giovedì 4 settembre 2014

DONNA nella CHIESA (Dizionario)


Il ruolo della donna nella Chiesa, accusata di essere prettamente maschilista, è una delle questioni molto dibattute. Perché non possono essere ordinate come sacerdoti, così come fanno le Chiese protestanti? E’ indubbio che Gesù ha avuto nei confronti delle donne un rapporto molto libero e positivo, eppure ha scelto solo uomini come suoi apostoli. In uno speciale dossier del mensile paolino Jesus si parla del “lato femminile di Dio” e si ricorda, fra l’altro, come solo in Italia vivano ben 80 mila religiose, tre volte più dei preti, ma come queste siano rimaste ai margini, discrete, silenziose, lontano dai riflettori e dal potere.

Seguiamo alcuni passi dell’articolo “L’altra metà della Chiesa”:
Le donne non possono «fare da commentatore. Questo solo si permette: che in caso di necessità una donna guidi in certo modo il canto o le preghiere dei fedeli ».
L'Istruzione di Pio XII Musica sacra e sacra liturgia, pubblicata nel 1958, non lasciava spazi di alcun tipo. Le donne erano tenute a grande distanza da tutto ciò che riguardava la "gestione del sacro". Occorrerà aspettare fino al 1967 per avere qualche segnale differente. Un vento nuovo spirava nella Chiesa dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, ma le remore erano ancora tante. (…) Se il "contatto" con lo spazio sacro continuava a essere un problema, su altri piani si aprivano, invece, nuove strade. E così, nella seduta del 20 dicembre del 1967, la stessa Congregazione osava spingersi fino al punto da affrontare il tema della «capacità dottrinale delle donne» sancendo la «piena e pari dignità teologica dell'universo femminile e consentendo alle donne di salire in cattedra.
Una svolta epocale. Almeno in linea di principio, perché a guardare ciò che è accaduto negli oltre quarant'anni successivi, la parità è ancora lontana dall'essere raggiunta. Certo, le donne hanno avuto accesso alle cattedre di Teologia ma le docenti sono ancora il 10,4 per cento del totale: una minoranza che diventa ancora più esigua se si guarda alle materie di insegnamento.
(…) I numeri si capovolgono, invece, quando si tratta di questioni pratiche. Per restare in Italia, basti pensare che a far andare avanti le 23 mila parrocchie ci pensano circa 200 mila laici tra catechisti e operatori pastorali. In quasi l'80 per cento dei casi si tratta di donne, e di donne giovani, visto che il 70 per cento ha meno di 50 anni. Per esse si delinea un vero paradosso: sono ai margini dei luoghi decisionali, ma nello stesso tempo sono al centro dei problemi e della vita.
Non sul pulpito, poco sulle cattedre, ancor meno come direttrici di oratori o di uffici pastorali, le donne sono molto presenti nelle aule di catechismo, nei servizi sociali e di volontariato, come ministre straordinarie dell'Eucarestia e, sempre di più, come madri spirituali. Impossibilitate ad accedere al "potere", hanno cercato i loro spazi arrivando a dar vita a quello che da qualche tempo viene chiamato «magistero della vita», un modo di stare dentro e con la Chiesa che è "magisteriale", di insegnamento.
(…) Sono questi – la gestione del potere, l'accesso delle donne al diaconato, lo spazio di ascolto e di parola, la questione del genere, la femminilità nella tradizione della Chiesa – alcuni dei nodi irrisolti. (…) «La Chiesa cattolica», sottolinea la teologa Maria Cristina Bartolomei, «stenta a dare spazio e voce al femminile. Non solo alle donne storiche, ma al femminile in quanto tale, presente sia negli uomini che nelle donne. Abbiamo un vizio d'origine che nasce anche dal linguaggio. Nelle lingue che non hanno il neutro, come la nostra, Dio è sempre tradotto al maschile. E questo non è indolore». Esserne coscienti e discuterne apertamente è già una forma di coraggio.
(Laura Badaracchi e Iacopo Scaramuzzi, L’altra metà della Chiesa, Jesus, maggio 2011)

PARITA’ o PARI DIGNITA’ nella differenza di genere?

Il femminismo non è stato mai bene accolto nella Chiesa. Per affermare la loro dignità, hanno creduto necessario assumere atteggiamenti maschili, lavori tradizionalmente riservati ai maschi, oppure minimizzare la differenza dei sessi, riducendola a un prodotto culturale (vedi la polemica attuale dei gender, cioè dei generi sessuali).
Seguiamo quanto scrive Lucia BellaspigaAbbiamo lottato per la parità. Abbiamo urlato nelle piazze che noi eravamo come loro, gli uomini. Abbiamo pensato che vivere libere equivalesse ad essere la loro copia, bella o brutta che fosse, una specie di clone asessuato, mascolinizzato. Abbiamo bandito la femminilità come fosse un orpello e lo stigma di una manifesta inferiorità. E così, in nome del femminismo, abbiamo rinunciato ad essere femmine, e prima ancora donne. Un errore che affonda le proprie radici storiche nelle battaglie ideologiche del Sessantotto, ma che paghiamo caro ancora oggi, con tanto di interessi: alla fine del nostro lungo affannarci, oggi le libertà sono le stesse di allora, forse sono anche meno, e noi ci siamo perse, convinte ancora che indossare i pantaloni sia un grido di battaglia. Il ragionamento è molto semplice: se si cerca di imitare qualcuno è perché lo si ritiene superiore. Dunque proprio quell’arrabbiato e caparbio emulare la natura dell’uomo, persino i suoi difetti, in realtà tradisce un nostro (immotivato) complesso di inferiorità, quello che ci fa dire «sono libera se sono uguale al maschio». No, noi siamo libere perché fieramente diverse.
Senza cadere in un complesso di superiorità, ma consce del fatto che Dio per i credenti, la natura per gli atei, ci ha fatti uomini e donne, opposti e complementari, ognuno chiamato a valorizzare sempre meglio quelle precipue caratteristiche che fanno di noi donne delle 'vere donne', e dei nostri compagni dei 'veri uomini'. Ma tutto questo può avvenire solo a un prezzo, che in fondo è anche bello pagare: accettare di essere concavi e convessi, per rivestire ognuno il proprio ruolo. (…) Siamo arrivate al punto di lottare per il diritto ad uccidere il figlio che portiamo in grembo: per essere come chi non lo può e mai lo potrà generare... Ma il diritto, quello vero, che ancora ci chiama a battaglia è ancora molto lontano a venire: si chiama complementarietà. Agogniamo una società che ci permetta di valorizzarci senza perderci, che ci lasci essere orgogliosamente mogli e madri, ma insieme lavoratrici, studiose, artiste, donne realizzate anche al di fuori della famiglia, come avviene ai mariti e padri responsabili. Che ci dia i mezzi, concreti, per poter essere – se lo vogliamo – tutto questo insieme. Solo così 'restare a casa' per crescere i figli non sarà mai un ripiego, parola che suona come una bestemmia se accostata al ruolo di madre, ma una scelta felice perché libera. Solo così sapremo trasmettere i nostri atavici saperi senza l’amarezza di una costante rinuncia.
Solo così guarderemo ai nostri uomini come a compagni di strada che marciano assieme a noi, pronti ad aspettarci se ci attardiamo un po’, ma anche a chiederci aiuto quando le più forti siamo noi. E non perché indossiamo i pantaloni, ma perché Dio (o la natura, per chi non crede) ci ha dato la capacità di essere sempre un po’ madri, anche degli uomini che non abbiamo messo al mondo”.
(Lucia Bellaspiga, La libertà che non inganna perché ci rende più donne, Avvenire 8.3.11)

Sul ruolo della donna nella Chiesa secondo Giovanni Paolo II

“Nella Mulieris dignitatem, Giovanni Paolo II ha voluto approfondire le veritàantropologichefondamentali dell'uomo e della donna, l'uguaglianza in dignità e l'unità dei due, la radicata e profonda diversità tra il maschile e il femminile e la loro vocazione alla reciprocità e allacomplementarità, alla collaborazione e alla comunione. Questa unità-duale dell'uomo e della donna si basa sul fondamento della dignità di ogni personacreata a immagine e somiglianza di Dio, il quale "maschio e femmina li creò". (Papa Benedetto XVI9 febbraio2008)
 La Mulieris Dignitatem ("La dignità della donna") è una Lettera Apostolica diGiovanni Paolo II pubblicata nel 1988, in occasione dell'Anno Mariano e sulla scia delSinodo dei Vescovi dell'anno precedente.
Tornerà a rivolgersi alle donne con una lettera del 1995 in cui, tra l’altro, scrive:
Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.
Ma il grazie non basta, lo so. Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. (…) Ma se in questo non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa, me ne dispiaccio sinceramente. Tale rammarico si traduca per tutta la Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all'ispirazione evangelica, che proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di dominio, ha un messaggio di perenne attualità, sgorgante dall'atteggiamento stesso di Cristo.
Egli, superando i canoni vigenti nella cultura del suo tempo, ebbe nei confronti delle donne un atteggiamento di apertura, di rispetto, di accoglienza, di tenerezza. Onorava così nella donna la dignità che essa ha da sempre nel progetto e nell'amore di Dio. Guardando a Lui, sullo scorcio di questo secondo millennio, viene spontaneo di chiederci: quanto del suo messaggio è stato recepito e attuato?

Vedi anche: http://parolevita.blogspot.it/2013/03/donne-un-legame-speciale-con-gesu.html (Interventi di Benedetto XVI)
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Messaggio che, a chiusura del Concilio Vaticano II, il Santo Padre Paolo VI rivolse, suddiviso in undici punti, alle donne. Era l’8 dicembre 1965. Eccone il testo: 
1) Ed ora è a voi che ci rivolgiamo, donne di ogni condizione, figlie, spose, madri e vedove; anche a voi, vergini consacrate e donne nubili: voi siete la metà dell’immensa famiglia umana!
2) La Chiesa è fiera, voi lo sapete, d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza sostanziale con l’uomo.
3) Ma viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto.
4) È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere.
5) Voi donne avete sempre in dote la custodia del focolare, l’amore delle origini, il senso delle culle. Voi siete presenti al mistero della vita che comincia. Voi consolate nel distacco della morte. La nostra tecnica rischia di diventare disumana. Riconciliate gli uomini con la vita. E soprattutto vegliate, ve ne supplichiamo, sull’avvenire della nostra specie. Trattenete la mano dell’uomo che, in un momento di follia, tentasse di distruggere la civiltà umana.
6) Spose, madri di famiglia, prime educatrici del genere umano nel segreto dei focolari, trasmettete ai vostri figli e alle vostre figlie le tradizioni dei vostri padri, nello stesso tempo che li preparate all’imprevedibile futuro. Ricordate sempre che attraverso i suoi figli una madre appartiene a quell’avvenire che lei forse non vedrà.
7) Ed anche voi, donne nubili, sappiate di poter compiere tutta la vostra vocazione di dedizione. La società vi chiama da ogni parte. E le stesse famiglie non possono vivere senza il soccorso di coloro che non hanno famiglia.
8) Voi soprattutto, vergini consacrate, in un mondo dove l’egoismo e la ricerca del piacere vorrebbero dettare legge, siate le custodi della purezza, del disinteresse, della pietà. Gesù, che ha conferito all’amore coniugale tutta la sua pienezza, ha anche esaltato la rinuncia a questo amore umano, quando è fatta per l’Amore infinito e per il servizio di tutti.
9) Donne nella prova, infine, voi che state ritte sotto la croce ad immagine di Maria, voi che tanto spesso nella storia avete dato agli uomini la forza di lottare fino alla fine, di testimoniare fino al martirio, aiutateli ancora una volta a ritrovare l’audacia delle grandi imprese, unitamente alla pazienza e al senso delle umili origini.
10) O voi donne, che sapete rendere la verità dolce, tenera, accessibile, impegnatevi a far penetrare lo spirito di questo Concilio nelle istituzioni, nelle scuole, nei focolari, nella vita di ogni giorno.
11) Donne di tutto l’universo, cristiane o non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi salvare la pace del mondo!

 

LE DONNE AL SEPOLCRO: “C’ERANO ANCHE ALCUNE DONNE”

Di P. Raniero Cantalamessa, Predica del Venerdì Santo 2007 nella Basilica di S. Pietro
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala” (Gv 19, 25). Per una volta lasciamo da parte Maria, sua Madre. La sua presenza sul Calvario non ha bisogno di spiegazioni. Era “sua madre” e questo spiega tutto; le madri non abbandonano un figlio, neppure condannato a morte.
Ma perché erano lì le altre donne? (…) Venute con Gesú dalla Galilea, queste donne lo avevano seguito, piangendo, nel viaggio al Calvario (Lc 23, 27-28), ora sul Golgota osservavano “da lontano” (cioè dalla distanza minima loro consentita) e di lì a poco lo accompagnano al sepolcro, con Giuseppe di Arimatea.
Le chiamiamo, con una certa condiscendenza maschile, “le pie donne”, ma esse sono ben più che “pie donne”, sono altrettante “Madri Coraggio”! Hanno sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così apertamente in favore di un condannato a morte. Gesú aveva detto: “Beato chi non si sarà scandalizzato di me” (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche che non si sono scandalizzate di lui. (…)
Furono degli uomini a condannarlo, non delle donne. Anche l’unica donna pagana menzionata nei racconti, la moglie di Pilato, si dissociò dalla sua condanna (Mt 27, 19). (…) Questo è uno dei segni più certi dell’onestà e dell’attendibilità storica dei vangeli: la figura meschina che fanno in essi gli autori e gli ispiratori dei vangeli e la figura meravigliosa che vi fanno fare a delle donne. Chi avrebbe permesso che fosse conservata, a imperitura memoria, la storia ignominiosa della propria paura, fuga, rinnegamento, aggravata in più dal confronto con la condotta così diversa di alcune povere donne, chi, ripeto, l’avrebbe permesso, se non vi fosse stato costretto dalla fedeltà a una storia che appariva ormai infinitamente più grande della propria miseria?
Ci si è sempre chiesti come mai le “pie donne” sono le prime a vedere il Risorto e ad esse viene dato l’incarico di annunciarlo agli apostoli. Questo era il modo più sicuro per rendere la risurrezione poco credibile. La testimonianza di una donna non aveva alcun peso. (…) Gli stessi apostoli sulle prime presero le parole delle donne come “un vaneggiamento” tutto femminile e non credettero ad esse. (…)
Le donne sono state le prime a vederlo risorto perché erano state le ultime ad abbandonarlo da morto e anche dopo la morte venivano a portare aromi al suo sepolcro (Mc 16,1).
Perché le donne hanno resistito allo scandalo della croce? Perché gli sono rimaste vicine quando tutto sembrava finito e anche i suoi discepoli più intimi lo avevano abbandonato e stavano organizzando il ritorno a casa? (…) Le donne avevano seguito Gesú per lui stesso, per gratitudine del bene da lui ricevuto, non per la speranza di far carriera al suo seguito. Ad esse non erano stati promessi “dodici troni”, né esse avevano chiesto di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo regno. Lo seguivano, è scritto, “per servirlo” (Lc 8, 3; Mt 27, 55); erano le uniche, dopo Maria la Madre, ad avere assimilato lo spirito del vangelo. Avevano seguito le ragioni del cuore e queste non le avevano ingannate.
(…) Non solo per il ruolo svolto nella passione, ma anche per quello svolto nella risurrezione le pie donne sono di esempio alle donne cristiane di oggi. Nella Bibbia si incontrano da un capo all’altro dei “va!” o degli “andate!”, cioè degli invii da parte di Dio. (…) Sono tutti “andate!” indirizzati a degli uomini. C’è un solo “andate!” indirizzato a delle donne, quello rivolto alle mirofore il mattino di Pasqua: “Allora Gesù disse loro: “Andate ed annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28, 10). Con queste parole le costituiva prime testimoni della risurrezione. È un peccato che, a causa dell’errata identificazione con la donna peccatrice che lava i piedi di Gesú (Lc 7, 37), Maria Maddalena abbia finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e nell’arte quasi solo nella veste di “penitente”, anziché in quella di prima testimone della risurrezione, “apostola degli apostoli”, come la definisce san Tommaso d’Aquino.
Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli” (Mt 28, 8). Donne cristiane, continuate a portare ai successori degli apostoli e a noi sacerdoti loro collaboratori il lieto annuncio: “Il Maestro è vivo! E’ risorto! Vi precede in Galilea, cioè dovunque andiate!” (…) .

La Beata Madre Teresa di Calcutta parla alle donne

[Beata Madre Teresa di Calcutta - Conferenza ONU sul ruolo della donna - Pechino, 13 settembre 1995]

“Devo dire che non arrivo a comprendere perché alcuni affermino che l’uomo e la donna sono esattamente uguali, e che si trovino così a negare la bellezza delle diversità che esistono fra l’uomo e la donna. I doni di Dio sono tutti ugualmente buoni ma non sono necessariamente gli stessi. Rispondo spesso a chi mi dice che gli piacerebbe servire i poveri come faccio io: ” Ciò che faccio io, non siete in grado di farlo Ciò che voi fate , io non sono in grado di farlo. Ma voi ed io insieme, possiamo fare qualcosa di bello per Dio.
E’ così anche per le differenze fra l’uomo e la donna. Dio ha creato ciascuno di noi , ciascun essere umano, in vista di una cosa più grande: amare ed essere amati. Perché Dio ci ha creato uomini e donne? Perché l’amore di una donna è uno dei volti dell’amore di Dio. L’amore di un uomo è un altro volto di questo stesso amore. L’uomo e la donna sono entrambi creati per amare, ma ognuno in modo diverso; l’uomo e la donna si completano l’un l’altro, e tutti e due insieme manifestano l’amore di Dio molto meglio di quello che potrebbe fare ciascuno separatamente.
Questa potenza .speciale di amore che hanno le donne non è così evidente come quando esse diventano madri. La maternità è il dono che Dio fa alle donne. Quanto dobbiamo essere riconoscenti a Dio per questo dono che porta una così gran gioia al mondo intero, agli uomini come alle donne. E tuttavia questo dono della maternità , noi lo possiamo distruggere e in modo tutto speciale attraverso il male dell’aborto, ma anche attraverso il fatto di pensare che ci sono delle cose più importanti che amare, che donarsi al servizio degli altri: la carriera, per esempio, il lavoro fuori casa. Nessun lavoro, nessun programma di carriera, nessun possesso materiale, nessuna idea di “libertà” può sostituire l’amore. Di modo che tutto ciò che distrugge il dono della maternità, che è un dono di Dio, distrugge il più prezioso dei doni fatti da Dio alle donne, quello di amare in quanto donne.
Dio ci ha detto : “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Di modo che io devo prima di tutto amare me stesso, come si deve, e poi amare il mio prossimo alla stessa maniera. Ma come posso amare me stesso se non mi accetto come Dio mi ha fatto? Coloro che negano la bellezza delle differenze fra l’uomo e la donna non si accettano come Dio li ha fatti, e non possono dunque amare il loro prossimo. Essi non possono portare con sé che divisione e infelicità e distruggere la pace del mondo. Per esempio, come ho spesso sostenuto, l’aborto è ciò che distrugge maggiormente la pace del mondo d’oggi. E coloro che vogliono assolutamente che l’uomo e la donna siano la medesima cosa sono tutti favorevoli all’aborto.
Al posto della sofferenza e della morte, portiamo la pace e la gioia al mondo. A questo scopo, dobbiamo chiedere a Dio il dono della pace ed imparare ad amarsi e ad accettarsi come fratelli e sorelle, figli di Dio. Sappiamo che l’ambiente dove il bambino può meglio imparare ad amare e a pregare, è la famiglia, dove egli è testimone dell’amore e della preghiera del padre e della madre. Quando c’è una frattura o disunione nella famiglia, i figli, molto spesso, crescono senza sapere cosa vuol dire amare e pregare. Un Paese dove sono numerose la famiglie distrutte in questo modo non può non essere esposto a parecchi problemi. Sono spesso stata testimone, specie nei Paesi ricchi, del fatto che i figli cercano rifugio nella droga o altre cose dal momento che sono costretti a far fronte all’indifferenza o al rifiuto della famiglia.
D’altra parte quando le famiglie sono forti ed unite, i figli sono in grado di vedere nell’amore del padre e della madre l’amore tutto speciale che Dio ha per loro e possono anche arrivare a fare dei loro paesi un luogo dove si ama e si prega. Il bambino è il più bel dono che Dio possa fare alla famiglia: egli ha altrettanto bisogno del padre come della madre perché l’uno e l’altra manifestano l’amore di Dio in una maniera speciale. Una famiglia che prega insieme resta insieme, e se essi restano insieme, si ameranno gli uni gli altri come Dio li ha amati, tutti ed ognuno vicendevolmente. E le opere dell’amore sono sempre opere di pace. Allora, custodiamo ognuno nel nostro cuore la gioia di amare e condividiamo questa gioia con tutti coloro che si trovano sul nostro cammino. La preghiera che rivolgo a Dio è che tutti i delegati, e che tutte le donne che la Conferenza di Pechino cerca di aiutare, che tutte e ciascuna di loro, io dico, arrivino a fare propria l’umiltà e la purezza di Maria per poter vivere in pace e in amore gli uni con gli altri, facendo così delle nostre famiglie e del nostro mondo un luogo di bellezza per Dio. Ciò di cui abbiamo bisogno è la preghiera. Tutto per la gloria di Dio ed il bene degli uomini. Che Dio benedica voi tutti.

L’importanza delle donne nella Chiesa

di Lucietta Scaraffia Il Messaggero, 21.2.13
«Il genio femminile non ha certo bisogno di cariche gerarchiche per affermarsi nella Chiesa». Con queste parole Papa Woityla aveva sintetizzato il suo pensiero sul ruolo delle donne nella Chiesa, ma nonostante la sua bellissima lettera apostolica “Mulieris dignitatem”, che chiariva una volta per tutte che la differenza femminile doveva essere accolta come una ricchezza, e non come una inferiorità, alla sua morte la questione era ancora aperta. E ancora aperta rimane anche oggi, dopo la decisione di Benedetto XVI. Papa Ratzinger ha contribuito senza dubbio a una maggiore visibilità delle donne nella Chiesa: non solo durante il suo pontificato sono aumentate e salite di grado le donne che lavorano per la Santa Sede e nei suoi organismi, ma ha voluto che crescessero nell’Osservatore Romano le collaborazioni femminili, fino a permettere la creazione di un mensile, “Donne, Chiesa, Mondo”, pensato proprio per dare voce alle donne che operano nella Chiesa. Nella Chiesa infatti le donne stanno svolgendo un ruolo fondamentale. Non solo costituiscono più della metà dei religiosi, ma anche nelle parrocchie assumono compiti insostituibili come il sostegno ai poveri, l’insegnamento del catechismo, l’assistenza agli anziani. Ma il problema si pone soprattutto se si confronta la Chiesa con il mondo occidentale, dove le donne ormai hanno raggiunto una completa parità con gli uomini, e svolgono anche ruoli direttivi di primaria importanza. Allora la differenza salta agli occhi, e il Vaticano, cioè l’insieme delle più alte gerarchie ecclesiastiche, appare un mondo strettamente maschile.
In realtà, soprattutto negli ultimi anni, sono molto aumentate le donne che lavorano all’interno delle sacre mura, e un po’ sono anche salite di grado. Ma la differenza rimane tuttora significativa, e rischia di far considerare come nemica dell’emancipazione femminile una istituzione che, almeno fino alla prima metà del Novecento, aveva dato alle donne molte maggiori possibilità di affermazioni e libertà che non il mondo laico. Si può ben capire quindi come nelle file di molti istituti religiosi, o di altri tipi di organizzazione in cui le donne sono ampiamente presenti, serpeggi ormai da qualche anno un profondo malcontento, che può arrivare perfino, in alcune frange più radicali, a un’aperta protesta che si accompagna alla richiesta del sacerdozio femminile, visto come l’unica strada per le donne per ottenere un ruolo riconosciuto nella Chiesa. Sono sorte così associazioni femminili che si pongono in posizione fortemente critica nei confronti della Chiesa ufficiale, mutuando parole d’ordine dal femminismo e accettando perfino di utilizzare la categoria del “gender”, che dovrebbe sostituire il concetto di differenza sessuale. Un’uguaglianza totale, che nega ogni specificità: proprio il contrario del programma di femminismo cattolico proposto da Woityla con la “Mulieris dignitatem” e da Ratzinger nella lettera ai vescovi “sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo”. Si va dal “Comité de la jupe” in Francia, alle proteste delle religiose americane, dagli scritti di teologhe radicali a interventi di intellettuali dissenzienti, come Hans Küng. Non è certo questa la via che seguirà la Chiesa per affrontare il problema, come i documenti pontifici hanno già chiarito da tempo. E anche le sostenitrici del sacerdozio femminile dovranno farsene una ragione: anche perché non c’è nessun bisogno di ordinare le donne prete per aprire loro le porte di ruoli di responsabilità, che hanno già dimostrato di sapere sostenere molto bene. È sufficiente che la necessità del riconoscimento di una alterità - che tra l’altro è il fondamento del matrimonio cristiano - per la fertilità della diffusione della fede venga riconosciuta anche dalle istituzioni ecclesiastiche, che dovrebbero solo applicare anche al loro interno le giuste parole che rivolgono al mondo. Basta che nella Chiesa prevalgano il merito e l’umiltà e non il carrierismo e il peso delle cordate, proprio come auspica Benedetto XVI. In una ristabilita meritocrazia le donne non dovrebbero avere difficoltà a trovare il loro posto.

Donne, un legame speciale con Gesù (Benedetto XVI)

In tutti i Vangeli, le donne hanno un grande spazio nei racconti delle apparizioni di Gesù risorto, come del resto è anche in quelli della Passione e della Morte di Gesù. A quei tempi, in Israele, la testimonianza delle donne non poteva avere valore ufficiale, giuridico, ma le donne hanno vissuto un’esperienza di legame speciale con il Signore, che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa.

Modello sublime ed esemplare di questo rapporto con Gesù, in modo particolare nel suo Mistero pasquale, è naturalmente Maria, la Madre del Signore. Proprio attraverso l’esperienza trasformante della Pasqua del suo Figlio, la Vergine Maria diventa anche Madre della Chiesa, cioè di ognuno dei credenti e dell’intera comunità.

9 aprile 2012, Regina Coeli
Persiste ancora una mentalità maschilista, che ignora la novità del cristianesimo, il quale riconosce e proclama l'uguale dignità e responsabilità della donna rispetto all'uomo. Ci sono luoghi e culture dove la donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento. Dinanzi a fenomeni così gravi e persistenti ancor più urgente appare l’impegno dei cristiani perché diventino dovunque promotori di una cultura che riconosca alla donna, nel diritto e nella realtà dei fatti, la dignità che le compete.

Dio affida alla donna e all’uomo, secondo le proprie peculiarità, una specifica vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. Penso qui alla famiglia, comunità di amore aperto alla vita, cellula fondamentale della società. In essa la donna e l’uomo, grazie al dono della maternità e della paternità, svolgono insieme un ruolo insostituibile nei confronti della vita.

9 febbraio 2008, XX anniversario della Mulieris Dignitatem
L'antico racconto della Genesi lascia intendere come la donna, nel suo essere più profondo e originario, esista «per l'altro» (cfr 1Cor 11,9): è un'affermazione che, ben lungi dall'evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale della somiglianza con la Santa Trinità le cui Persone, con l'avvento del Cristo, rivelano di essere in comunione di amore, le une per le altre. «Nell'“unità dei due”, l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere “uno accanto all'altra” oppure “insieme”, ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altro... Il testo di Genesi 2,18-25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere “per” l'altro, nella “comunione” interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità stessa, voluta da Dio, di ciò che è “maschile” e di ciò che è “femminile”».

Sacerdozio femminile: perché c’entra Maria



C’è un dito puntato ormai da parecchio tempo contro la Chiesa, da fuori ma anche talvolta dal suo stesso interno. Un cavallo di battaglia del laicismo che però non sembra dispiacere anche ad alcuni cattolici ed è la denuncia di quella che sarebbe una gravissima ingiustizia e cioè il "rifiuto” del sacerdozio alle donne. Si tratta di una “rivendicazione” che è nata e che si è sviluppata nell’ottica del femminismo dal quale attinge le categorie interpretative. Cioè da quell’ottica dei diritti e delle pari opportunità tra uomo e donna che, se può essere utile nella società civile, non si dimostra invece idonea nell’ambito di una realtà quale è la Chiesa. Ma vediamo un po’ di spiegare il perché e al contempo di dimostrare come mai, anche in questo caso, il riferimento a Maria diventi decisivo.
Sappiamo bene come il fatto di riservare il sacerdozio ministeriale ai soli uomini non sia una scelta che la Chiesa ha fatto in proprio – come, per esempio, quella del celibato ecclesiastico – ma sia piuttosto il frutto di un atto di “obbedienza” che essa ha compiuto e continua a compiere nei confronti della volontà del suo fondatore. Cioè di quel Gesù che per il ministero apostolico ha scelto chiaramente non qualche uomo e qualche donna, bensì dodici uomini. Una prassi che non è certo possibile attribuire alle cultura maschilista dell’epoca, dal momento che Gesù ha chiaramente dimostrato di saperla ribaltare, quando necessario. E che dunque non può che risalire ad una sua precisa volontà. D’altra parte, il sacerdote, quando celebra i sacramenti, ha proprio il compito, che non è un potere ma un servizio, di essere un alter Christus, cioè di riprodurre nella sua efficacia ciò che Gesù fece. Gesù nella sua interezza di uomo e dunque anche nella sua maschilità. Che tuttavia non si tratti di una ingiustizia, quanto piuttosto di una divisione di ruoli tra uomo e donna, che non solo non intacca la loro dignità ma anzi ne mette in luce la reciproca fecondità, è proprio Maria. Quando infatti guardiamo agli eventi che hanno presieduto alla incarnazione del Verbo di Dio nella persona di Gesù, cioè all’evento più straordinario che la storia umana registri, ci accorgiamo che mentre Dio non ha voluto aver bisogno di un seme maschile per compiere il suo piano, ha invece considerato necessario il passaggio attraverso un utero femminile, un utero evidentemente non solo considerato nel suo aspetto fisico ma in tutto quello che ciò comporta a livello di persona. Ha cioè chiesto a una donna, non ad un uomo, quella libera adesione al suo progetto che egli riteneva indispensabile.
Ha scritto al proposito il cardinal Biffi: «Tutto ciò obbedisce a un disegno non mondano ma trascendente che non insegue il mito di una uguaglianza astratta e indifferenziata, ma vuole esaltare le singole apprezzabili diversità, armonizzandone i valori rispettivi nell’ambito di un’unica multiforme comunione vivente. Colui che ha chiamato una donna (e non un uomo) a essere la creatura più bella, a collaborare nel modo più decisivo e ampio all’opera della redenzione e a essere l’immagine, l’anticipazione, la madre dell’intera realtà ecclesiale, ha riservato agli uomini (e non alle donne) il ministero apostolico».
Aggiunge von Balthasar che il ministero di Pietro è, in realtà, una pura e semplice funzione provvisoria all’interno di una Chiesa che, in Maria, quale madre del corpo mistico, femminilmente lo abbraccia. E che, con la concessione di un sacerdozio alla donna, questa verrebbe a «rinunciare a un di più per un di meno». E questo perché Maria non rivendica per sé potestà apostoliche ma è la “Regina degli Apostoli”.  Ella, dunque, «ha già altro e di più».

LA DONNA E LA CHIESA

Nell’Antico Testamento (o Primo secondo una scuola di pensiero teologica) molte sono le donne che incontriamo, alcune delle quali emergono e trovano visibilità per volontà divina, ma ogni azione ed ogni evento di cui esse sono protagoniste avvengono in un contesto patriarcale dove esse sono sottomesse all’autorità del padre, del marito o dei fratelli senza occupare alcun posto di rilievo. Alcune di esse sono scelte, chiamate da Dio e lasciano una traccia significativa come la prostituta Raab, la vedova di Sarepta, Ruth, Ester, Anna la madre di Samuele. Iddio si serve di loro ed a loro parla per mezzo di messaggeri, di visioni, di segni particolari. Sebbene non si possa parlare di chiesa e di inserimento sociale della donna, tuttavia esse sono state il tramite con cui il Signore ha portato a compimento i suoi disegni. Tutte donne fedeli ed ubbidienti alla volontà divina.
Nel Nuovo Testamento lo scenario cambia poiché delle donne acquistano visibilità accanto a Gesù e proprio per sua scelta. A quel tempo gli abitanti della Samaria erano tenuti in gran disprezzo dai Giudei perché si erano lasciati contaminare dai culti pagani eppure è proprio ad una donna samaritana che Gesù chiede da bere quando affaticato ed assetato si siede presso il pozzo dove lei si apprestava ad attingere acqua, si sofferma a parlarle mostrandole di conoscere la sua vita, le annuncia la salvezza e le rivela di essere il Messia. La donna dal momento in cui, emozionata e turbata al tempo stesso dalle parole di Gesù, abbandona la sua secchia e va ad annunciare agli abitanti del villaggio che quell’uomo è il Cristo diventa una predicatrice, una testimone. Insomma il Salvatore non si rivolge ad un uomo, privilegia l’umile portatrice d’acqua con un vissuto non eticamente corretto per quei tempi. Ancora incontriamo, sempre nei Vangeli, l’adultera condannata alla lapidazione che Gesù libera dai suoi accusatori ed aguzzini, la esorta a non peccare più rivolgendosi a lei con pietà, con amore infinito e non esitando ad avvicinarsi ad una persona considerata dalla comunità un rifiuto sociale.

Le donne sono presenti nella vita di Gesù fino alla sua morte ed alcune di esse saranno testimoni della sua resurrezione. Altre provvederanno al sostentamento suo e dei suoi discepoli, lo seguiranno durante il periodo dedicato alla predicazione itinerante, cioè di villaggio in villaggio della Galilea e della Giudea. Maria di Magdala, Maria di Betania sorella di Lazzaro che secondo il Vangelo di Giovanni unse i piedi di Gesù con un olio profumato molto prezioso. Un omaggio, ma anche un gesto annunciante la morte dell’Amico che aveva riportato in vita il fratello Lazzaro. Ed ancora, secondo Luca cap.8, seguivano Gesù Giovanna moglie di Cuza amministratore di Erode e Susanna. A Maria di Magdala, liberata da sette demoni, Gesù appare, si fa riconoscere e le affida il compito di andare ad annunciare la sua resurrezione. Privilegio inestimabile offerto ad una donna, un’umile servente! Durante gli anni di predicazione tutta la vita di Gesù è popolata da donne a cui Egli manifesta sempre pietà, amore, comprensione, fiducia e soprattutto rispetto. Egli dunque riconosce alla donna le sue peculiarità e la solleva dal ruolo di sottomissione impostole da una cultura patriarcale delineando per lei un modello di apostolato evangelico.
Dopo la sua morte e resurrezione le comunità cristiane che si andavano organizzando sono popolate da numerose figure femminili di alto rilievo: Febe, la diaconessa [1], la moglie di Aquila Priscilla, Evodia e Sintiche coadiutrici di Paolo nel servizio apostolico, le quattro figlie di Filippo che profetizzavano, Trifena e Trifosa che “si affaticano nel Signore” [2], Perside ed altre ancora. Con il finire del I secolo d.C. la presenza della donna nella chiesa all’improvviso scompare o meglio resta solo l’impegno sociale. Una volta formatasi la chiesa come istituzione le donne vengono escluse dal ministero, d’altra parte nella I Lettera ai Corinzi al cap.14 si legge: “…le donne tacciano nelle assemblee perché non è loro permesso di parlare …”, ogni commento è superfluo. Si fa spazio sempre di più l’atteggiamento misogino che ancora oggi in diverse realtà ecclesiali di varie confessioni cristiane è ben radicato. La presenza femminile nella chiesa viene sostituita da quella della madre di Gesù, la Madonna Madre e Vergine che impersonifica la figura ideale della donna come è voluta e caldeggiata da una chiesa governata da uomini celibi. Insomma, dopo il I secolo alla donna viene tolto quel ruolo apostolico che Gesù invece le aveva affidato. Con il passare dei secoli il ruolo femminile sarà esclusivamente quello di moglie, madre, figlia ubbidiente, dedita alle cure familiari e alle opere di carità. Occorre sottolineare tuttavia che nel primo millennio le donne fruivano ancora di qualche spazio nella chiesa, un esempio di questo privilegio ci è dato da Ildegarda di Bingen che fu badessa, studiosa, scienziata ma soprattutto poté costruirsi un monastero e viverci con le consorelle che si era scelta e le fu accordato il permesso di andare a predicare in numerose città germaniche. Dopo la sua morte avvenuta nel 1179 si apre un’epoca molto lunga di esclusione per le donne dovuta alle leggi del celibato ecclesiastico. Era necessario separare il clero costituito solo da uomini per garantire la loro castità e così andò disperso un patrimonio di scambi culturali che a quel tempo avvenivano attraverso i monasteri “doppi”, mentre le nascenti università, proprio per la legge sul celibato, erano aperte solamente agli uomini. Alle donne, laiche o religiose, non era permesso svolgere alcun ruolo ecclesiastico.
La situazione non cambiò molto con la Riforma protestante, anche se al costituirsi di una nuova dottrina ecclesiale alcune donne fornite di buona cultura poterono dare il loro contributo come Argula von Grunbach e Katharina von Bora collaborando con i propri mariti. In seguito, con il passare del tempo, le mogli dei pastori furono sempre più impegnate nella cura parrocchiale e così la casa pastorale divenne luogo di cultura, di formazione e di sostegno spirituale e sociale. Nel XIX secolo l’enorme sviluppo industriale fu causa di sfruttamento disumano e di impoverimento delle masse operaie con conseguente degrado sociale a cui le chiese non riuscivano a porre freno, proprio ad opera di donne “illuminate” e dotate di possibilità economiche sorsero associazioni che fondarono ospizi, scuole, ospedali, centri di accoglienza. Le donne impegnate in queste opere di soccorso e riscatto ebbero sempre come scopo primario la formazione scolastica e professionale delle ragazze per sottrarle allo sfruttamento di ogni genere. Agli inizi del ’900 la funzione femminile cambierà nelle chiese protestanti, infatti alle facoltà evangelico-teologiche poterono accedere anche le donne, ma una volta divenute teologhe potevano essere nominate solamente vicarie pastorali, insegnavano nelle scuole e provvedevano alla cura pastorale di donne e bambini. La prima pastora “ordinata” fu Elisabeth Haseloff nel 1958. Attualmente le donne pastore in servizio sono circa il 40%.
Come ho già accennato all’inizio dell’articolo, nella comunità di Gesù ed anche in epoca apostolica la donna ebbe un ruolo assai significativo che si contrasse poiché nel contesto sociale la donna divenne sempre più subordinata all’uomo. Per ciò che riguarda la chiesa cattolica l’esclusione della donna dall’ordinazione sacerdotale si rifà a due passaggi del Nuovo Testamento: I Lettera ai Corinzi cap.14 vers. 34-35 e I Lettera a Timoteo cap.2 vers.12. C’è tutta una letteratura che spiega l’esclusione dell’ordinazione dal ministero sacerdotale per la donna e ribadisce la sua inferiorità e subordinazione. Nell’epoca della grande Scolastica i teologi affermavano essere il sesso maschile a costituire la condizione necessaria per essere consacrati sacerdoti. Dopo il Concilio di Trento l’esclusione della donna dall’ordinazione è considerata “verità cattolica”, “dottrina di fede”, si giustifica l’esclusione in quanto la donna non può avere attitudine al magistero proprio per il suo stato di subordinazione. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 afferma che l’ordinazione può essere ricevuta solo dall’uomo maschio battezzato. Tutt’oggi la posizione nella chiesa cattolica resta quella fissata nella dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede del 15 ottobre 1976 in cui sono esposte le quattro ragioni teologiche con le quali si esclude ogni possibilità per la donna di accedere al sacerdozio ministeriale. L’ipotesi che tale documento possa subire un cambiamento è molto remota e ciò è pietra d’inciampo nel dialogo ecumenico. Tuttavia vale ricordare che nel Sinodo del 1971 fu sollevata la questione del sacerdozio femminile grazie all’intervento di alcuni vescovi che fecero rilevare le numerose discriminazioni subite dalle donne sia in seno alla chiesa che nella società civile, così fu chiesto al papa di formare una commissione composta di uomini e di donne, di chierici e di laici, affinché alle donne fossero riconosciute alcune responsabilità nella vita della chiesa. Nel maggio 1973 Paolo VI formò questa commissione che suscitò grandi speranze, benché la voce “sacerdozio” non fosse menzionata. Il mandato della Commissione, limitato ad un anno, fu in seguito prolungato, ma le questioni più importanti non furono affrontate e così un gruppo di donne, cinque delle quindici facenti parte, scrissero una lettera di dimissioni al papa. Quando i lavori furono ripresi fu promessa loro una maggiore attenzione ma purtroppo le questioni fondamentali continuarono ad essere disattese. Durante le riunioni della Commissione si parlò molto della donna nel “disegno di Dio”, ma senza chiarezza, anzi sovente in modo assai ambiguo e così il 29 dicembre 1975 uscì un documento firmato dal gruppo di donne facenti parte della commissione, con il quale si evidenziava la mancanza di risposte alle loro istanze. Le donne firmatarie della lettera furono Maria del Pilar Bellosillo, Claire Delva, Marina Lessa, Maria Vittoria Pinheiro, Debora A. Seymour, Marie Vendrik. Donne coraggiose che non esitarono ad esporsi pur di manifestare il loro dissenso. A proposito dei ministeri così si espressero: “nelle comunità vive della Chiesa di tutto il mondo si pone il problema di conoscere in che cosa e in che modo i laici, e quindi anche le donne, possono partecipare al ministero della Chiesa: è una questione scottante nella vita ecclesiale di oggi. Pertanto noi giudichiamo deplorevole che nel documento finale non sia trattato questo argomento...”.
Sara Rivedi Pasqui
[1] a quel tempo le diaconesse si occupavano dei servizi liturgici
[2] fatiche apostoliche


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