martedì 11 novembre 2014

EUTANASIA (dizionario)

Eutanasia (la difesa della vita morente)

La parola “eutanasia” deriva dal greco e significa "buona o dolce morte" (eu= buona e thanatos = morte). Si intende l’uccisione di una persona umana gravemente invalidata dalla malattia da parte di un medico per mezzo di una azione o di una omissione che procuri la morte al fine di eliminargli ogni dolore.
Chiariamo: da una parte c’è una persona che richiede (o per cui è richiesta) di essere uccisa da un medico, non essendo in condizioni di farlo da sola, per porre fine alla sua sofferenza o ad una vita che ritiene indegna di essere vissuta.
Si parla di eutanasia volontaria o consensuale quando la richiesta di morte viene chiaramente espressa dal paziente (affetto in molti casi da emiparesi o dalla SLA, Sindrome Laterale Amiotrofica, causante una progressiva perdita delle funzionalità muscolari, fino al sopraggiungere della piena paralisi e del soffocamento). Si parla invece di eutanasia non volontaria quando la richiesta di morte è espressa dalle persone che hanno in cura il paziente (generalmente in coma vegetativo) in quanto presumono che, ove egli potesse esprimersi, la richiederebbe.
Il medico può procurare la morte richiesta o somministrando sostanze tossiche mortali o omettendo azioni mediche vitali come l’idratazione e la respirazione (e quindi togliendo o spengendo i macchinari che permettevano tali funzioni).
Sorprendentemente una voce che si è levata contro l’eutanasia è giunta da Marco Travaglio, graffiante giornalista fondatore de Il fatto quotidiano. Riporta le sue ragionevolissime opinioni un vaticanista Andrea Tornielli che scrive un articolo dal titolo eloquente: “Il medico salva, non uccide, parola di Travaglio”. Vale la pena seguirlo per intero.
Il Fatto quotidiano ha ospitato un botta e risposta sul suicidio assistito in relazione al gesto di Lucio Magri, che è andato in Svizzera per sottoporsi all’eutanasia. A confrontarsi sono stati il direttore della rivista MicroMega, Paolo Flores d’Arcais e il giornalista Marco Travaglio. Il contributo di quest’ultimo, intitolato «Il medico salva, non uccide», è particolarmente interessante.
Travaglio esordisce dicendo di non voler giudicare Magri, ma aggiunge di considerare «orrenda ipocrisia» la definizione di «suicidio assistito» che andrebbe invece chiamato «col suo vero nome: “Omicidio del consenziente”». Travaglio ricorda che Magri «non era un malato terminale, né tanto meno in coma vegetativo irreversibile tenuto artificialmente in vita da una macchina: era fisicamente sano e integro, anche se depresso». E afferma di voler trattare l’argomento dal punto di vista logico, giuridico, deontologico e pratico. «Dal punto di vista logico, non si scappa: chi sostiene il diritto al “suicidio assistito” afferma che ciascuno di noi è il solo padrone della sua vita. Ammettiamo pure che sia così: ma proprio per questo chi vuole sopprimere la “sua” vita deve farlo da solo; se ne incarica un altro, la vita non è più sua, ma di quell’altro. Dunque, se vuole farla finita, deve pensarci da sé». «Dal punto di vista giuridico – aggiunge Travaglio – c’è una barriera insormontabile: l’articolo 575 del Codice penale, che punisce con la reclusione da 21 anni all’ergastolo “chiunque cagiona la morte di un uomo”. Sono previste attenuanti, ma non eccezioni: nessuno può sopprimere la vita di un altro, punto. Se lo fa volontariamente, commette omicidio volontario. Anche se la vittima era consenziente, o l’ha pregato di farlo, o addirittura l’ha pagato per farlo. Non è che sia “trattato da criminale”: “È” un criminale. Ed è giusto che sia così. Se si comincia a prevedere qualche eccezione, si sa dove si inizia e non si sa dove si finisce». Dal punto di vista deontologico, il giornalista parla del «giuramento di Ippocrate» considerandolo un «muro invalicabile»: «Giuro di… perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale , ogni mio atto professionale; di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno…».
«Come si può – osserva Travaglio – chiedere a un medico di togliere la vita al suo paziente, cioè di ribaltare di 180 gradi il suo dovere professionale di salvarla sempre e comunque? Sarebbe molto meno grave se chi vuole suicidarsi, ma non se la sente di farlo da solo, assoldasse un killer professionista per farsi sparare a distanza quando meno se l’aspetta: almeno il killer, per mestiere, ammazza la gente; il medico, per mestiere, deve salvarla. Se ti aiuta ad ammazzarti è un boia, non un medico».
Dal punto di vista pratico, aggiunge il popolare giornalista, «gli impedimenti alla legalizzazione del “suicidio assistito” sono infiniti. Che si fa? Si va dal medico e gli si chiede un’iniezione letale perché si è stanchi di vivere? O si prevede un elenco di patologie che lo consentono? E quali sarebbero queste patologie? Quasi nessuna patologia, grazie ai progressi della scienza medica, è di per sé irreversibile. Nemmeno la depressione. Ma proprio una patologia passeggera può obnubilare il libero arbitrio della persona che, una volta guarita, non chiederebbe mai di essere “suicidata”». «E se poi un medico o un infermiere senza scrupoli provvedono all’iniezione letale senza un’esplicita richiesta scritta, ma dicendo che il paziente, prima di cadere in stato momentaneo di incoscienza e dunque impossibilitato a scrivere, aveva espresso la richiesta oralmente? E se un parente ansioso di ereditare comunica al medico che l’infermo, prima di cadere in stato temporaneo di incoscienza, aveva chiesto di farla finita?».
«Se incontriamo per strada un tizio che sta per buttarsi nel fiume – conclude Travaglio – che facciamo: lo spingiamo o lo tratteniamo cercando di farlo ragionare? Voglio sperare che l’istinto naturale di tutti noi sia quello di salvarlo. Un attimo di debolezza o disperazione può capitare a tutti, ma se in quel frangente c’è qualcuno che ti aiuta a superarlo, magari ti salvi. Del resto, il numero dei suicidi è indice dell’infelicità, non della “libertà” di un Paese. E, quando i suicidi sono troppi, il compito della politica e della cultura è di interrogarsi sulle cause e di trovare i rimedi. Che senso ha allora esaltare il diritto al suicidio ed escogitare norme che lo facilitino? Il suicidio passato dal Servizio Sanitario Nazionale: ma siamo diventati tutti matti?».
ACCANIMENTO TERAPEUTICO
L’accanimento terapeutico, che indica invece il ricorso a interventi medici di prolungamento della vita non rispettosi della dignità del paziente. Principio etico: “Aggiungere vita ai propri giorni e non aggiungere giorni alla propria vita
« L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. »(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2278)
TESTAMENTO BIOLOGICO
Per “Testamento biologico”, o “dichiarazione di volontà anticipata” si intende il documento con valore giuridico che permette ad ogni individuo di scegliere per iscritto come e se vorrà essere trattato quando non potrà essere lui stesso a dare il consenso, nel caso le sue condizioni fossero irreversibili. 

Vedi anche: 
http://pastorale.myblog.it/archive/2009/03/23/eutanasia.html
Quello che c'è da sapere sull'eutanasia

di Giovanni Vassallo, 9 maggio 2013

In questi giorni si è tornati a parlare di eutanasia. Ma cosa dicono i fatti e i dati su questa pratica? Cosa accade nei paesi dove è legale da tempo? Il panorama è inquietante.
Come 
ha fatto notare Tempi, di recente ha suscitato un certo scalpore in Belgio la proposta di estendere la legge sull’eutanasia (approvata nel maggio del 2002) ai minori e alle persone dementi. Dopo 10 anni dall’approvazione, oggi si chiede che anche un minore “se reputato in grado di giudicare ragionevolmente nei suoi interessi”, possa fare richiesta di eutanasia, con la necessaria approvazione dei genitori nel caso in cui abbia meno di 16 anni (sopra i 16 anni la scelta non sarebbe vincolata al giudizio dei genitori).
Il 
numero di casi di eutanasia in Belgio da quando esiste la legge è 5 volte quello di 10 anni fa, nel 2003 infatti i casi erano 235, nel 2011 sono arrivati a 1133.
La Società medica belga di San Luca ha fatto notare che dall’applicazione della legge “neanche un caso è stato ritenuto non conforme alla esigenze della legge, (…) a causa di una interpretazione molle della legge: se un ragazzo con un diabete di tipo 1 si trovasse un domani a pensare che la qualità della sua vita è diventata insufficiente” con le modifiche alla legge potrebbe richiedere l’eutanasia.
Il problema, dicono i medici, sta nel fatto che la sofferenza è stata definita “criterio soggettivo”, in modo che chiunque reputi “insopportabile” un dolore può richiedere l’eutanasia.
In Olanda nel 2012 il numero di suicidi assistiti è stato di 3.695, pari al 2,8% delle morti avvenute nel paese in quell’anno, come 
abbiamo già fatto notare.
Come ha notato il 
sito di UCCR il parere dei medici in molti paesi è contrario al messaggio che sembra universalmente condiviso della necessità di legalizzare l’eutanasia.
Ad esempio in Inghilterra, l’80% dei medici inglesi si oppone a eutanasia e suicidio assistito.
L’ordine dei medici francesi poco più di anno fa 
ha condannato un medico accusato di aver praticato eutanasia su 4 pazienti;
L’associazione di medici della Nuova Zelanda 
ha dichiarato che l’eutanasia non è una pratica etica e non può essere tollerata in alcun modo.
E in Germania la German Medical Associationorgano ufficiale di coordinamento dei medici tedeschi, 
ha sostenuto un deciso rifiuto verso l’eutanasia attiva e “l’uccisione del paziente”, affermando che «il coinvolgimento dei medici nel suicidio non è un compito medico». Nello stesso comunicato i medici hanno chiesto scusa per la pratica di aborto e eutanasia eugenetica da parte dei medici durante il regime nazista, primo periodo storico in cui queste attività vennero realizzate in modo sistematico.
Uno dei grandi fraintendimenti di questo discorso è la confusione tra accanimento terapeutico e eutanasia, di cui 
abbiamo già parlato.
L’accanimento terapeutico è un intervento medico non più adeguato alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure perché appare troppo gravoso per le sue condizioni. La rinuncia all’accanimento terapeutico non vuol dire procurarsi la morte o procurare la morte ad una persona. Si accetta semplicemente di non poterla impedire. Spetta al paziente, se ne è cosciente, in dialogo con il proprio medico e con le persone che lo assistono, decidere quando e come sospendere determinati trattamenti o non iniziarne altri all’approssimarsi del termine della propria esistenza terrena. L’eutanasia consiste invece nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte direttamente (con dosi di anestetici tali da provocare il decesso) o indirettamente (per esempio con la sospensione di farmaci).
Tutti i medici sanno molto bene che la maggior parte delle richieste dei malati terminali riguardano la sospensione di accanimento terapeutico e sono pochissime le richieste di eutanasia.

Accanimento terapeutico

Il rifiuto dell’accanimento terapeutico è legittimato dal magistero bioetico della Chiesa, come insegna il Catechismo: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». La Chiesa è certamente per la vita, ma non per la vita a ogni costo. C’è un 'costo' clinico umanamente e teologicamente inaccettabile. Umanamente perché gravoso, non atto a curare, non dignitoso e rispettoso della persona. Teologicamente perché volto a contrastare il disegno di Dio su ognuno, che abbraccia anche il morire, da accogliere e vivere in naturale libertà. I mezzi teraupetici vanno distinti in proporzionati e sproporzionati rispetto ai loro effetti. I primi sono doverosi perché, anche se non guariscono, curano. Essi sono un valido sostegno al vivere della persona malata. Rinunciare a essi è atto soppressivo della vita: è eutanasia omissiva. Ai mezzi straordinari invece si può e, per non cadere nell’accanimento terapeutico, si deve rinunciare. Essi infatti danno luogo a un prolungamento forzoso e penoso della vita. L'accanimento teraupetico non consente alla vita di fare il suo decorso, fino al suo atto ultimo, il morire. L'eutanasia è invece interruzione della vita.
Per chiarire ancora meglio: l'eutanasia è "la morte ad ogni costo", l'accanimento terapeutico è "la vita ad ogni costo".
Perché equiparare il rifiuto dell’accanimento terapeutico a una scelta eutanasica? Perché far passare la delegittimazione dell’eutanasia come la privazione di un diritto? La morale cattolica, come ogni etica centrata sul valore indisponibile e inviolabile della persona, non può ammettere un diritto a morire. Ma un diritto a morire con dignità umana e cristiana sì. È quanto fa la Chiesa con la delegittimazione dell’eutanasia da una parte e dell’accanimento terapeutico dall’altra. Di questa dignità umana e cristiana del morire sono stati testimoni il cardinal Martini e il Beato Giovanni Paolo II, anche la sua morte assoggettata a una strumentalizzazione pro-eutanasica. Il modo come hanno affrontato la malattia e la loro rinuncia all’accanimento terapeutico sono un brano di quel Vangelo della vita che hanno insegnato e vissuto.

Liberamente adattato da "Quella cristiana testimonianza della dignità del morire" diMauro Cozzoli (Avvenire del 4 settembre 2012)

Eutanasia. I casi più noti

 

«Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. [...] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. »
(Piergiorgio Welby)
(Fonte: Wikipedia)
LUCA COSCIONI
Luca Coscioni (Orvieto, 16 luglio1967  Orvieto, 20 febbraio2006) è stato unpoliticoitaliano, docente e ricercatore universitario di Economia Ambientale presso l'Università di Viterbo e, soprattutto, figura attiva nel sociale e nella politica con l'Associazione Luca Coscioni e i Radicali Italiani, di cui fu presidente tra il 2001 ed il2006.
La sua vita è stata segnata dalla sclerosi laterale amiotrofica che lo ha portato alla morte nel 2006 a soli 38 anni. Nonostante il suo medico gli avesse consigliato la tracheotomia,Coscioni rifiutò per non dover vivere attaccato ad una macchina.
ELUANA ENGLARO
Eluana Englaro (Lecco, 25 novembre1970  Udine, 9 febbraio2009) a seguito di unincidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte naturale sopraggiunta a seguito dell'interruzione della nutrizione artificiale.
La richiesta della famiglia di interrompere l'alimentazione forzata, considerata un inutileaccanimento terapeutico, ha scatenato in Italia un notevole dibattito. Dopo lungo iter giudiziario, l'istanza è stata accolta dalla magistratura per mancanza di possibilità di recupero della coscienza, ed in base alla volontà della ragazza, ricostruita tramite testimonianze. Diverse amiche intime della giovane riferirono che, avendo appreso di un gravissimo incidente stradale che aveva coinvolto un amico rimasto in coma, Eluana aveva dichiarato che sarebbe stato preferibile morire che sopravvivere privi di coscienza e volontà e completamente dipendenti dalle cure altrui, ammettendo anche di aver pregato perché l'amico si spegnesse senza ulteriori sofferenze ed umiliazioni. In un'altra occasione, commentando un analogo episodio che aveva coinvolto un compagno di scuola morto in un incidente di moto, Eluana aveva dichiarato: "è stato fortunato a morire subito". Ripetutamente, la giovane aveva dichiarato anche ai propri genitori che non avrebbe potuto tollerare che lo stesso capitasse a lei.
Il caso Englaro fu alimentato anche da notizie soggettive e divergenti riguardo alle sue reali condizioni fisiche. Il suo caso ha portato alla luce alcune gravi lacune del sistema giuridico italiano per quanto riguarda vicende bioetiche analoghe, riaprendo il dibattito su una eventuale legge che prenda in considerazione forme di testamento biologico.
PIERGIORGIO WELBY
Piergiorgio Welby (Roma, 26 dicembre1945  Roma, 20 dicembre2006) è stato unpolitico, attivista, giornalista, poeta e pittoreitaliano, impegnato per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell'accanimento terapeutico in Italia e per il diritto all'eutanasia, nonché co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni. Militante del Partito Radicale, Welby balzò alle cronache negli ultimi anni di vita quando, gravemente ammalato, nei suoi scritti chiese ripetutamente che venissero interrotte le cure che lo tenevano in vita.
Il Vicariato di Roma non ha concesso a Welby la funzione secondo il rito religioso come nei desideri della moglie cattolica:
« In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325) » .
La Chiesa cattolica, pur considerando legittima nel Catechismo la pratica di "interrompere procedure mediche sproporzionate rispetto ai risultati attesi", ritiene che la ventilazione meccanica, al pari dell'idratazione e della nutrizione artificiali, non sia una forma di accanimento terapeutico, ma un sostegno vitale cui non si puó rinunciare senza contravvenire al quinto comandamento.
TERRY SCHIAVO
Theresa Marie Schindler Schiavo, detta Terri (USA, 1963  31 marzo2005) nel 1990, la subì un arresto cardiaco, riportando gravi danni cerebrali con conseguente diagnosi distato vegetativo persistente (PVS), al quale seguirono 15 anni di battaglie legali.
Nel 1998, Michael Schiavo, suo marito nonché tutore legale, chiese e ottenne la rimozione del tubo di alimentazione.
Robert e Mary Schindler, suoi genitori, si opposero alla decisione del marito, sostenendo che la figlia fosse cosciente. La corte concluse che Terri non avrebbe voluto continuare le terapie di mantenimento della vita. La lunga battaglia legale sul suo caso durò per sette anni ed incluse il coinvolgimento di politici, gruppi di interesse e famosi movimenti a favore della vita e a sostegno dei disabili. Morì al centro residenziale di cure palliative di Pinellas Park il 31 marzo2005, all'età di 41 anni. Alcuni sostengono che la sua morte sia da considerarsi un omicidio giudiziario.


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