di Aristide Fumagalli, Queriniana 2014,
pp. 176, 12 euro
La prima impressione ricevuta dalla
lettura di questo importante saggio, è che l’autore abbia voluto innanzitutto
mostrare il suo equilibrio e “imparzialità” nel ragionare su una questione
ampiamente dibattuta e motivo di una profonda scissione tra i (teologi)
cattolici: ammettere, nel nome della misericordia, i divorziati risposati ai
sacramenti o negare questa possibilità in nome della dottrina?
E’ chiaro che l’autore propenda per la
prima posizione, ma lo fa pacatamente, ragionando dei pro e dei contro,
lasciando che anche i “contrari” possano sentirsi compresi e coinvolti dalle
sue riflessioni.
Se al cuore del libro (in realtà nelle sue
conclusioni) c’è questa questione scottante, l’autore, giovane ma già noto
moralista milanese, parte da più lontano: dalla considerazione paolina di
essere vasi di argilla che contengono un tesoro (cfr. 2 Cor 4,7) all’
“Inquadratura” (primo momento) della situazione presente. Passa poi ad una
“Messa a fuoco” (secondo momento) dello sviluppo della dottrina tradizionale
sul matrimonio, per indicare poi delle “Prospettive” (terzo momento) che
salvaguardino la continuità col passato e, nello stesso tempo, si aprano alle
nuove sfide pastorali.
Primo momento: “Inquadratura”
1.
La (nuova) evangelizzazione in un mondo che cambia
2.
La sfida pastorale
A livello sociale: “matrimoni misti, interreligiosi,
combinati, poligamici, nonché, alternativo del matrimonio stesso, nella forma
della semplice convivenza delle coppie di fatto e delle unioni di persone dello
stesso sesso. Anche il legame genitoriale risulta diversamente configurato con
l’avvento della fecondazione artificiale eterologa, il diffondersi delle madri
surrogate che offrono l’utero in affitto, l’adozione di figli da parte di
single o di due persone dello stesso sesso” (p.17).
“A livello culturale l’istituzione del matrimonio e
della famiglia è contestata dalla tendenza al disimpegno, che presuppone l’instabilità
del vincolo, e al relativismo, che rivendica il pluralismo delle forme di
famiglia, nonché la riformulazione dell’idea stessa di famiglia. L’influenza di
tale cultura si avvale del potere mediatico e di proposte legislative che
screditano la fedeltà e la stabilità del patto matrimoniale” (p.17-18).
2.1
La crisi dei matrimoni cristiani
Anche a livello ecclesiale la crisi è
evidente ed evidenziata dalle convivenze, dai divorzi, dalle nuove unioni
costituite da fedeli divorziati e risposati. Ma parlare di “crisi” non equivale
a parlare di fallimento: la crisi comporta un giudizio e una rivalutazione, un
“appello a progredire nel riconoscere meglio la verità dell’amore cristiano che
il sacramento del matrimonio dona di vivere ed esige di essere corrisposto”
(p.18)… in quanto si fonda “sul loro amarsi così come Cristo, per mezzo del
sacramento, consente ed esige che essi si amino”. Non è dunque sufficiente che
i due coniugi permangano insieme, ma che permanga tra loro l’amore, cosa che
non era certo più garantita nel passato (con il marito posto, in genere, in
posizione di dominio sulla moglie[1])
Si invita a “scrutare il bene che lo
Spirito va seminando nelle attuali vicende matrimoniali e familiari,
favorendone la crescita” (p.22). Il bene è testimoniato dalla scelta “radicale”
di alcuni divorziati di vivere in solitudine per non negare l’indissolubilità
del matrimonio, ma anche dai “tratti autentici di vita cristiana riconoscibili
in coloro che, separati dal primo coniuge sposato religiosamente, hanno
intrapreso una nuova relazione di tipo coniugale” (p.23). Di loro il cardinal
Tettamanzi scriveva: “il fatto che spesso queste relazioni siano vissute con
senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli è una realtà
che non sfugge alla chiesa e ai suoi pastori”[3].
3.
Il dinamismo della tradizione
“La tradizione, ancorata alla sacra Scrittura
e confermata dal magistero” (p.25) non può essere contraddetta in quanto
considerata corrispondente alla rivelazione. Tale continuità non coincide con
la fissazione delle norme disciplinari e non nega uno sviluppo della dottrina
in quanto “Dio non cessa di parlare” alla chiesa introducendo “i credenti a
tutta la verità” (DV 8).
3.1
Verità, dottrina e disciplina
“La comprensione, tanto delle cose quanto
delle parole trasmesse, cresce con la riflessione e lo studio dei credenti” (DV
8) sia con la predicazione dei vescovi. La dottrina della chiesa è “una
tradizione viva…che esige di essere continuata ed approfondita”[4].
Giovanni XXIII invita a distinguere le verità contenute nella dottrina (certe e
immutabili), dalla forma (modus) con
cui queste vengono enunciate (dunque mutevole).
Ogni volta che, più o meno consapevolmente, si manca
di distinguere tra la sostanza e la forma della dottrina, riducendole ad
un’unica confusa realtà, si genera l’equivoco tra coloro che, volendo difendere
l’immutabilità della sostanza, negano ogni mutabilità della forma, e coloro
che, intendendo promuovere la mutabilità della forma, ledono l’immutabilità
della sostanza. Le due posizioni finiscono di consueto per irrigidirsi in due
fronti contrapposti della dialettica ecclesiale, l’uno dottrinale, preoccupato
di richiamare alla verità di sempre, l’altro pastorale, intento a comunicare la
verità nel presente. (p.28)
E’ bene, per questo motivo, distinguere
verità (immutabile) e dottrina e tra dottrina e disciplina (entrambe in fieri). (cfr. p.29)
3.2
Lo sviluppo dottrinale e disciplinare circa il
matrimonio
Questo sviluppo è rintracciabile già negli
scritti neotestamentari[5].
La stessa concezione del matrimonio quale sacramento, adombrata nel passo di Ef
5,31s., viene chiarita solo dopo l’epoca patristica, con la teologia medioevale
e con Tommaso in particolare. Sarà il concilio di Trento a consacrare il
matrimonio come uno dei sette sacramenti e a stabilirne le norme di validità.
La dottrina magisteriale circa il matrimonio troverà
precisa codificazione nel Codice di
diritto canonico del 1917 attorno a tre tesi: il matrimonio è un contratto;
che ha per oggetto il diritto all’unione sessuale in vista della procreazione;
la quale gode del primato rispetto agli altri fini del matrimonio[6]
(p.32)
3.3
Novità nella continuità
La tradizione storica della chiesa conosce
dunque una evoluzione della dottrina del matrimonio e uno sviluppo
disciplinare. Ciò indica come le sfide pastorali di un’epoca non siano mai
state affrontate in termini “archeologici”,
ovvero ricercando nel passato di epoche antecedenti le
soluzioni per quella presente. Ciò vale sia per chi intendesse escludere
cambiamenti dell’attuale dottrina e disciplina circa il matrimonio, sia per chi
volesse accreditarli. (…)(p.33)
Le stesse interpretazioni esegetiche e
teologiche che, in quanto tali, mantengono uno statuto ipotetico, sono
insufficienti per le decisioni dottrinali. L’autore apporta due esempi: il
primo è quello dell’interpretazione della “clausola matteana” per la quale
“esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti.
(…) In ogni caso la chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su
ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di
Cristo[7].
Il secondo esempio riguarda la patristica: “sebbene i Padri si attenessero
chiaramente al principio dottrinale dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni
di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in
riferimento a singole situazioni difficili”[8].
Dalle fonti a noi pervenute risulta che l’antica chiesa
indivisa teneva nei confronti dei divorziati risposati un atteggiamento non
univoco. Inequivocabile era la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio dei
battezzati, dottrina fondata sulla stessa parola del Signore e conservata
integra dalla tradizione. Diversa era invece la prassi che le chiese locali
osservavano nei confronti dei divorziati che volevano accedere a ulteriori
nozze. La diversità ha cause di natura culturale ed ecclesiale. Le tradizioni e
i costumi locali, il diritto romano, le diverse interpretazioni della Scrittura
producevano in definitiva un vero pluralismo[9].
Conclude il card. Kasper: “In linea di
principio è chiaro che la chiesa ha continuato a cercare sempre una via al di
là del rigorismo e del lassismo, facendo in ciò riferimento all’autorità di
legare e sciogliere (Mt 16,9; 18,18; Gv 20,23) conferita dal Signore”[10].
E l’allora card. Ratzinger scriveva:
Che il matrimonio vada molto al di là dell’aspetto
puramente giuridico affondando nella profondità dell’umano e nel mistero
divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola “sacramento”, ma
certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il concilio
(Vaticano II, n.d.r.) ha dato a questi aspetti[11].
4
Il rinnovamento conciliare
4.1
Il magistero conciliare: Gaudium et spes
Nel primo capitolo della seconda parte
della Gaudium et spes (Dignità del matrimonio e della famiglia e
sua valorizzazione, nn.47-52[12])
si tratta del matrimonio la cui essenza è colta nella “intima comunità di vita
e di amore coniugale” (GS 48) e nel “patto” coniugale, anziché nel “contratto”.
Parlare di patto, “oltre che superare la concezione ristrettamente giuridica
del matrimonio, evoca l’alleanza biblica, la quale assurge così a criterio per
comprendere e valutare la qualità della comunione coniugale” (p.39).
Con il sacramento del matrimonio, Gesù
,”rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la chiesa e si è dato per
essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre,
con mutua dedizione” (GS 48). “Questo amore è espresso e reso perfetto”
dall’intimità sessuale definita come “casta intimità”, i cui atti “sono
onorevoli e degni, e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua
donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa
gratitudine gli sposi stessi” (GS 49).
Riassumendo: “La rinnovata concezione del
concilio Vaticano II prospetta il matrimonio come intima comunità di vita e
d’amore, stabilita dal patto coniugale ed espressa in modo particolare negli
atti propri dei coniugi” (p.41). “Questa intima unione, in quanto mutua
donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà
dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità” (SG 48). E sulla trasmissione
della vita umana ribadisce: “Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati
per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti
sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene
dei genitori stessi” (GS 50).
4.2
Il magistero di Paolo VI: Humanae vitae (25.07.1968)
Paolo VI ribadisce le affermazioni
contenute nella GS e approfondisce la questione della trasmissione della vita
umana. Definisce l’amore coniugale come “amore pienamente umano, vale a dire
sensibile e spirituale” (HV 9), “atto della volontà libera” (HV 9), “amore
totale, vale a dire una forma speciale di amicizia personale, in cui gli sposi
generosamente condividono ogni cosa” (HV 9). L’amore coniugale è inoltre “amore
fedele ed esclusivo fino alla morte… amore fecondo, che non si esaurisce tutto
nella comunione dei coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove
vite” (HV 9).
Si concentra poi sulla paternità
responsabile ribadendo come “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto
alla trasmissione della vita” (HV 11) essendo inscindibili “ i due significati
dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (HV
12). “Parlare di “significato” è indicare al tempo stesso ciò che gli sposi
“vogliono dirsi” nell’atto coniugale e ciò che l’atto coniugale “dice” in se
stesso”[13].
4.3
Il magistero di Giovanni Paolo II: Familiaris consortio
(22.11.1981)
Giovanni Paolo II, nell’esortazione
apostolica, sviluppa la comprensione del matrimonio nella prospettiva della
communio personarum e della vocazione. “Nell’amore matrimoniale rientrano tutte
le componenti della persona: richiamo del corpo e dell’istinto, forza del
sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà” (cfr.
FC 13, p.45). Ne consegue la necessità intrinseca al matrimonio della fedeltà
coniugale e della fecondità responsabile. E’ l’amore totalmente integro il
criterio di verità e dunque di moralità dell’agire coniugale.
4.4
Il magistero di Benedetto XVI: Deus caritas est
(25.12.2005)
4.5
Linea essenziale di sviluppo
Secondo momento: MESSA A FUOCO
1. La verità cristiana del
matrimonio
1.1
Il vangelo di Gesù
Viene notato l’uso del futuro sia da parte
di Gesù (“i due diventeranno una carne sola”) che di san Paolo(“per questo
l’uomo lascerà… si unirà… e i due diventeranno una sola carne”, Ef 5,31):
“sembra di poter cogliere qui l’allusione a ciò che la storia vissuta di
innumerevoli coppie insegna, al fatto cioè che la comunione amorosa sia
tutt’altro che immediata e stia piuttosto davanti ai due come una promessa
futura” (p.58-59).
L’esplicito riferimento a Cristo e alla chiesa che
subito segue queste parole suggerisce che l’unione prospettata all’uomo e alla
donna è donata a loro da Cristo: il divenire “una carne sola” non è l’esito della
loro diretta unione, ma l’effetto dell’unione che Cristo realizza con ciascuno
dei due. L’una caro dei due si
realizza “per mezzo di” e “in” Cristo. (p.59)
1.2
La legge di Mosè
La possibilità che la legge di Mosè da al
marito di ripudiare la moglie, è considerata da Gesù non un diritto, ma una
concessione (“per la durezza del vostro cuore”) che porta a una grave
trasgressione (“chi sposa un altro/a commette adulterio”[14]).
Tuttavia Gesù “non annuncia alcuna legge nuova sul matrimonio, ma sottolinea la
volontà di Dio riguardo al matrimonio stesso” (cit., p.63). “Ciò che Gesù vieta
non è il permesso del divorzio concesso da Mosè, ma la sua rivendicazione come
un diritto” (p.64). “Il divorzio è un fatto grave; è sempre uno scacco: Gesù
non dice di più” (cit., p.64).
2. L’indissolubilità del
matrimonio
Si distingue tra “matrimonio naturale” e
“matrimonio sacramentale” (in riferimento a Cristo e alla chiesa, cfr. Ef
5,32).
2.1
L’indissolubilità come storia
“Nell’attuale contesto culturale la
vicenda amorosa di una coppia ha spesso inizio con l’innamoramento, fortemente
connotato in senso emozionale e sentimentale” (p.67). Il desiderio è che il
legame diventi indissolubile, che si possa vivere “per sempre” l’amore
presente.
L’effettivo impegno in questa direzione è ciò che, in
termini tradizionali, viene definito “fidanzamento”. L’alternativa al
fidanzamento, oggi non di rado preferita, è di evitare o, quanto meno,
differire ad oltranza la prospettazione del matrimonio, trattenendosi il più
possibile nell’attimo presente dell’innamoramento, con la segreta speranza o la
dichiarata convinzione che possa durare eternamente. (p.68)
“L’amore al tempo del fidanzamento, ancora
precari e reversibile, con la scelta matrimoniale non lo è più… La stessa
eventuale decisione di separarsi e divorziare non sarà più, come nel fidanzamento,
l’interruzione di una storia possibile, ma il rinnegamento di una storia voluta.
Il consenso definitivo all’indissolubilità del matrimonio impegna la libertà in
modo incondizionato, non vincolato cioè al verificarsi di certe condizioni”
(p.68).
2.2
La necessità della grazia…
… per riuscire a rispettare la fedeltà e
l’indissolubilità del matrimonio contratto.
2.3
La condizione della fede
La grazia non agisce contro e nemmeno a
prescindere dalla libertà di chi celebra i sacramenti. Per quanto riguarda il
matrimonio, è richiesta almeno una “fede implicita” accompagnata da “retta
intenzione” (di contrarre il matrimonio secondo i principi di unità e
indissolubilità). Ma la “fede implicita” è comunque “fede in Dio”, nella sua
esistenza e provvidenza. Ne consegue che
La tesi secondo cui, affinché il matrimonio sia
valido, è sufficiente l’intenzione di contrarlo come fanno i cristiani, rimane
indietro rispetto a questo requisito minimo. Infatti, una tale intenzione
implicita, per chi è cristiano solo per cultura, la mera intenzione di
contrarre matrimonio secondo il rito della chiesa, cosa che molti non fanno per
fede, ma per la solennità e lo splendore maggiori del matrimonio religioso
rispetto a quello civile[15].
3. La dignità cristiana del
matrimonio
Con il Concilio Vaticano II siamo passati
dal “contratto” matrimoniale (finalizzato a determinati beni, in primis quello
della generazione di figli), al “patto”, “costituito dalla mutua donazione dei
coniugi, all’insegna dell’amore con cui Cristo ha amato la chiesa” (p.76).
3.1
Il matrimonio come vocazione cristiana
“Tutti i fedeli, di qualsiasi stato e
grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della
carità” (LG 40). Per gli sposi, le specificazioni vengono elencate da Giovanni
Paolo II nella Familiaris consortio
(1981).
3.2
Il matrimonio “come lo fanno tutti”
Ovvero un matrimonio “a tempo”
(indissolubile solo se va bene).
Terzo momento: PROSPETTIVE
1.
L’accesso al matrimonio cristiano
1.1
Fede battesimale e matrimonio sacramentale
I cristiani non credenti (battezzati che
non credono in Dio) possono contrarre un matrimonio sacramentale? E’ un quesito
posto anche da Benedetto XVI, già da cardinale. Ma la fede non è quantizzabile ne
valutabile, a meno che, riferendoci al concetto di vocazione, poniamo come per
le “classiche vocazioni”[16],
un itinerario prolungato e un responsabile che accompagni e discerna tale
vocazione a partire dalla coerenza vissuta riguardo alla partecipazione di un
cammino di fede. Oggi “si può ancora immaginare di celebrarlo sacramentalmente
in assenza di una fede sufficientemente provata da parte dei nubendi?” (p.92).
1.2
La maturazione della fede battesimale
Si evidenziano itinerari già in atto per
“strutturare il cammino di fede verso il matrimonio sulla falsariga degli
itinerari catecumenali per l’iniziazione cristiana” (p.95). Non ci si può
nascondere inoltre di fronte al fatto che “la convivenza pre-matrimoniale, pur
in forme differenziate, costituisce la normale via di accesso al matrimonio”
(p.96).
2.
La validità (nullità) del matrimonio
2.1
Quando (non) si realizza il sacramento
della fede?
2.2
E’ possibile una “verifica” della fede?
3.
La cura dei matrimoni feriti
La storia
matrimoniale di due coniugi, anche cristiani, può divenire difficile. (Anzi)
Difficile lo è sempre, in qualche modo, ma talvolta può giungere fino alla
irreversibile separazione dei coniugi, per i quali risulta impossibile continuare o ricostruire
la prima unione. Lo sguardo realista sulle vicende matrimoniali constata come
la reciproca indisposizione dei coniugi possa giungere, di fatto, a un punto di
irreversibilità, quando, per esempio, le ferite subite durante il matrimonio
sconsigliano la ripresa della vita coniugale che, al di là delle buone
intenzioni, finirebbe per innescare nuovamente insanabili conflitti, oppure
quando, sempre a causa della sofferenza vissuta, sia esaurita ogni capacità di
investire nuove energie per ricucire la relazione spezzata con l’altro, senza
che per questo vi sia alcun odio nei suoi confronti.
La fallibilità di
uomini e donne, pur uniti nel sacramento del matrimonio, può giungere sino a
costringerli a fare i conti con il fallimento definitivo della loro convivenza
coniugale, la cui felice riuscita essi avevano pur desiderato e nella cui
durata “per sempre” essi avevano creduto e si erano impegnati. Il crollo
definitivo della speranza di riuscita della vita matrimoniale, anche qualora
non sia dovuto a mancanze proprie, provoca a livello personale un senso di
colpa per il mancato adempimento della promessa d’amore data e ricevuta, e
suscita a livello sociale, soprattutto ecclesiale, un senso di esclusione e di
proscrizione per aver deluso le aspettative della comunità di appartenenza.
A fronte di questo
doloroso vissuto, la chiesa è sollecitata ad annunciare che il fallimento,
lungi dall’essere alieno all’esperienza cristiana, è un’esperienza decisiva
della fede, nella quale uomini e donne sperimentano, come non altrimenti, la
misericordia sconfinata di Dio che riapre, inaspettatamente, un nuovo orizzonte
di vita[17].
3.1
L’annuncio
ecclesiale della misericordia
Se “il divorzio
civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi,
quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza
che costituisca una colpa morale“ (CCC 238).
3.1.1
L’offerta del
perdono
Anche il coniuge
colpevole di aver peccato contro l’amore può sperimentare il perdono (nella
misura in cui si pente sinceramente e ripara concretamente il male compiuto[18]).
L’applicazione di
questa logica ai matrimoni falliti, operata da Agostino specialmente nella sua
opera De adulterinis coniugiis e
fatta propria dalla tradizione ecclesiale sino ai nostri giorni, ammette al
perdono dei peccati i fedeli divorziati risposati a condizione che rinuncino
alla loro unione, o interrompendo la convivenza coniugale nuovamente intrapresa
e tornando a vivere soli o, quanto meno, astenendosi dall’intimità sessuale e
coabitando tamquam frater et soror.
A meno della scelta
di rinunciare, in un modo o nell’altro, a una nuova convivenza coniugale, non
si danno secondo la disciplina tradizionale della chiesa le condizioni affinché
la misericordia divina possa raggiungere sacramentalmente gli interessati,
poiché essi sarebbero perseveranti nel peccato di convivere coniugalmente a fronte
del precedente matrimonio sacramentale. (p.112)
3.1.2
L’attuale disciplina
della chiesa e le sue difficoltà
La
situazione senza uscita è quella dei divorziati risposati: non è loro concessa
una soluzione e vengono privati dei sacramenti.
a- Coniugi separati e preti sposati
b- Conviventi non coniugi
3.2
Indissolubilità
e fallimento del matrimonio
3.2.1 Indissolubilità e unità
3.2.2 Indissolubilità del vincolo e
fallimento del legame
“La chiesa può riconoscere l’irreversibile
fallimento della convivenza matrimoniale” senza per questo che la chiesa neghi
il valore “dell’indissolubilità del vincolo sacramentale in quanto realtà oggettiva
dovuta alla grazia di Cristo”, ma “d’altra parte ammette l’intervento della
chiesa nel constatare che il legame intersoggettivo, a causa del decorso della
vita coniugale, è ormai indisponibile ai coniugi” (p.127)[19].
“Il dono di grazia
attuato da Cristo con il sacramento del matrimonio non deve essere
necessariamente ritenuto dissolto perché i due coniugi non l’hanno
adeguatamente corrisposto smettendo di vivere insieme e intraprendendo una
nuova convivenza coniugale” (id.).
L’autore
invita, in definitiva, a distinguere la validità dalla fruttuosità del
sacramento.
3.2.3 Indissolubilità sacramentale ed
eternità escatologica
“Chi
sarà lo sposo di mia moglie (nell’eternità escatologica)?” si domanda il
filosofo cattolico F. Hadjadj che risponde:
Là il grado di
intimità non sarà più funzione dello spazio, ma dell’amore. Più vicino a mia
moglie sarà l’uomo che l’avrà maggiormente amata. Sarò io? Se quaggiù la
possiedo come un proprietario, con sazia indifferenza, un altro può pregare per
lei e prendersi segretamente cura di lei nella sua solitudine: è il suo volto
che, nel nuovo giorno, le sembrerà il più congeniale, ed ella sarà più con lui
che con me[20].
Qui in
terra ci si accontenta della coniugalità (ovvero il “mero adempimento dei
doveri del matrimonio”) o si aspira alla sponsalità (di Cristo)?
Solo a Dio aspetta
il giudizio, “alla chiesa, invece, compete di disciplinare l’ammissione o meno
al matrimonio sacramentale sulla terra, in modo che non venga meno l’annuncio e
la testimonianza credibile dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, ciò
che l’esclusione di un altro sacramento del matrimonio, stante la validità
sacramentale del primo, sembrerebbe sufficiente per salvaguardare”. (p.131)
3.3
L’esclusione
di nuove nozze sacramentali
Sono
compatibili il sacramento matrimoniale con una “nuova unione che i coniugi
separati vivessero a seguito del fallimento della loro precedente convivenza
matrimoniale”?
Và
innanzitutto precisato che “né si è in presenza di due sacramenti del
matrimonio, dato che la nuova unione non ha propriamente carattere di
sacramento; né si danno due convivenze matrimoniali, dato che la prima è
irreversibilmente conclusa. Stante questa situazione, non sembra ravvisarsi
incompatibilità né sul versante della significanza sacramentale, né sul
versante della vita morale dei fedeli divorziati risposati” (p.134).
3.4
L’appartenenza
alla chiesa
“Impossibilitata a
significare il tratto indissolubile dell’amore di Cristo, e quindi priva di una
proprietà essenziale per poter essere riconosciuta come sacramento, la nuova
unione dei fedeli divorziati risposati può, nondimeno, significare altri tratti dell’amore di Cristo che
appartengono essenzialmente al matrimonio cristiano. La testimonianza di unità,
fedele e feconda, di talune coppie in “situazione matrimoniale irregolare” non
è sconosciuta alle comunità cristiane, sino a risultare, secondo il giudizio
pastorale di sacerdoti e operatori, anche più vivida e credibile che non quella
di tanti coniugi regolarmente sposati” fattore che “non esclude che si possa
riconoscere la qualità, anche cristiana e quindi ecclesiale, della loro unione”
(p.134-135)[21].
Se il
Direttorio di Pastorale Familiare afferma negativamente che i divorziati
risposati “non sono del tutto esclusi dalla comunione con la chiesa, anche se
non sono nella “pienezza” della stessa comunione ecclesiale”[22],
di diverso avviso sono le affermazioni dell’allora card. Ratzinger e
dell’attuale papa Francesco. Il primo affermava
“I fedeli divorziati
risposati rimangono membri del popolo di Dio e devono sperimentare l’amore di
Cristo e la vicinanza materna della chiesa. Sebbene questi fedeli vivano in una
situazione che contraddice il messaggio del vangelo, essi non sono esclusi
dalla comunione ecclesiale. Essi sono e restano sue membra, perché hanno ricevuto
il battesimo e conservano la fede cristiana. Per questo motivo i documenti
magisteriali parlano normalmente di fedeli divorziati risposati e non
semplicemente di divorziati risposati”[23].
Allo
stesso modo ha ribadito più volte papa Francesco:
“La Chiesa sa bene che una tale situazione contraddice il Sacramento
cristiano. Tuttavia il suo sguardo di maestra attinge sempre da un cuore di
madre; un cuore che, animato dallo Spirito Santo, cerca sempre il bene e la
salvezza delle persone. Ecco perché sente il dovere, «per amore della verità»,
di «ben discernere le situazioni». (…)Del resto, come potremmo raccomandare a
questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando
loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza
dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati?”[24].
In una intervista, alla domanda “E dei divorziati risposati cosa dice?”, il Papa ha così risposto:
"Che facciamo con loro, che porta si può aprire? C'è
un'inquietudine pastorale: allora gli andiamo a dare la comunione? Non è una
soluzione dargli la comunione. Questo soltanto non è la soluzione, la soluzione
è l'integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di
battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la
comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose,
ho l'elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Bisogna
aprire un po' di più le porte. Perché non possono essere padrini? "Che
testimonianza darebbero al figlioccio?". La testimonianza di un uomo e una
donna che dicano: "Guarda, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo
punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha
vinto, vado avanti". Ma che testimonianza cristiana è questa? Se
arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da
padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che
testimonianza darà al figlioccio? Testimonianza di corruzione?"[25].
Anche la Familiaris consortio
invita non solo “a ritenerli parte della chiesa, ma si spinge sino a
sollecitare la loro partecipazione attiva” (p.136):
…esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché
aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino
separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati,
partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a
frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento
alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della
giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le
opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio
(FC 84).
Il magistero successivo parla in diverse occasioni
anche della “comunione spirituale”(“che ci unisce al Signore e, in lui, ci
unisce ai nostri fratelli e sorelle che si stanno accostando alla sua mensa”[26]).
Nella Relazione finale del Sinodo straordinario sulla famiglia (2014) si
riferiva la discussione in proposito:
Alcuni
Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi
possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono
domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene
quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere
la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del
matrimonio (n.53).
In realtà nella Relazione finale del Sinodo ordinario (2015) di
tale discussione non si trova più traccia, mantenendo, più cauto, l’invito al
discernimento della situazioni concrete da parte del Vescovo ordinario.
3.5
L’ammissione
ai sacramenti
3.5.1 Le ragioni dell’attuale esclusione
1°, di
carattere dottrinale: “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono
oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la chiesa, significata e
attuata dall’eucaristia”.
2°, di
ordine pastorale: “se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli
rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della chiesa
sull’indissolubilità del matrimonio” (FC 84).
Questa
seconda ragione (di evitare scandali), può essere ovviata attraverso
l’istruzione dei pastori su determinate scelte pastorali. Commenta il card.
Kasper: “Non è forse uno strumentalizzare la persona che soffre e chiede aiuto
se noi ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? La lasciamo sacramentalmente
morire di fame perché altri vivano?”[27].
La
prima ragione prende l’avvio dalla norma del Codice di diritto canonico in cui
si prevede l’esclusione dall’eucaristia per coloro che «ostinatamente
perseverano in peccato grave manifesto» (CIC, can.915)[28].
Che i divorziati
risposati possano trovarsi in stato di peccato mortale non è certo impossibile;
che però lo siano necessariamente, per il solo fatto che sono divorziati
risposati, sembra deduzione indebita. Ammesso infatti che la loro situazione
costituisca materia grave, resta ancora da determinare la loro condizione
soggettiva. La situazione in cui si trovano è frutto di piena consapevolezza? E
nel caso lo sia, anche di deliberato consenso? Che questo non possa essere
automaticamente stabilito, oltre che per l’incompetenza che la chiesa stessa ha
sull’intimità della coscienza personale, appare anche per via del
riconoscimento da parte del magistero di talune situazioni in cui né il
ripristino del precedente matrimonio, né il porre fine alla successiva
convivenza coniugale si presentano come soluzioni possibili (p.141).
3.5.2 I motivi per l’ammissione
I
sacramenti sono “signa fidei”
(esigono cioè la coerenza di vita), ma pure “signa misericordiae Dei”: donati ai credenti affinché possano
corrispondere all’amore di Cristo.
3.5.3 Accostarsi secondo coscienza?
3.5.4 Il discernimento ecclesiale dell’ammissione
3.6
Il
riconoscimento ecclesiale delle nuove unioni
3.6.1 La dottrina dell’identità tra
contratto e sacramento
Tale
identità è sorta nella storia per motivi di carattere disciplinare e giuridico.
3.6.2 L’affidamento al Signore della nuova
unione
Come
per il sacramento dell’ordine che prevede il triplice grado dell’episcopato,
presbiterato e diaconato, così gli ortodossi ammettono i divorziati alle
seconde e terze nozze, non riconoscendo ad esse lo stesso grado sacramentale
delle prime (rispetto alle quali, le seconde e terze nozze vengono
caratterizzate come matrimoni sacramentalmente “insufficienti”).
Negare la pienezza
del valore sacramentale delle seconde nozze non vuol dire che esse non abbiano
alcun valore sacramentale. Le seconde nozze infatti partecipano in certa misura
della pienezza del valore sacramentale, in quanto un vincolo unico e stabile è
considerato migliore della fornicazione[29].
La sacramentalità di
una nuova unione, senza assurgere alla pienezza del sacramento cristiano,
potrebbe essere intesa nel senso di quella sacramentalità
naturale che Dio ha impresso nell’unione tra uomo e donna creandoli a sua
immagine e somiglianza. (…) Tra i cosiddetti “sacramentali” vi sono, per
esempio, le benedizioni delle persone in varie circostanze della loro vita. (…)
Prospettando la
benedizione della nuova unione – è opportuno precisarlo – non s’intende certo
riconoscere come buono il fallimento della precedente convivenza matrimoniale,
ma affidare alla misericordia del Signore la storia di un uomo e di una donna
che il discernimento ecclesiale ha riconosciuto ben disposti, per quanto è ancora
nelle loro possibilità, a corrispondere alla loro vocazione cristiana. (p.158)
EPILOGO
La sfida sul matrimonio dei cristiani
Il libro del teologo don Aristide
Fumagalli «Il tesoro e la creta» (Queriniana, pp. 176, 12 euro, in libreria dal
6 ottobre): la fede, la validità delle nozze, la proposta di riammissione ai
sacramenti a certe condizioni dei divorziati risposati. Ecco un'anticipazione
dei contenuti
aristide
fumagalli*
La «nuova tappa evangelizzatrice» gioiosamente indicata alla Chiesa da papa Francesco riguarda in modo del tutto speciale la famiglia, «nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale». Lo si comprende dalla subitanea indizione del Sinodo dei Vescovi in due tappe, l’Assemblea Generale Straordinaria del 2014 e l’Assemblea Generale Ordinaria del 2015, dedicate a raccogliere e ad affrontare «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Nel tentativo di offrire una chiave di lettura delle molteplici questioni che appaiono all'agenda del duplice Sinodo, prendiamo spunto dalla sfida che, in ambito più strettamente ecclesiale, il Documento preparatorio invita soprattutto a considerare, quella dell'«indebolimento o abbandono della fede nella sacramentalità del matrimonio».
I. INQUADRATURA
1. La sfida pastorale
Il giudizio cristiano sull'epoca presente ha oggi ancora, come sempre, il suo criterio nel vangelo di Gesù, il quale invita a scrutare il mondo come il campo nel quale il grano cresce insieme alla zizzania (cf Mt 13,24-36-43). Se dunque, guardando all'attuale mondo dei legami coniugali e familiari si è colpiti, di primo acchito, dal loro scompiglio, è opportuno non limitarsi a ribadire la dottrina e a condannare la prassi. Si tratta, piuttosto, meglio corrispondendo all'annuncio evangelico, di cogliere il bene che lo Spirito va seminando nelle attuali vicende matrimoniali e familiari, favorendone la crescita. È questa la sfida pastorale che da sempre la Chiesa è chiamata a raccogliere e che, oggi ancora, le si ripropone, nel contesto di un'epoca in cui il matrimonio indissolubile, anche tra i credenti, appare in crisi.
2. Il dinamismo della Tradizione
L'incedere della Chiesa, in obbedienza allo Spirito, ha certo un suo irrinunciabile criterio in ciò che la Tradizione, ancorata alla sacra Scrittura e confermata dal Magistero, ha sinora riconosciuto come corrispondente alla Rivelazione, ragione per cui ogni eventuale sviluppo della dottrina e ogni cambiamento della disciplina circa il matrimonio cristiano non potrà contraddire quanto è stato tramandato. La continuità nella trasmissione del depositum fidei non coincide peraltro con la fissità dottrinale e disciplinare, poiché la Tradizione non vale in se stessa, ma in quanto progredisce «sotto l'assistenza dello Spirito santo». Se dunque il decorso della Tradizione non prevede soluzioni di continuità rispetto al suo precedente scorrere, nemmeno ammette il congelamento del suo susseguente fluire.
Le questioni emergenti nella vita della Chiesa, in ogni nuova epoca della storia, se per un verso trovano nella precedente Tradizione un imprescindibile criterio di discernimento, per altro verso ne sollecitano lo sviluppo ulteriore, il quale – se è tale – né comporta contraddizione con il passato, né consiste nella sua mera riproposizione. Ciò fa sì che le attuali sfide pastorali sulla famiglia non siano affrontabili cercando nel solo passato dottrinale e disciplinare la loro soluzione, ma esigano una verifica delle soluzioni passate in rapporto al presente e richiedano il loro eventuale sviluppo in obbedienza a ciò che lo Spirito va oggi dicendo alla Chiesa, attraverso i segni dei tempi.
3. Il rinnovamento conciliare
La Chiesa contemporanea gode di un evento che anche dal punto di vista della dottrina matrimoniale si presenta come un decisivo tornante nella comprensione della Verità rivelata: si tratta del concilio Vaticano II, sul quale la prossima navigazione della Chiesa può contare come su di una «sicura bussola».
La definizione più importante che attesta la rinnovata comprensione della dottrina matrimoniale apre il n. 48 di Gaudium et Spes, ove l’essenza del matrimonio è colta nella «intima comunità di vita e d'amore coniugale». La qualità esistenziale e amorosa di ciò che s’intende per matrimonio viene evidenziata considerandone il fondamento, ovvero il «patto coniugale». Il termine «patto», oltre che superare una concezione ristrettamente giuridica del matrimonio quale «contratto», evoca l’alleanza biblica, la quale assurge così a criterio per comprendere e valutare la qualità della comunione coniugale. «Come un tempo Dio ha preso l’iniziativa di un’alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione». La qualità dell’amore matrimoniale è più chiaramente specificata dal concilio Vaticano II in riferimento al «come» dell’amore di Cristo per la Chiesa.
II. MESSA A FUOCO
L’amore cristiano, ovvero l’amore che ha nel «come» Cristo ha amato la sua peculiarità, rappresenta il nuovo traguardo che la Tradizione ecclesiale ha raggiunto nel suo incessante tendere alla comprensione della verità dell'amore matrimoniale. Questo nuovo traguardo consente una comprensione più profonda di ciò che Cristo ha annunciato a riguardo della sacramentalità e dell'indissolubilità del matrimonio.
1. Il vangelo di Gesù
Il principio con cui Gesù sigla il suo discorso sul matrimonio – «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 6,9) –invita a riconoscere che «il matrimonio non è solo un’unione umana arbitraria, ma un risultato dell’agire divino».
La migliore interpretazione dell'agire di Dio deve però riconoscere la sua natura "cristica", dato che quando il Creatore «li fece maschio e femmina», le sue mani imprimevano nell’uomo e nella donna la fisionomia di Cristo. Anch’essi, infatti come «tutte le cose», sono stati creati «per mezzo di lui». Ora, poiché ciò che è stato creato «per mezzo di lui», lo è pure «in vista di lui» (Col 1,16), anche l’uomo e la donna non sono congiunti da Dio senza Cristo. Il divenire «una carne sola» non è l’esito della loro diretta unione, ma l’effetto dell’unione che Cristo realizza con ciascuno dei due.
Il matrimonio cristiano non è il legame amoroso che un uomo e una donna stabiliscono in proprio, ma il legame tra un uomo e una donna che sorge a causa dell’amore di Cristo. Ciò che Dio congiunge indissolubilmente, sicché «non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,8), e che dunque è inseparabile dall’uomo, non sono immediatamente un uomo e una donna, pur innamorati, ma un uomo e una donna che si amano in Cristo, che cioè, pur con tutto il realismo di chi rimane debole e peccatore, fanno del «come» Cristo ha amato il criterio ispiratore e la forza vitale della loro relazione amorosa.
2. Il matrimonio come vocazione cristiana
La rinnovata comprensione evangelica del matrimonio invita a considerarlo non semplicemente come uno stato di vita naturalmente buono, in quanto voluto da Dio, ma a qualificarlo come una forma specifica della vocazione cristiana, dono di grazia e, insieme, realtà di fede. Il riconoscimento del matrimonio cristiano come vocazione cristiana lascia chiaramente intendere la decisiva rilevanza, in ordine alla stessa vitalità dell'amore matrimoniale, di una «fede viva».
Ma proprio l'esigenza di una fede vissuta nel contatto vivo con Cristo solleva l'interrogativo circa la (in)sufficienza della fede dei cristiani rispetto alla loro vocazione matrimoniale. È proprio tenendo conto di questo divario che la disciplina pastorale della Chiesa, fedele alla verità del sacramento del matrimonio, ma anche all'attuale condizione dei cristiani che sono chiamati a viverlo, è sfidata ad aggiornarsi.
III. PROSPETTIVE
1. L'accesso al matrimonio cristiano
Lo scarto tra la dottrina conciliare della Chiesa circa il sacramento del matrimonio e la diffusa crisi dei matrimoni sollecita a fuoriuscire da una comprensione acritica del principio canonico secondo il quale «tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento».
Il presupposto implicito, ma decisivo, del sopracitato principio canonico è che i battezzati contraenti il matrimonio abbiano corrisposto alle condizioni richieste come necessarie per la valida celebrazione del loro battesimo. Ora, «affinché un adulto possa essere battezzato – recita il Codice di Diritto Canonico – è necessario che abbia manifestato la volontà di ricevere il battesimo, sia sufficientemente istruito nelle verità della fede e sui doveri cristiani e sia provato nella vita cristiana per mezzo del catecumenato; sia anche esortato a pentirsi dei propri peccati» (can. 865 § 1).
Tenendo conto di queste condizioni, l’accesso al matrimonio sacramentale richiede ai nubendi una sufficiente vitalità della fede battesimale, la quale potrebbe essere più adeguatamente verificata e meglio maturare lungo il corso di un itinerario disteso e graduale, ispirato ai momenti del catecumenato battesimale.
2. La validità (nullità) del matrimonio
Fatta salva l'efficacia del diritto canonico nel verificare la validità o la nullità del matrimonio sacramentale in svariati casi, resta il fatto che il sacramento del matrimonio, in quanto realtà di grazia e di fede, eccede la legge canonica e non può essere adeguatamente valutato sulla sola sua base.
Il recente sviluppo dottrinale sul matrimonio, valicando la concezione ristrettamente giuridica e naturale del «contratto» per addivenire a quella più personalistica e cristiana del «patto», invita quanto meno ad integrare la competenza canonica con quella più propriamente pastorale, relativa al (carente) cammino di fede degli interessati e al discernimento della sua (negativa) incidenza sul consenso al bonum coniugum necessario alla validità del sacramento del matrimonio. Vi è chi, in tal senso, auspica la creazione di un nuovo organismo ecclesiale, di carattere interdisciplinare, che permetta di giungere a quel tipo di certezza morale che, più della certezza giuridica, attiene alla realtà interpersonale e religiosa del matrimonio cristiano.
3. La cura dei matrimoni feriti
Concepito come forma specifica della vocazione cristiana, il matrimonio cristiano è un «tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,7), non dunque definitivamente al riparo dalla prova e dal fallimento.
L'annuncio della misericordia rispetto al fallimento dei matrimoni ha ispirato la recente disciplina della Chiesa, fissata a partire soprattutto dall'esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio e poi riproposta con insistenza nei successivi pronunciamenti magisteriali. Il sorprendente pontificato di Francesco, con la sua subitanea indizione dei due Sinodi sulla famiglia, invita tuttavia a riprendere la questione, sempre ricorrente, peraltro, nella storia della Chiesa.
3.1 Indissolubilità e fallimento del matrimonio
A fronte del fallimento di un matrimonio sacramentale, sembra opportuno che la Chiesa distingua il suo giudizio, tenendo conto che la sua competenza sui sacramenti in quanto atti di Cristo non è equivalente alla sua competenza sui sacramenti in quanto atti dei fedeli.
Il fallimento irreversibile della convivenza matrimoniale non esige che la Chiesa si pronunci sull'indissolubilità del vincolo sacramentale in quanto realtà oggettiva dovuta alla grazia di Cristo, e d'altra parte ammette l'intervento della Chiesa nel constatare che l'indissolubile unità del matrimonio, a causa del decorso della vita coniugale, è ormai indisponibile ai coniugi.
3.2 L'esclusione di nuove nozze sacramentali
«Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte»: l'esclusione di ogni potestà sui matrimoni rati e consumati impedisce alla Chiesa di sciogliere un matrimonio sacramentale e a fortiori di ammettere i coniugi, pur irreversibilmente separati, alla celebrazione di nuove nozze sacramentali con altra persona.
L'impossibilità di riconoscere come sacramento la nuova unione dei fedeli divorziati risposati non sembra escludere che si possa riconoscere la qualità, anche cristiana e quindi ecclesiale, della loro unione. Rilevante, sotto questo profilo, è la dichiarata appartenenza e partecipazione alla vita della Chiesa, al «corpo di Cristo» quindi, dei fedeli divorziati risposati, ciò che non può essere cristianamente concepito se non come suscitato e sostenuto dalla grazia del suo Spirito.
3.3 L'ammissione ai sacramenti
La principale ragione addotta dal magistero della Chiesa di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati consiste nel fatto che «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’eucaristia» (FC 84). Titolo di applicazione dell’attuale disciplina non è propriamente la condizione soggettiva dei singoli divorziati risposati, ma la loro situazione oggettivamente considerata, il rilievo pubblico della loro situazione.
Se l'accesso ai sacramenti è oggi escluso per ragioni di carattere canonico e non propriamente morale, ovvero di testimonianza ecclesiale più che non di peccaminosità personale, sorge l'interrogativo circa la misericordia di una disciplina che in nome dell'oggettività dottrinale escluda la personale comunione sacramentale con Cristo.
L'interrogativo si acuisce per via del numero, già vasto e ancora in crescendo, del numero di cristiani cattolici che, a causa dell'irregolarità canonica della loro situazione matrimoniale, non sono ammessi ai sacramenti. L'insistenza del Magistero della Chiesa nel ricordare che la vita cristiana non si riduce alla vita sacramentale è certo pertinente, sennonché non è esente dal rischio di relativizzare la pratica sacramentale, la quale costituisce, invece, la fonte e il culmine della vita cristiana.
Vi è poi un altro motivo di non poco conto per riconsiderare l’inammissibilità dei fedeli divorziati risposati ai sacramenti, ed è il fatto che «nell’attuale contesto molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti». In che modo questo dato di fatto si compone con la responsabilità che la Chiesa riconosce e affida alla famiglia proprio in ordine alla trasmissione della fede?
3.4 Il discernimento ecclesiale dell'ammissione
L'accesso ai sacramenti non è mai riducibile al rapporto individuale con Dio, ma implica sempre una dimensione ecclesiale, a motivo della quale la parola della Chiesa è, oltre che legittima, dovuta. L’accesso ai sacramenti non può dunque essere demandato alla sola coscienza personale dei fedeli divorziati risposati e deve essere piuttosto valutato nel dialogo pastorale inteso come luogo di discernimento autenticamente ecclesiale, ove, cioè, i dettami della coscienza personale vengono sottoposti al vaglio e alla conferma della Chiesa.
3.5 Il riconoscimento ecclesiale delle nuove unioni
La prospettazione di un discernimento ecclesiale circa la partecipazione sacramentale dei fedeli divorziati risposati alla vita della Chiesa invita a considerare l’eventualità del riconoscimento della loro nuova unione, che pur prescinda, nella sostanza e nella forma, da un nuovo sacramento del matrimonio.
Senza transigere, anche a livello rituale, sul fatto che una nuova unione non può avere il carattere proprio del sacramento del matrimonio, sembrerebbe opportuno prevedere una forma di riconoscimento ecclesiale che esprima l'affidamento a Dio, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), della vicenda coniugale e familiare dei fedeli divorziati risposati.
Escludendo il sacramento del matrimonio per i fedeli divorziati risposati, la Chiesa mantiene fede alla dottrina dell'indissolubilità del matrimonio cristiano che, stante la sua validità, non ammette un altro sacramento del matrimonio. Affidando la nuova unione alla misericordia e alla benevolenza di Dio, la Chiesa ovvierebbe a quella sorta di ambiguità dell'attuale disciplina che, da un lato, sollecita la cura pastorale delle nuove unioni affinché sperimentino «l’amore di Cristo e la vicinanza materna della Chiesa» e, d'altro lato, continua a qualificarle come «situazioni matrimoniali irregolari».
Tutt'altro che destinatario passivo di ciò che il Magistero insegna e la teologia argomenta, il popolo dei fedeli è nella Chiesa soggetto vivente e attivo che, grazie al sensus fidei, «ha fiuto – direbbe papa Francesco – nel trovare nuove vie per il cammino».
Non è detto, e anzi la storia recente della Chiesa sembra proprio darne prova, che il discernimento del sensus fidei fidelium e delle nuove vie della pastorale matrimoniale e familiare, in un'epoca di così profonde trasformazioni sociali e culturali, sia semplice e immediato. È più realistico aspettarsi che comporti difficoltà, anche qualche conflitto, e richieda comunque tempo, ragioni per cui, a fronte delle attuali sfide i fedeli in generale, i teologi e il Magistero, nel giocare tutti i loro insostituibili ruoli, dovranno evitare di contrapporsi nei due fronti della verità dottrinale senza misericordia pastorale e della misericordia pastorale senza verità dottrinale, dando «prova di pazienza e di rispetto nei loro mutui rapporti». Solo così potranno «pervenire a chiarire il sensus fidei e a realizzare un vero consensus fidelium», cum et sub Petro.
* Docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Il libro
http://www.queriniana.it/libro/il-tesoro-e-la-creta/2036
[1] Negando così la logica paolina dell’amare le mogli
“come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5,25)
per seguire la logica del mondo dove i governanti e i capi dominano su di esse
e le opprimono (cfr. Mc 10,42).
[2] Pensiamo alla parabola del campo nel quale il grano
cresce insieme alla zizzania (cfr. Mt13,24-43). La prima considerazione (del
cardinal Scola) è che ci si concentra sulla zizzania e ci si dimentica che
all’origine c’è “il buon seme”, inoltrandosi così “sui sentieri della condanna,
del lamento e del risentimento” (A. Scola, Il
campo è il mondo, ITL 2013, p.23).
[3] D. Tettamanzi, Il
Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Lettera agli sposi in situazione di
separazione, divorzio e nuova unione, Centro Ambrosiano 2008, p.16.
[5] Cfr. la clausola matteana della “porneia” e il
“privilegio paolino” sull’invalidità del matrimonio di un credente con un non
credente. A questi il medioevo aggiunge il “privilegio petrino” che attribuisce
al papa la potestà di sciogliere un matrimonio rato, ma non consumato.
[6] L’autore nota come tale codificazione del matrimonio
appartenga non al tradizionale insegnamento del magistero, piuttosto al
pensiero del card. Gasparri, allora Segretario di Stato, rintracciabili nel suo
influente Tractatus canonicus de matrimonio.
[7] J. Ratzinger,
Introduzione, in Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati.
Documenti, commenti e studi, LEV, 1998, 7-29, qui 22. Gli fa eco il card. Kasper che afferma: “Come spesso accade, sui dettagli storici di
simili questioni ci sono controversie tra gli esperti. Nelle sue decisioni, la
chiesa non può fissarsi sull’una o sull’altra posizione” (W. Kasper, Il
vangelo della famiglia, cit., p.49.
[9] M. Aliotta, La
chiesa e i “legami spezzati”: storia e attualità, in Credere Oggi, 136 (4/2003) 65-73, qui 65.
[11] J. Ratzinger, Introduzione,
cit., p.27. Cfr. anche A. Valsecchi, Nuove
vie dell’etica sessuale. Discorso ai cristiani, Queriniana (n.62), 1972,
1989, pp.88-115. e J.S. Botero, Vivere la
verità nell’amore. Fondamenti e orientamenti per un’etica coniugale,
Dehoniane, 1999, pp. 7-74.
[14] Da notare la reciprocità uomo/donna introdotta da Gesù
e l’ampliamento del detto, forse successivo, che sembra mitigare l’insegnamento
di Gesù: se ne sposa un altro/a. Quindi “proibite sarebbero solo le nuove
nozze, mentre il divorzio manterrebbe la sua legittimità” (p.62). Tale
“adattamento pastorale” risulta ancora più evidente con l’introduzione della
“clausola matteana” che parla dell’unione illegittima (porneia) in 5,12 e 19,9.
Cosa si intenda per unione illegittima (porneia) non è chiaro e tante sono le
ipotesi espresse (la più accreditata parla di incesto). Cfr anche G. Leonardi,
Amore reciproco e indissolubile tra gli
sposi. L’ideale di Gesù e i primi adattamenti pastorali, in Credere Oggi 23 (4/2003) 23-37.
[20] F. Hadjadj, Mistica
della carne. La profondità dei sessi, Medusa 2009, p.189. Il riferimento è
anche al celebre brano di Matteo (22,24-30)
[21] L’autore ricorda inoltre come nel Codice di diritto canonico del 1917 i fedeli divorziati e risposati
con rito civile, oltre che definiti “bigami” e “ipso facto infami”, potevano, a seconda della gravità della colpa,
essere colpiti da scomunica o da interdizione personale (cfr. can.2356). Il Codice di diritto canonico del 1983
lascia cadere tali definizioni e gravi punizioni, raccogliendo e promuovendo il
“tono nuovo” che contraddistingue il magistero pontificio a seguito del
concilio Vaticano II.
[25] Da La Repubblica dell’8/12/2014: traduzione di un’intervista di Elisabetta
Piqué a papa Francesco pubblicata su La nacion.
[28] Per “peccato grave” si intende il peccato mortale che
ha per oggetto una materia grave e
che viene commesso con piena
consapevolezza e deliberato consenso.
L’assenza di uno dei tre elementi determina il passaggio da peccato mortale a
quello veniale.
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