per sua scelta. A quel tempo gli
abitanti della Samaria erano tenuti in gran disprezzo dai Giudei perché si
erano lasciati contaminare dai culti pagani eppure è proprio ad una donna
samaritana che Gesù chiede da bere quando affaticato ed assetato si siede
presso il pozzo dove lei si apprestava ad attingere acqua, si sofferma a
parlarle mostrandole di conoscere la sua vita, le annuncia la salvezza e le
rivela di essere il Messia. La donna dal momento in cui, emozionata e turbata
al tempo stesso dalle parole di Gesù, abbandona la sua secchia e va ad
annunciare agli abitanti del villaggio che quell’uomo è il Cristo diventa una
predicatrice, una testimone. Insomma il Salvatore non si rivolge ad un uomo,
privilegia l’umile portatrice d’acqua con un vissuto non eticamente corretto
per quei tempi. Ancora incontriamo, sempre nei Vangeli, l’adultera condannata
alla lapidazione che Gesù libera dai suoi accusatori ed aguzzini, la esorta a
non peccare più rivolgendosi a lei con pietà, con amore infinito e non esitando
ad avvicinarsi ad una persona considerata dalla comunità un rifiuto sociale.
Le donne sono presenti nella vita di Gesù fino alla sua morte ed
alcune di esse saranno testimoni della sua resurrezione. Altre provvederanno al
sostentamento suo e dei suoi discepoli, lo seguiranno durante il periodo
dedicato alla predicazione itinerante, cioè di villaggio in villaggio della
Galilea e della Giudea. Maria di Magdala, Maria di Betania sorella di Lazzaro
che secondo il Vangelo di Giovanni unse i piedi di Gesù con un olio profumato
molto prezioso. Un omaggio, ma anche un gesto annunciante la morte dell’Amico
che aveva riportato in vita il fratello Lazzaro. Ed ancora, secondo Luca cap.8,
seguivano Gesù Giovanna moglie di Cuza amministratore di Erode e Susanna. A
Maria di Magdala, liberata da sette demoni, Gesù appare, si fa riconoscere e le
affida il compito di andare ad annunciare la sua resurrezione. Privilegio
inestimabile offerto ad una donna, un’umile servente! Durante gli anni di
predicazione tutta la vita di Gesù è popolata da donne a cui Egli manifesta
sempre pietà, amore, comprensione, fiducia e soprattutto rispetto. Egli dunque
riconosce alla donna le sue peculiarità e la solleva dal ruolo di sottomissione
impostole da una cultura patriarcale delineando per lei un modello di
apostolato evangelico.
Dopo la sua morte e resurrezione le comunità cristiane che si
andavano organizzando sono popolate da numerose figure femminili di alto
rilievo: Febe, la diaconessa [1], la moglie di Aquila Priscilla, Evodia e
Sintiche coadiutrici di Paolo nel servizio apostolico, le quattro figlie di
Filippo che profetizzavano, Trifena e Trifosa che “si affaticano nel Signore”
[2], Perside ed altre ancora. Con il finire del I secolo d.C. la presenza della
donna nella chiesa all’improvviso scompare o meglio resta solo l’impegno
sociale. Una volta formatasi la chiesa come istituzione le donne vengono
escluse dal ministero, d’altra parte nella I Lettera ai Corinzi al cap.14 si
legge: “…le donne tacciano nelle assemblee perché non è loro permesso di
parlare …”, ogni commento è superfluo. Si fa spazio sempre di più
l’atteggiamento misogino che ancora oggi in diverse realtà ecclesiali di varie
confessioni cristiane è ben radicato. La presenza femminile nella chiesa viene
sostituita da quella della madre di Gesù, la Madonna Madre e Vergine che
impersonifica la figura ideale della donna come è voluta e caldeggiata da una
chiesa governata da uomini celibi. Insomma, dopo il I secolo alla donna viene
tolto quel ruolo apostolico che Gesù invece le aveva affidato. Con il passare
dei secoli il ruolo femminile sarà esclusivamente quello di moglie, madre,
figlia ubbidiente, dedita alle cure familiari e alle opere di carità. Occorre sottolineare
tuttavia che nel primo millennio le donne fruivano ancora di qualche spazio
nella chiesa, un esempio di questo privilegio ci è dato da Ildegarda di Bingen
che fu badessa, studiosa, scienziata ma soprattutto poté costruirsi un
monastero e viverci con le consorelle che si era scelta e le fu accordato il
permesso di andare a predicare in numerose città germaniche. Dopo la sua morte
avvenuta nel 1179 si apre un’epoca molto lunga di esclusione per le donne
dovuta alle leggi del celibato ecclesiastico. Era necessario separare il clero
costituito solo da uomini per garantire la loro castità e così andò disperso un
patrimonio di scambi culturali che a quel tempo avvenivano attraverso i
monasteri “doppi”, mentre le nascenti università, proprio per la legge sul
celibato, erano aperte solamente agli uomini. Alle donne, laiche o religiose,
non era permesso svolgere alcun ruolo ecclesiastico.
La situazione non cambiò molto con la Riforma protestante, anche
se al costituirsi di una nuova dottrina ecclesiale alcune donne fornite di
buona cultura poterono dare il loro contributo come Argula von Grunbach e
Katharina von Bora collaborando con i propri mariti. In seguito, con il passare
del tempo, le mogli dei pastori furono sempre più impegnate nella cura parrocchiale
e così la casa pastorale divenne luogo di cultura, di formazione e di sostegno
spirituale e sociale. Nel XIX secolo l’enorme sviluppo industriale fu causa di
sfruttamento disumano e di impoverimento delle masse operaie con conseguente
degrado sociale a cui le chiese non riuscivano a porre freno, proprio ad opera
di donne “illuminate” e dotate di possibilità economiche sorsero associazioni
che fondarono ospizi, scuole, ospedali, centri di accoglienza. Le donne
impegnate in queste opere di soccorso e riscatto ebbero sempre come scopo
primario la formazione scolastica e professionale delle ragazze per sottrarle
allo sfruttamento di ogni genere. Agli inizi del ’900 la funzione femminile
cambierà nelle chiese protestanti, infatti alle facoltà evangelico-teologiche
poterono accedere anche le donne, ma una volta divenute teologhe potevano
essere nominate solamente vicarie pastorali, insegnavano nelle scuole e
provvedevano alla cura pastorale di donne e bambini. La prima pastora
“ordinata” fu Elisabeth Haseloff nel 1958. Attualmente le donne pastore in
servizio sono circa il 40%.
Come ho già accennato all’inizio dell’articolo, nella comunità
di Gesù ed anche in epoca apostolica la donna ebbe un ruolo assai significativo
che si contrasse poiché nel contesto sociale la donna divenne sempre più
subordinata all’uomo. Per ciò che riguarda la chiesa cattolica l’esclusione
della donna dall’ordinazione sacerdotale si rifà a due passaggi del Nuovo
Testamento: I Lettera ai Corinzi cap.14 vers. 34-35 e I Lettera a Timoteo cap.2
vers.12. C’è tutta una letteratura che spiega l’esclusione dell’ordinazione dal
ministero sacerdotale per la donna e ribadisce la sua inferiorità e
subordinazione. Nell’epoca della grande Scolastica i teologi affermavano essere
il sesso maschile a costituire la condizione necessaria per essere consacrati
sacerdoti. Dopo il Concilio di Trento l’esclusione della donna dall’ordinazione
è considerata “verità cattolica”, “dottrina di fede”, si giustifica
l’esclusione in quanto la donna non può avere attitudine al magistero proprio
per il suo stato di subordinazione. Il Codice di Diritto Canonico del 1917
afferma che l’ordinazione può essere ricevuta solo dall’uomo maschio
battezzato. Tutt’oggi la posizione nella chiesa cattolica resta quella fissata
nella dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede del 15
ottobre 1976 in cui sono esposte le quattro ragioni teologiche con le quali si
esclude ogni possibilità per la donna di accedere al sacerdozio ministeriale.
L’ipotesi che tale documento possa subire un cambiamento è molto remota e ciò è
pietra d’inciampo nel dialogo ecumenico. Tuttavia vale ricordare che nel Sinodo
del 1971 fu sollevata la questione del sacerdozio femminile grazie
all’intervento di alcuni vescovi che fecero rilevare le numerose
discriminazioni subite dalle donne sia in seno alla chiesa che nella società
civile, così fu chiesto al papa di formare una commissione composta di uomini e
di donne, di chierici e di laici, affinché alle donne fossero riconosciute
alcune responsabilità nella vita della chiesa. Nel maggio 1973 Paolo VI formò
questa commissione che suscitò grandi speranze, benché la voce “sacerdozio” non
fosse menzionata. Il mandato della Commissione, limitato ad un anno, fu in
seguito prolungato, ma le questioni più importanti non furono affrontate e così
un gruppo di donne, cinque delle quindici facenti parte, scrissero una lettera
di dimissioni al papa. Quando i lavori furono ripresi fu promessa loro una
maggiore attenzione ma purtroppo le questioni fondamentali continuarono ad
essere disattese. Durante le riunioni della Commissione si parlò molto della
donna nel “disegno di Dio”, ma senza chiarezza, anzi sovente in modo assai
ambiguo e così il 29 dicembre 1975 uscì un documento firmato dal gruppo di
donne facenti parte della commissione, con il quale si evidenziava la mancanza
di risposte alle loro istanze. Le donne firmatarie della lettera furono Maria
del Pilar Bellosillo, Claire Delva, Marina Lessa, Maria Vittoria Pinheiro,
Debora A. Seymour, Marie Vendrik. Donne coraggiose che non esitarono ad esporsi
pur di manifestare il loro dissenso. A proposito dei ministeri così si
espressero: “nelle comunità vive della Chiesa di tutto il mondo si pone il
problema di conoscere in che cosa e in che modo i laici, e quindi anche le
donne, possono partecipare al ministero della Chiesa: è una questione scottante
nella vita ecclesiale di oggi. Pertanto noi giudichiamo deplorevole che nel
documento finale non sia trattato questo argomento...”.
Sara Rivedi Pasqui
[1] a quel tempo le diaconesse si occupavano dei servizi
liturgici
[2] fatiche apostoliche
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