mercoledì 4 giugno 2014

Come si può parlare dello Spirito Santo?

Se non era facile parlare ai contemporanei di Dio, ancora più difficile è stato parlare loro del Figlio di Dio. Ma come si deve parlare dello Spirito santo di Dio, che non si può concepire né rappresentare e, certamente, neppure dipingere?
Nella storia dell'arte occidentale c'è un pittore, al quale più che ad altri si attribuisce un anelito di spiritualizzazione. Molti dei suoi dipinti sono pervasi di un'inquietudine estatica. Lo spazio da lui dipinto è spesso più accennato simbolicamente che reale; domina la verticale, il movimento ascensionale; le sue figure sembrano stirate artificialmente, allungate in maniera innaturale; il gioco delle ombre e delle luci è altamente drammatico; i contorni sfumano. La bellezza è qui in larga misura smaterializzata - anche a prescindere dagli occhi espressivi di molte figure.
Questo pittore proviene dall'arte greco-bizantina, tuttavia a Venezia e a Roma, presso i grandi maestri Tiziano, Bassano e Tintoretto, si era appropriato delle acquisizioni del rinascimento e del manierismo. E tutto questo coniugava con la religiosità popolare mistica della Spagna, lui che non era spagnolo e che tuttavia era più spagnolo degli spagnoli: Domenikos Theotokópoulos di Creta detto El Greco (1541-1614), non soltanto pittore, ma anche scultore, architetto e teorico dell'arte.
Nel suo ultimo periodo creativo questo artista molto raffinato, prossimo ai settant'anni e sempre più assistito dal figlio nei suoi lavori, aveva provato a rappresentare un oggetto che, rispetto al Natale, al Venerdì santo o alla Pasqua, è infinitamente meno presente nella pittura occidentale: la Pentecoste, la festa dell'effusione dello Spirito santo. In questo dipinto che tende verso l'alto - ora al Prado di Madrid -, in uno scenario surreale su sfondo grigioverde, si vede un gruppo di persone, dominato dallo Spirito e composto da due donne e da una dozzina di uomini. Essi sono in preda a un'appassionata eccitazione, evidente dai volti e dai gesti: alcuni protendono le mani verso l'alto, altri allungano il collo e altri ancora guardano in estatico rapimento. In alto ci sono dieci figure, quasi come in un dipinto greco-bizantino, tutte alla stessa altezza, dietro le quali, in posizione obliqua, altre figure Si piegano in atteggiamento di sorpresa. Le loro vesti, dai colori molto intensi - verde, azzurro, giallo, rosso e colori terrei -, ricevono luce dall'alto. Sopra ciascuna delle figure fluttua una piccola abbagliante lingua di fuoco, che rende le figure rappresentate ancor più profilate, mosse ed estatiche. Un dipinto altamente drammatico di un'audacia quasi espressionistica, e tuttavia concentrato, smaterializzato, spiritualizzato.
E lo Spirito stesso, lo Spirito santo? Eccolo lassù in alto, in uno splendore divino, che illumina l'oscurità dello spazio. Rappresentato mediante quel simbolo che a partire dal battesimo di Gesù viene usato molto presto anche per le raffigurazioni della Pentecoste: il simbolo della colomba. Fin nell'alto medioevo esso rimane quello prevalente e viene ripreso a partire dal secolo XVI/XVII, appunto nel tempo di El Greco.
«Ma nella teologia non si parla continuamente - con riferimento ad alcune affermazioni del vangelo di Giovanni - dello Spirito santo come di una persona (il "Consolatore")? E non compare perciò, per lo meno nell'arte medievale, in figura spesso direttamente umana?»
In effetti, nell'arte medievale lo Spirito viene spesso rappresentato, insieme a Dio e al suo Figlio, come la terza di tre figure umane uguali - tre angeli o dèi. O proprio all'opposto: a partire dal secolo XIII fino al rinascimento italiano la trinità di Padre, Figlio e Spirito veniva spesso dipinta perfino come un'unica figura con tre teste o tre volti (Tri-kephalos) - una divinità sotto tre modalità, dunque. Ma entrambi - triteismo o modalismo - non sono oggi ugualmente inaccettabili per l'uomo contemporaneo?
Ma si ascolti e ci si stupisca: le due rappresentazioni sono state vietate dai papi: già Urbano VIII vietava nel 1628 queste immagini troppo umane della Trinità, e a partire dall'illuminato Benedetto XIV (1745) lo Spirito santo può essere rappresentato soltanto nella figura della colomba, decisione ribadita ancora nel nostro secolo, nel 1928, dal Sanctum Officium, dall'autorità dell'Inquisizione romana, ora denominata Congregazione della fede. Ciò induce ad affrontare l'interrogativo fondamentale.

Che cosa significa Spinto santo?

Come si sono immaginati gli uomini dell'antico tempo biblico lo «Spirito» e l'agire invisibile di Dio? Percepibile e tuttavia non percepibile, invisibile e tuttavia potente, di vitale importanza come l'aria che si respira, carico di energia come il vento, la tempesta, questo è lo Spirito. Tutte le lingue conoscono una parola per indicare ciò, e la diversità del genere in cui lo collocano dimostra che lo spirito non è così facilmente determinabile: spiritus in latino è maschile (come anche «lo» spirito in italiano), ruah invece in ebraico è femminile, mentre il greco conosce il neutro pneuma.
Lo spirito, quindi, è in ogni caso una realtà totalmente diversa da una persona umana. La «ruah»: secondo l'inizio del racconto della creazione è quello «scroscio» o «tempesta» di Dio che aleggia sopra le acque. E il «pneuma»: sta, anche secondo il Nuovo Testamento, in opposizione alla carne», alla realtà creata, transeunte, ed è la potenza e la forza viva che promana da Dio. Lo Spirito è quindi quella forza e potenza di Dio che opera creando o anche distruggendo, come vita o come giudizio, che opera sia nella creazione sia nella storia, in Israele come anche, in seguito, nelle comunità cristiane. Secondo la Bibbia, questa potenza può raggiungere l'uomo con forza o con levità, può indurre in estasi singole persone o anche interi gruppi, come appunto quello raffigurato nel quadro di El Greco. Lo Spirito opera nei grandi uomini e nelle grandi donne, in Mosè e nei «giudici» d'Israele, nei guerrieri, nei cantori e nei re, nei profeti e nelle profetesse, ma anche - come nel nostro quadro - negli apostoli e nelle discepole. Il centro nel quadro è chiaramente rappresentato da Maria madre di Gesù in veste rossa, verso la quale si piega la giovane Maria di Magdala.
Ma in che senso questo Spirito è lo Spirito santo? Lo Spirito è «santo» in quanto viene distinto dallo spirito non santo dell'uomo e del suo mondo e deve essere visto come lo Spirito dell'unico Dio santo. Lo Spirito santo è lo Spirito di Dio. Neppure nel Nuovo Testamento lo Spirito santo è - come spesso nella storia delle religioni - un qualche fluido magico, sostanziato, misteriosamente soprannaturale, di natura dinamica («qualcosa» di spirituale) o un essere magico di tipo animistico (un fantasma o uno spettro). Anche nel Nuovo Testamento lo Spirito santo non è che Dio stesso.  Dio stesso, in quanto egli è vicino agli uomini e al mondo, anzi egli diventa loro intimo in quanto potenza che afferra, ma non è afferrabile, in quanto forza che vivifica, ma anche giudica, in quanto grazia che dona, ma non è a disposizione dell'uomo.
C'è però una domanda: proprio il simbolo della colomba (in origine uccello messaggero delle dee dell'amore nell'antico Oriente), che ha a sua volta soppiantato la rappresentazione antropomorfica dello Spirito santo, non evoca associazioni antropomorfiche?  Risposta: in ogni caso questo simbolo dell'elemento materno-femminile, del dono della vita, dell'amore e della pace - entrato nel racconto del battesimo di Gesù forse passando attraverso l'antica tradizione ebraica della sapienza (Filone) -, sottolinea la dimensione femminile in Dio, che è tanto importante quanto quella maschile, perché in Dio stesso, ribadiamolo ancora una volta, la differenziazione sessuale è inclusa e insieme viene superata. Va però ammesso che la maggior parte dei fraintendimenti sullo Spirito santo provengono dal fatto che lo si è staccato da Dio e reso autonomo alla stregua di una figura mitologica. Comunque proprio il concilio di Costantinopoli del 381, al quale dobbiamo l'estensione allo Spirito santo della professione di fede, originariamente cristologica, del concilio di Nicea del 325, afferma esplicitamente: lo Spirito è della medesima natura del Padre e del Figlio.
In nessun caso, dunque, si può concepire lo Spirito santo come un terzo, come una realtà tra Dio e l'uomo. No, con la parola Spirito è intesa la vicinanza personale di Dio stesso agli uomini, altrettanto poco separabile da Dio quanto il raggio dal sole. Se dunque ci si chiede come il Dio invisibile e inafferrabile sia vicino, presente ai credenti, alla comunità di fede, la risposta del Nuovo Testamento suona concorde: Dio è vicino a noi uomini nello Spirito; è presente nello Spirito, mediante lo Spirito, anzi, come Spirito. E se ci si chiede come Gesù Cristo, elevato e accolto presso Dio, sia vicino ai credenti e alla comunità di fede, la risposta, secondo Paolo, suona: Gesù è diventato uno «Spirito vivificatore» (1 Cr 15, 45). Anzi, «il Signore (Il Kyrios, quindi Gesù, il glorificato) è lo Spirito» (2Cor 3,17). Ciò significa che lo Spirito di Dio ora è anche lo Spirito del Glorificato presso Dio, così che ora il Signore elevato presso Dio è nel modo di esistere e agire dello Spirito. Ora perciò egli può essere mediante lo Spirito, nello Spirito, in quanto Spirito. L'incontro di Dio, del Kyrios e dello Spirito con i credenti è in realtà un unico e medesimo incontro. Ma si noti bene: Dio e il suo Cristo non sono presenti soltanto attraverso il ricordo soggettivo dell'uomo o attraverso la fede. Essi sono presenti piuttosto in virtù della realtà spirituale, dell'attività di Dio e di Gesù Cristo stesso, che vengono incontro all’uomo.

Credere nello Spirito Santo

Credere nello Spirito santo, nello Spirito di Dio, significa per me ammettere fiduciosamente che Dio stesso può farsi presente nel mio intimo, che egli come potenza e forza di grazia può diventare il signore del mio intimo ambivalente, del mio cuore spesso così insondabile. E, ciò che qui è per me particolarmente importante: lo Spirito di Dio non è uno spirito di schiavitù. Egli è comunque lo Spirito di Gesù Cristo, che è lo Spirito di libertà. Questo Spirito di libertà promanava già dalle parole e dalle azioni del Nazareno. Il suo Spirito è ora definitivamente lo Spirito di Dio, da quando il Crocifisso è stato glorificato da Dio e vive e regna nel modo di essere di Dio, nello Spirito di Dio. Perciò a piena ragione Paolo può dire: «Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2Cor 3,17). E con ciò non s'intende soltanto una libertà dalla colpa, dalla legge e dalla morte, ma anche una libertà per l'agire, per una vita nella gratitudine, nella speranza e nella gioia (…).
Questo Spirito di libertà, in quanto Spirito del futuro, mi spinge in avanti: non nell'aldilà della consolazione, ma nel presente della prova.
E poiché so che lo Spirito santo è lo Spirito di Gesù Cristo, io ho anche un criterio concreto per saggiare e discernere gli spiriti. Dello Spirito di Dio non si può più abusare come di una forza divina oscura, senza nome e facilmente equivocabile. No, lo Spirito di Dio è con tutta chiarezza lo Spirito di Gesù Cristo. E ciò significa in modo del tutto concreto che né una gerarchia né una teologia e neppure un fanatismo che vogliano richiamarsi allo «Spirito santo» oltre Gesù, possono requisire lo Spirito di Gesù Cristo. Qui hanno i loro limiti ogni ministero, ogni obbedienza, ogni partecipazione alla vita della teologia, della chiesa e della società.
Credere nello Spirito santo, nello Spirito di Gesù Cristo significa per me, anche di fronte ai molti movimenti carismatici e pneumatici: che lo Spirito non è mai una mia propria possibilità, ma è sempre forza, potenza, dono di Dio, da ricevere con fiducia incondizionata. Egli quindi non è un non santo spirito del tempo, della chiesa, del ministero o dell'entusiasmo; egli è sempre il santo Spirito di Dio, che soffia dove e quando vuole, e non si lascia catturare da nessuno: come giustificazione di un potere assoluto di insegnamento e di governo, di infondate leggi dogmatiche della fede o anche di un fanatismo religioso e di una falsa sicurezza della fede. No, nessuno - né vescovo né professore, né parroco né laico - «possiede» lo Spirito, ma ognuno può invocare di continuo: «Vieni, santo Spirito».
Ma, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io posso, con buone ragioni, credere non certo nella chiesa, ma nello Spirito di Dio e di Gesù Cristo anche in questa chiesa, che è composta da uomini fallibili come lo sono anch'io. E, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io sono preservato dalla tentazione di staccarmi, rassegnato o cinico, dalla chiesa. Poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito io, nonostante tutto, posso dire in buona coscienza: credo la santa chiesa. Credo sanctam ecclesiam.

(H. KUNG, Credo).  

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