“Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza.
Non ci protegge dal dolore, ma nel dolore,
non dalla croce, ma nella croce”
(Bonhoeffer)
Il
Venerdì Santo del 2011 il Papa ha voluto, per la prima volta, rispondere in una
trasmissione televisiva, (A Sua Immagine, Rai 1), ad alcune domande
poste da alcuni bambini. La domanda di una bambina giapponese va dritta al
cuore della grande questione del male innocente (cioè non causato dalla
cattiveria umana) che affrontiamo su questa terra sotto forma di malattie,
cataclismi naturali… Lo scandalo del dolore innocente è intollerabile e
incomprensibile, specie quando ha come vittime dei bambini.
Elena,
la bambina giapponese di sette anni che si è rivolta al Papa chiede: “Ho
tanta paura perché la casa in cui mi sentivo sicura ha tremato tanto, e molti
miei coetanei sono morti. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché i
bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di
spiegarmelo”.
Risponde il Papa:
“Cara
Elena, anche a me vengono le stesse domande: perché è così? Perché voi dovete
soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma
sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si
mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. Mi sembra questo molto importante,
anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra
parte, e siete sicuri che questo vi aiuterà. (…) Un giorno, io capirò che
questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che c’è un progetto buono,
un progetto di amore dietro (…)”.
In una udienza, pochi giorni dopo, il Papa torna
sull’argomento e, parlando a braccio, commenta l’episodio dei tre discepoli
che, al Calvario, nell’ora dell’angoscia più grande del Cristo, si addormentano.
Quel sonno il Papa lo paragona alla nostra indifferenza rispetto al male del
mondo e dice: «È una certa insensibilità dell’anima per il potere del
male, per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da
queste cose, vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e
dimentichiamo». Non è forse proprio ciò che facciamo davanti alle immagini
del terremoto in Giappone, o ai numeri dei morti per fame nel mondo, o a quelle
barche di profughi che talvolta sprofondano nel Mediterraneo, tra grida che
nessuno sente, nel buio del mare? È vero: noi ascoltiamo, ci rammarichiamo, poi
voltiamo pagina e cerchiamo di non pensare. Saremmo sopraffatti dall’oscurità
se sapessimo davvero quale e quanto male ogni giorno si compie su questa terra.
Dobbiamo pur sopravvivere: e dunque sonnecchiamo – come quei tre, nel
Getsemani. Enorme è il male sotto al sole; ma soltanto nella certezza che
Cristo ha vinto la morte il dolore è affrontabile. Solo se in Cristo tutti
quelli che muoiono abbandonati sono salvi, e finalmente abbracciati, possiamo
alzare gli occhi, e guardare il male, e affrontarlo, senza esserne travolti;
possiamo vegliare, come era stato chiesto a quei tre.
(da Marina Corradi, Il male
innocente, Avvenire, 22.4.11)
Non
la sofferenza ma solo l’amore salva
da Messagero di Sant'Antonio lug 2009
«... mi aspettavo anche una riflessione sul fatto che
la sofferenza conduce alla salvezza… La sofferenza, infatti, ci rende graditi a
Dio, ed è un bene prezioso da offrire per la conversione del mondo. Non è
così?».
La sua domanda, mette a fuoco un’altra questione, che
riguarda il significato salvifico del dolore. Vale a dire, la sofferenza del
cristiano (una malattia invalidante, un abbandono, un torto subìto, ecc.)
hanno un qualche valore positivo in ordine alla salvezza? Se leggiamo i
vangeli, l’unica sofferenza con valenza salvifica è quella derivante dalle
persecuzioni contro la fede.
Soffrire senza rinnegare la propria fede in Dio è
l’atteggiamento credente per eccellenza, che all’estremo può condurre al
martirio, ma anche in questo caso non è la sofferenza ad essere gradita a Dio
quanto piuttosto la fiducia incrollabile in lui esercitata pur dentro un
contesto di durissima prova. Il cristiano accetta di perdere la vita quando non
c’è altro modo per non perdere il suo legame con Dio, giudicato come realtà che
fonda l’identità personale più genuina e profonda. E lo sguardo, a questo
punto, non può che posarsi su Gesù, che la tradizione cristiana considera come
modello di ogni martirio. Anche qui va chiarito il fatto che Dio non approva e
tantomeno apprezza la croce alla quale il Figlio è appeso dagli uomini. Gradito
a Dio è piuttosto l’amore che porta Gesù ad accettare la croce: questa viene
abbracciata (non scelta ma accolta) nel momento in cui intraprendere un’altra
strada significherebbe tradire la missione affidatagli dal Padre, quella cioè
di manifestare in pienezza agli uomini il suo volto di misericordia. È qui la
grande svolta del vangelo: non gli uomini – come è nell’immaginario religioso
di molti – devono sacrificarsi per rendere onore a Dio, ma Dio si lascia
inchiodare alla croce perché gli uomini abbiano la vita e vedano finalmente il
volto di un «Dio diverso», non vendicativo, «umile». Nella prospettiva
cristiana, ben riassunta dall’immagine dolente ma assolutamente liberante e
originale della croce, l’amore non si impone bensì si propone, si offre e
perciò soffre.
Tornando sulla via maestra del nostro discorso, è
chiaro dunque che non la sofferenza ma l’amore salva. La sofferenza non è
ricercata dal cristiano per se stessa, per il fatto di avere un qualche peso
specifico in ordine alla salvezza, quasi fosse un sigillo di garanzia di
autenticità della fede. Solo che il permanere nell’amore (quando c’è rifiuto,
disprezzo, indifferenza) richiede per tutti il pagamento di un prezzo salato.
Il dolore e la sofferenza – con le varianti del caso – sono in genere questo
prezzo: non il fine, dunque, ma l’inevitabile pedaggio per una fedeltà
nell’amore che voglia essere leale e incrollabile.
Ci dobbiamo distanziare da un certo dolorismo che in passato ha condotto a una superficiale e dannosa esaltazione della sofferenza in sé, senza offrirne la specifica connotazione cristiana. Non è vero che ogni sofferenza è cristiana, così come non è vero che ogni croce è la croce di Cristo. Mi fermo qui, anche se rimane in sospeso una seconda questione: è possibile, e come, offrire a Dio la propria sofferenza?
Ci dobbiamo distanziare da un certo dolorismo che in passato ha condotto a una superficiale e dannosa esaltazione della sofferenza in sé, senza offrirne la specifica connotazione cristiana. Non è vero che ogni sofferenza è cristiana, così come non è vero che ogni croce è la croce di Cristo. Mi fermo qui, anche se rimane in sospeso una seconda questione: è possibile, e come, offrire a Dio la propria sofferenza?
IL MALE INNOCENTE e il “caso” DE MATTEI
Lo storico Roberto de Mattei, vicepresidente
del CNR (Consiglio nazionale delle ricerche scientifiche) non immaginava
che la riflessione da lui fatta dai microfoni di Radio Maria, nel
corso di una rubrica mensile intitolata: alle radici cristiane,
sarebbe stata usata per chiedere le sue dimissioni dal CNR, per incompatibilità
tra le idee espresse in quella occasione e il ruolo scientifico che la sua
carica presuppone. Rilanciate dall'Unione atei e agnostici razionalisti,
le parole di De Mattei sono diventate, in un titolo della Stampa, l'affermazione
che "il terremoto è un castigo di Dio": "Il suo,
insomma; è un punto di vista non particolarmente basato sulla scienza -
ha scritto la giornalista Flavia Amabile - ed è abbastanza
comprensibile: se si legge il suo curriculum si nota che non è uno scienziato
ma uno storico con evidenti radici cattoliche". E' il professor De
Mattei a spiegarci che "i temi da me trattati da un anno nella rubrica
su Radio Maria, da privato cittadino e ovviamente senza che sia mai stato
citato il mio ruolo al Cnr, sono di carattere religioso. Ho parlato del mistero
del male, accostando due episodi di sofferenza: il terremoto giapponese e
l'assassinio del ministro pachistano cristiano Shahbaz Bhatti, un male
indipendente dalla volontà dell'uomo e un male originato dalla persecuzione e
dall'odio umano. Ho detto testualmente che non c'è male morale nel terremoto
perché il terremoto viene dalla natura, che è in sé buona, è creata da 'Dio, e
se Dio permette i terremoti e altre sciagure, esistono ragioni che egli conosce
e che noi non conosciamo".
De Mattei ha ripreso alcuni passi di quanto
monsignor Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro,
pubblicava in un libriccino all'indomani del terremoto di Messina, nel 1908.
"Mazzella, a proposito del male inspiegabile, della catastrofe che
colpisce indiscriminatamente, faceva una serie di ipotesi. La prima è che
attraverso queste sciagure Dio ci stacca dai beni della terra e ci fa sollevare
gli occhi al cielo. Una seconda ipotesi - ipotesi, non sentenza - è quella
della punizione, una terza è che attraverso la sofferenza e il sacrificio le
anime hanno la possibilità di unirsi a Dio. Ho aggiunto che l'unica cosa certa,
per noi credenti, è che una ragione per Dio c'è, anche se non ci è dato
comprenderla. Tutto ciò che accade ha un senso”.
Si rimprovera a De Mattei il passaggio in cui dice che
"ci accorgeremo che per molte di quelle vittime, che compiangiamo oggi,
il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima
da tutte le macchie, anche le più lievi, e grazie a questa morte tragica la
loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio ha voluto risparmiarle
un triste avvenire". (…) De Mattei dice che "dovrebbe essere
evidente che un credente, come io sono, all'interno di una meditazione dettata
dalla fede abbia il diritto di ricordare quello che la dottrina cattolica, il
magistero dei padri e dei dottori della chiesa, degli stessi Pontefici, ripete
da sempre: Dio non ha creato il mondo per disinteressarsene". Il
problema, secondo lui, è che "chi chiede le mie dimissioni vuoi fare
passare il principio che un cattolico non possa svolgere funzioni pubbliche.
Chi crede nel dogma dell'Immacolata Concezione non potrà quindi mai più
insegnare all'Università? Chi fa la comunione, e quindi crede nella transustanziazione,
dovrà nascondere la propria fede perché antiscientifica? Gli insegnanti
credenti che svolgono un ruolo pubblico, non potranno più andare a parlare di
ciò in cui credono alla radio, cattolica o meno?". (…)
Einstein diceva che Dio non gioca a dadi con
l'universo, il grande genetista cristiano Francis Collins ha scritto che la
scienza è per lui una "opportunità di preghiera". Da
declassare anche loro? Conclude De Mattei: "Sei credente? Bene, purché
te ne rimanga in chiesa; senza occupare spazi pubblici né pretendere di parlare
pubblicamente delle tue convinzioni".
(Il Foglio, 30.3.11)
Di tutt’altro tenore è l’intervista di Antonio
Gnoli a De Mattei pubblicata su La Repubblica (11.4.11)con il titolo:
“Il fondamentalista non riluttante”. L’avversione verso De Mattei è
subito espressa: le sue idee hanno vinto “l’Oscar del ridicolo” con “tesi
balzane e in ogni caso antiscientifiche, come il creazionismo, l'immutabilità
delle specie”. Ricorda che il vicepresidente del CNR dirige il
periodico Le radici cristiane, insegna alla Nuova
Università Europea che appartiene ai Legionari di Dio. Il suo ultimo
libro (pubblicato da Lindau) è una rilettura molto polemica del Concilio
Vaticano II. Alcune domande risultano comunque interessanti:
Come è avvenuta la sua nomina al CNR?
"Fu la Moratti, nel 2004 Ministro
dell'Istruzione, a nominarmi".
Perché scelse lei?
"Il Cnr ha anche un settore minoritario
dedicato alle scienze umane. Al cui interno cadono le mie competenze… La
contestazione alla mia nomina, una vera e propria levata di scudi, si basava
sul fatto che la mia cultura cattolica era negatrice di alcuni valori fondanti
della democrazia occidentale. Non ho mai nascosto che la fede religiosa non sia
solo una questione privata, ma vada testimoniata pubblicamente...Se Dio
permette questo male non intendo dire che sia l'autore del male, perché
altrimenti cadremmo in una visione manichea. Non esiste un Dio del male. Egli è
il sommo bene capace di trarre il bene dal male. Anche dalla catastrofe
giapponese".(…)
di Arnaldo Pangrazzi
IL VOCABOLARIO DELLA SOFFERENZA
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