Gesù – ci ha ricordato il
Papa con la Bolla d’indizione del Giubileo che inaugurerà ufficialmente fra
poche ore - è il VOLTO della misericordia, colui nel quale possiamo VEDERE e
sperimentare la misericordia di Dio nei nostri confronti. Guardando a lui
possiamo intuire quanto Dio ci ama, in che modo (smisurato) Dio ci ami: con
tenerezza, pronto (infinite volte), al perdono gratuitamente, con tutta la
propria vita (che mette a nostra disposizione) e con la generosità di chi non
guarda a cosa fa l’altro, ma desidera solo dare, senza attendere di ricevere (e
senza fare calcoli).
Se Gesù è il volto della
misericordia, MARIA è la PORTA della misericordia:
-
colei che ha permesso a
DIO misericordioso di entrare nella nostra storia, nella nostra vita,
abbassandosi alla nostra condizione (perché Dio tutto può, ma nulla fa senza il
nostro consenso);
-
colei che permette a NOI di
accedere, di entrare nella misericordia del Figlio: passando attraverso Maria
possiamo arrivare (in “via preferenziale”) al Figlio e ai doni che lui vuole
offrirci.
Certo, è “UNA DELLE TANTE”
Porte Sante” che possiamo attraversare per giungere a fare esperienza dell’amore
di Dio (e non per niente il Papa ha voluto inserire, tra lwe porte sante, anche
quella del Santuario mariano del Divino Amore, particolarmente caro a noi
romani che, soprattutto negli anni di guerra, abbiamo potuto, attraverso Maria,
ricevere tanti doni da parte di Dio Padre del Divino Amore). E’ una delle
porta, ma forse la più vicina, amata, sentita ed utilizzata delle porte di
accesso per sperimentare la misericordia di Dio: l’amore che spinge Dio a chinarsi
sulla nostra miseria e nonostante (o a motivo de) la nostra miseria.
Misericordia indica
proprio un cuore rivolto ai miseri, e la prima ad aver sperimentato l’amore che
Dio ha nei confronti della sua miseria (quella materiale di una ragazzina di
circa 13 anni, abitante in un paese povero, violento, occupato da stranieri
romani). Un amore che scopre di aver sempre ricevuto, da sempre, dal suo stesso
concepimento nel grembo della madre Anna, da sempre nel disegno divino. Un
amore speciale che la rende “piena di grazia”, e dunque “immacolata” da ogni
potere del peccato: ha con lei una presenza che la rende pura, forte, capace di
amare anche a rischio della sua stessa vita.
L’8 dicembre 1854, tutto questo è stato definito in
maniera solenne con il DOGMA dell’Immacolata Concezione: Maria è nata con un
privilegio particolare concessogli dal Signore che ha così voluto prepararsi
una degna dimora in cui far nascere il Figlio. Dio l’ha riempita della sua
GRAZIA, ovvero della sua presenza, dei suoi doni. Per questo l’ha esentata
dal peccato originale immergendola da subito nella realtà divina, così come noi
siamo stati immersi in Lui nel Battesimo.
I racconti del peccato originale (1L) e dell’annunciazione
(V) fanno da sfondo a questa realtà che si era pian piano fatto strada nella
fede del popolo di Dio fino a vederla ufficializzata dal Papa e suggellata da
alcune speciali apparizioni mariane avvenute in quegli anni.
Nella Genesi si racconta di come Dio abbia da sempre
creato l’umanità immacolata, senza peccato, ma abbia amato queste creature a
tal punto da lasciarle LIBERE anche di rifiutare il suo progetto, di
peccare. E il PECCATO non è mai privo di conseguenze: agisce negativamente su
chi lo compie e si propaga anche nelle persone vicine, creano ferite che
lasciano il segno.
Come Adamo ed Eva, anche Maria è generata senza
peccato originale (esente dalle ferite “ambientali”), ma libera di cedere alle
tentazioni (che non risparmiano nessuno, neanche il figlio), libera di peccare,
di rifiutare il grande progetto che Dio aveva su di lei (perché Dio propone,
non si impone!).
Maria è IMMACOLATA (= piena di grazia) non perché ha
detto “si” a Dio, ma perché Dio ha detto “si” a lei prima ancora della sua
risposta. E lo dice a ciascuno di noi: siamo tutti pieni di grazia, creati (e
ricreati nel battesimo) per vivere nella comunione e nella gioia, immacolati
nell’amore di Dio che, attraverso i sacramenti, ci purifica e ci rende creature
nuove.
Tutti siamo amati da Dio così come siamo e per quello
che siamo, ma la nostra gioia e realizzazione passa anche attraverso il nostro
SI, libero e creativo, al progetto che Dio ha per noi, per il nostro bene.
E il bene segue una dinamica simile (anche se opposta)
al peccato: entrambi CONTAGIOSI, capaci di propagarsi, di curare le ferite o,
nel peccato, di causarle.
Maria, con il suo si, ci ha donato il MEDICO capace di
curare ogni ferita. Ci aiuti ora a dire anche il nostro si (con tutti i dubbi e
le domande che anche lei ha espresso), perché la nostra gioia sia piena e
contagiosa.
Maria, madre e sorella nostra, prega per noi peccatori
e accompagnaci all’incontro col tuo figlio che viene e regna in mezzo a noi.
Amen.
L’amore speciale che Dio
mostra per questa creatura speciale è comunicato dall’angelo che, per prima
cosa la invita – a nome di Dio – a rallegrarsi che
equivale a dire: “Hai motivi di stare nella gioia, sii felice, perché il
Signore ti ama, ti vuole riempire della sua presenza, è dalla tua parte, vuole
colmarti del suo amore”. Il primo annuncio è dunque quello di aprirsi alla
gioia, perché Dio è vicino: “Ti stringe in un abbraccio, viene e porta una
promessa di felicità. (…) Dio si è chinato su di te, si è innamorato di te, si
è dato a te e tu trabocchi di Dio. Il tuo nome è: amata per sempre. Teneramente,
liberamente, senza rimpianti amata”[1].
L’angelo la invita ad essere felice: Dio non vuole le nostre
preghiere o le nostre buone azioni, vuole la nostra felicità (e questa passa
anche attraverso preghiere, parole ed opere). Dio, come ci ricorda spesso Papa
Francesco, non vuole cristiani musoni, tristi, arrabbiati, ma persone felici.
Si capisce il turbamento di Maria, le sue
perplessità: “non conosco uomo”, sono
solo fidanzata e non è ancora tempo di vivere con lui, di giacere con lui. É
ammirevole piuttosto la sua capacità di affidarsi pienamente a questo Dio che è
venuto a sconvolgerle la vita, ad ampliare i suoi progetti di ordinaria
felicità in un’avventura divina che la renderà protagonista dell’azione di
salvezza e di liberazione di Dio.
A queste reazioni umane, l’angelo risponde
invitandola a “non temere” – invito
che risuona molte volte nella Scrittura – perché, con il suo consenso, Dio farà
tutto: la feconderà di Spirito Santo, le metterà in grembo un figlio divino che
lei chiamerà Gesù, che vuol dire “Dio salva”.
Con Maria siamo anche noi amati da Dio, di un amore
insieme personale ed universale, chiamati ad accogliere lo Spirito che il
Signore dona a chi lo chiede.
La vocazione di Maria è la nostra stessa vocazione:
chiamati tutti ad essere madri di Gesù, a renderlo vivo, presente, importante
in queste strade, in queste case, nelle nostre relazioni. L’angelo Gabriele è
ancora inviato ad ogni casa ad annunciare a ciascuno: «sii felice, anche tu sei
amato per sempre, verrà in te la Vita»[2].
“Allora Maria
disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola»”
(Lc 1,38). Non c’è ombra di rassegnazione nel “sì” di Maria. Spesso non è così quando
anche noi ci troviamo a dire: “Sia fatta la volontà di Dio”. Questa espressione
sa spesso di angosciosa arresa alla volontà incomprensibile, esigente e forse
un po’ malevola di Dio: non posso far altro che capitolare al suo volere! Ma
cosa vuole Dio? Può forse volere il nostro male chi ci ama e desidera il nostro
bene? Maria ha capito che può fidarsi di Dio, che mettersi nelle sue mani e
affidarsi ai suoi progetti d’amore è la cosa più desiderabile ed entusiasmante.
Il turbamento e le perplessità iniziali sono abbandonate in nome di una fede
grande, di un amore contraccambiato.
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