domenica 17 febbraio 2013

Fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture. L'immortalità

Dal libro:  
Credo... il simbolo della fede. 
di Alexander Shmemann pagine 92-106, Ediz. LIPA 
 
11. Fu sepolto

Immediatamente dopo aver confessato che Cristo patì e fu crocifisso, il Credo afferma anche: “fu sepolto”. Di nuovo, istintivamente ci chiediamo: perché impiegare questa espressione e non che “è morto”? La sepoltura ovviamente presuppone la morte: eppure non a caso la Chiesa non ricorda la morte di Cristo, ma la sua sepoltura, nell’enumerare quegli eventi della vita di Cristo e del suo ministero nei quali e attraverso i quali essa crede che si sia compiuta e si compia eternamente la salvezza del mondo e dell’uomo. Perciò, rispondendo a questa domanda sul senso della parola “sepolto”, tocchiamo qualcosa di estrema importanza, che è al cuore stesso della fede cristiana.

Possiamo dire così: la morte e il morire sono collegati ancora alla nostra vita terrena, alla vita visibile, sono la sua fine e il suo compimento. La morte, come fenomeno biologico, è una realtà evidente e indiscutibile sia per coloro che credono in ciò che si chiama “vita oltre la morte” che per coloro che non vi credono affatto. Mentre il momento della sepoltura riguarda già non il momento della morte, ma quello che viene dopo. Tocca il suo significato per coloro che lo compiono, che cosa credono. Per gli uni è un rituale di separazione definitiva, il riconoscimento della definitività della morte come fine assoluta, come ritorno dell’uomo al non-essere da cui è uscito per qualche ragione e al quale inesorabilmente ritorna. Si può gestire tale separazione in modo più o meno solenne, abbellirla con fiori e discorsi, ma ciò non cambia niente al sentimento di disperazione e di assurdo che si insinua in questa cerimonia funebre: un uomo viveva e ora non c’è più. Tutto è finito. Per altri, la sepoltura esprime la loro fede nella continuazione della vita oltre la tomba. Nelle antiche culture pagane, si mettevano nel sepolcro del defunto del cibo, delle armi..., talvolta si uccideva persino la moglie perché potesse restare con suo marito nella vita dopo la morte. Da lungo tempo abbiamo attribuito queste forme di sepoltura ad una ingenuità infantile, alla superstizione. Ma, in un modo o in un altro, la sepoltura resta sempre l’affermazione di una certa concezione della morte. Perciò la Chiesa nel suo Credo non parla della morte di Cristo, ma proprio della sua sepoltura. Inoltre, ogni anno, il giorno che precede la Pasqua, il giorno chiamato Santo e Grande Sabato, la Chiesa rinnova questa sepoltura, rivelando in tal modo sempre di nuovo ciò che si è compiuto con la morte di Gesù Cristo, quando Egli, il Figlio di Dio, ha accettato la morte, è disceso in essa, è stato immerso in essa.

Quando, dopo le tenebre del Venerdì santo. giorno della crocifissione e della morte di Gesù, giorno della manifestazione di tutte le potenze del male che si abbattono su di Lui, entriamo nel Sabato, viene allestito in mezzo alla chiesa Pepitaphion, cioè un sepolcro sul quale è collocato un sudario dove è rappresentato Cristo morto. Chiunque abbia fatto esperienza insieme agli altri fedeli, fosse anche una sola volta, di questo giorno unico nella sua profondità, nella sua luce, nel suo bianco silenzio, sa - non in modo intellettuale, ma con tutto il suo essere - che da questa tomba, testimone come ogni tomba del trionfo e dell’invincibilità della morte comincia allora a irradiarsi un chiarore quasi visibile, palpabile, ed essa inizia a trasformarsi, come canta la Chiesa, in “tomba vivificante”.(2 Questa, come le espressioni successive, appartengono agli uffici del Sabato santo nel rito bizantino). Si, è proprio come se la morte avesse trionfato nell'immobilità di questo corpo morto, in questo uomo senza vita. Tutto è compiuto, tutto è consumato. Ma il significato, la profondità, l’incomparabile bellezza di questo ufficio senza eguali deriva dal fatto che, mentre è celebrato presso una tomba, attorno a un morto, contempla e rivela la novità senza precedenti della morte unica di questo uomo unico. “O vita, come muori? come dimori in una tomba?”. Ecco la domanda che rivolgiamo a Cristo mentre giace nella tomba. E gradualmente è data la risposta. Al pianto, allo sconcerto, alla disperazione di sua Madre, del mondo, di tutta la creazione, è come se la risposta di Cristo risuonasse negli straordinari inni di questo

giorno: “Madre, non comprendi, non comprendete voi tutti? - sembra dire Cristo. Avevo due amici sulla terrai Adamo ed Eva. E quando venni verso di loro non li trovai sulla terra che avevo loro donato. Ma siccome li amavo, sono disceso là dove erano: nelle tenebre, nel terrore e nella disperazione della morte”. Si, tutto questo è espresso, detto, cantato nella lingua dei bambini, in immagini, in simboli quasi usciti da un racconto. l\/la come mostrare altri- menti la straordinaria novità di ciò che si è compiuto? Colui che il Vangelo chiama “vita” - “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4) -, Colui che è la vita stessa, per amore e compassione scende nella morte che Egli non aveva creato, ma che si è impadronita del mondo ed ha avvelenato la vita. La morte inghiottisce la vita, ma ecco, nella morte di Cristo, si trova essa stessa assorbita dalla vita. Nelle tenebre e nell'ombra della morte, nella solitudine e nel terrore della morte, comincia a brillare una luce. La Chiesa canta: “Dorme la vita, l’Ade trema”.

Durante il mattutino del Sabato santo, mentre è ancora completamente buio, si porta in processione l’epífaphion attorno alla chiesa. Ed ecco, quello che si sente non sono più i lamenti per un morto, ma è un canto di vittoria a risuonare: “Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale!”. Cristo avanza nel regno dei morti, annunciando a coloro che sono prigionieri della morte che il suo regno è giunto alla fine.

Da ora in poi ogni morte, per quanto spaventosa, triste, desolante sia, è vinta dal di dentro perché Cristo l’ha assunta, sofferta e annientata in se stesso. “La morte è stata ingoiata per la vittoria” (1Cor 15, 54), esclama l’apostolo Paolo. Allo stesso modo, da- vanti alla tomba di ogni defunto, noi cantiamo la trasformazione “del nostro lamento funebre in can- to trionfante, alleluia!”.(3 ikos del tono 8 della pannichidia, l'ufficio funebre nel rito bizantino.)

“Fu sepolto...”. Questo significa che Cristo ha accettato la morte come suo destino personale e l’ha ricolmata di amore, e perciò di vita; di fede, e perciò di vita; di speranza, e perciò di vita. “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1Cor 15,55).

La morte e il morire aspettano tutti noi. Ma, confessando il Credo, la Chiesa afferma che nella morte noi incontriamo Cristo, e che Egli ha trasformato la nostra morte in un incontro con Lui sulla soglia della risurrezione.

12. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture

Dopo la croce e la discesa agli inferi, ecco la risurrezione dai morti. Si tratta dell'affermazione fondamentale, più essenziale, decisiva del Credo. In effetti, “se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra fede” (1Cor 15,14): sono parole dell'apostolo Paolo che rimangono fondamentali fino ad oggi la fede cristiana. Il cristianesimo è prima di tutto la fede che Cristo non è rimasto nella tomba,che la vita è sorta dalla morte e che nella risurrezione di Cristo dai morti la legge universale, assoluta e senza eccezioni del morire e della morte è esplosa da dentro ed è stata vinta.

La risurrezione di Cristo costituisce dunque il nucleo stesso della fede cristiana, della Buona Notizia del cristianesimo. Eppure, per quanto strano possa sembrare, nella vita concreta del cristianesimo contemporaneo e dei singoli cristiani, la fede nella risurrezione occupa un posto ben marginale... Questa fede si è offuscata, così che il cristiano di oggi, senza rendersene conto e senza negare la risurrezione, sembra tuttavia farne a meno, non vive piú di essa, come facevano i primi cristiani. Si, se va in chiesa, ascolta evidentemente queste esultanti affermazioni che risuonano durante gli uffici: “con la morte ha vinto la morte”,(4 Tropario del tempo di Pasqua), “la morte è stata ingoiata per la vittoria” (1Cor 15,54), “regna la vita , o ancora “non c'è più nessun morto nei sepolcri”. (Questa e la citazione precedente sono espressioni della Catechesi di san Giovanni Crisostomo che si proclama all'orthros della Grande Domenica di Pasqua nel rito bizantino e che sarà di nuovo citata più avanti.)

Ma domandategli quello che pensa realmente della morte. E spesso, purtroppo troppo spesso, sentirete nel migliore dei casi delle affermazioni vaghe, ancora precristiane, sull’immortalità dell’anima e su una sua qualche specie di vita oltre la morte. Nel peggiore dei casi c’è semplicemente confusione e ignoranza: “Io, sa, non ho mai approfondito seriamente questo”. Si, eppure è assolutamente necessario riflettere su “questo”, perché, tutto il cristianesimo è fondato sul credere o non credere, non semplicemente nell’immortalità dell’anima”, ma precisamente nella risurrezione, la risurrezione di Cristo e la nostra “risurrezione universale” alla fine dei tempi. Se Cristo non è risorto, il Vangelo è una menzogna, la piú spaventosa delle menzogne. Ma se Cristo è risorto, allora tutte le nostre spiegazioni e concezioni precristiane sull’immortalità dell’anima” devono essere radicalmente riviste, o piuttosto devono semplicemente essere messe da parte. Il problema della morte è allora posto sotto una luce radicalmente nuova. Perché la risurrezione suppone prima di tutto una relazione con la morte, una comprensione della morte totalmente diversa dalle visioni religiose abituali, e in un certo senso è loro diametralmente opposta.

Detto francamente, la credenza classica nell’immortalità dell'anima esclude ogni fede nella risurrezione.

La risurrezione infatti - e qui sta la radice di tutto - include non solo l’anima, ma anche il corpo. Anche una semplice lettura del Vangelo non lascia alcun dubbio su questo. Secondo il Vangelo, alla vista di Cristo risorto, gli apostoli pensavano di vedere un fantasma, un'apparizione. Così il primo atto di Cristo risorto fu di mostrar loro la realtà del suo corpo, di farla loro sentire. Egli prende dunque del cibo e lo mangia davanti a loro. E invita Tommaso, che dubitava, a toccare il suo corpo con le dita per assicurarsi della sua risurrezione. E quando gli apostoli credettero, fu proprio questa proclamazione della risurrezione, della sua realtà, della sua “corporalità”, a diventare il contenuto, la forza e la gioia principale della loro predicazione. Il sacramento principale della Chiesa consiste nella comunione al pane e al vino come corpo e sangue del Signore risorto e, con questo atto, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione” (cf 1Cor 11,26).

Coloro che si convertono al cristianesimo non si convertono per delle idee o dei principi, ma accolgono questa fede nella risurrezione, questa esperienza e conoscenza del Maestro risorto. Inoltre, accettando questa fede, accettano anche la fede nella risurrezione universale, il che significa la fede nel superamento, nella distruzione, nell’abbattimento totale della morte, come scopo ultimo del mondo.

“L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Cor 15,26), esclama san Paolo in un’estasi spirituale. E ogni anno, nel corso della notte pasquale, esclamiamo: “Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? E risorto il Cristo, e non c'è più nessun morto nei sepolcri; è risorto il Cristo, e regna la vita!”.

Cosi, accettare o rigettare Cristo e il cristianesimo significa essenzialmente accettare o rigettare la fede nella sua risurrezione, il che significa, per parlare in termini religiosi, che nella sua risurrezione sono riuniti l’anima e il corpo, mentre la loro separazione, la loro dissociazione rappresenta la morte.

Non è necessario parlare di coloro che rigettano la risurrezione di Cristo per la semplice ragione che rigettano l’esistenza stessa di Dio, cioè in altre parole di coloro che sono - o che pensano di esserlo - atei convinti. La discussione con loro si situa evidentemente ad un altro livello. Ciò che è molto più significativo è il particolare “offuscamento” della fede nella risurrezione tra i credenti stessi, curiosamente capaci di combinare la gioiosa celebrazione pasquale con ciò che in realtà è una negazione, anche se spesso inconscia, della risurrezione di Cristo.

Durante il periodo della cristianità, c’è stato un ritorno per così dire a una concezione precristiana della morte, dove essa si identificava soprattutto con una “legge naturale”, cioè con un fenomeno intrinseco alla natura con il quale ci si doveva riconciliare", che era necessario accettare, anche se si trattava di qualcosa di terribile. Di fatti, tutte le religioni non cristiane, tutte le religioni naturali, tutte le filosofie cercano essenzialmente di riconciliarci con la morte, sforzandosi di mostrarci il principio di una vita immortale, dell'immortalità dell'anima in qualche altro mondo oltre la tomba. E certo, se la morte - come insegnano ad esempio Platone e un gran numero di suoi seguaci - è questa desiderata liberazione dell'anima dal corpo, allora la fede nella risurrezione dei corpi diventa non solo inutile e incomprensibile, ma semplicemente menzognera, erronea.

Per cogliere il senso della fede cristiana nella risurrezione, bisogna allora cominciare anzitutto non dalla risurrezione, ma dal corpo e dalla morte e dal loro significato dal punto di vista cristiano. È qui che troviamo la radice del malinteso che esiste anche dentro al cristianesimo stesso.

13. L'immortalità

La coscienza religiosa percepisce la risurrezione di Cristo anzitutto come un miracolo, e questo è vero. Ma, nel comune modo di pensare, questo miracolo rimane “unico”, qualcosa che si riferisce solo a Cristo. Pertanto, nella misura in cui noi riconosciamo che Cristo è Dio, il miracolo cessa di essere tale: perché Dio è onnipotente e a Lui tutto è possibile. E, naturalmente, nonostante tutto il significato che riveste la morte di Cristo, la forza del suo potere divino non gli avrebbe permesso di rimanere nella tomba. Il problema di questo punto di vista è che si tratta solo di un aspetto di come i cristiani hanno capito la risurrezione di Cristo fin dagli inizi. La gioia dei primi cristiani, questa gioia che si perpetua fino ad oggi nella Chiesa, nella sua liturgia, nei suoi inni, nelle sue preghiere, e soprattutto nella straordinaria e incomparabile celebrazione della festa pasquale, consiste nel fatto che non separa la risurrezione di Cristo dalla “risurrezione universale”, che ingloba tutta l’umanità e che è già cominciata con la risurrezione di Cristo.

Una settimana prima di Pasqua, celebrando la risurrezione che Cristo opera del suo amico Lazzaro, la Chiesa afferma con gioia e solennità che questo miracolo è “conferma della nostra comune risurrezione”. l\/la ora, nella coscienza dei credenti, la fede nella risurrezione di Cristo e la fede nella risurrezione universale che Egli ha inaugurato sono, per così dire, dissociate. La fede nella risurrezione di Cristo dai morti, la risurrezione del suo corpo, che Egli chiama lo scettico Tommaso a toccare - “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente” (Gv 20,27) - questa fede è rimasta intatta. Ma il nostro destino finale e la nostra sorte dopo la morte hanno cessato a poco a poco di essere compresi alla luce della risurrezione di Cristo e in relazione ad essa.

Quando parliamo di Cristo, noi affermiamo che Egli è risorto, ma per ciò che ci riguarda parliamo piuttosto di immortalità dell'anima, nella quale, ben prima della venuta di Cristo, credevano già i greci e gli ebrei e che fino ai nostri giorni è il credo comune di tutte le religioni senza eccezione. Per quanto strano possa sembrare, si tratta anche di un credo per il quale la risurrezione di Cristo è semplicemente inutile.

Che cosa ha causato questo strano divorzio? La causa sta nella nostra concezione della morte, o più precisamente nella nostra concezione della morte come separazione dell'anima e del corpo. Ogni “religiosità” precristiana e non cristiana invita a considerare la separazione dell’anima e del corpo non solo come “naturale”, ma anche come “positiva”: l’anima si libera da un corpo che le impedisce di essere spirituale, celeste, pura e beata. Poiché nell’esperienza umana il male, la malattia, le sofferenze, le passioni vengono dal corpo, il senso e lo scopo della religione e della vita religiosa consisterebbero naturalmente nel liberare l’anima da questa “prigione” corporale, una liberazione che raggiunge la sua pienezza proprio con la morte.

Tuttavia, bisogna sottolineare con tutta la forza possibile che questa concezione della morte non è cristiana, che addirittura è incompatibile con il cristianesimo e lo contraddice direttamente. Il cristianesimo proclama, afferma e insegna che la separazione dell’anima e del corpo - che è ciò che noi chiamiamo morte - è un male. Dio non l’ha creata. Questo è ciò che è entrato nel mondo e lo ha asservito in opposizione a Dio, violando il suo progetto, ciò che Egli voleva per il mondo, per l’uomo e per la vita. E questo è proprio ciò che Cristo è venuto a distruggere.

Ma, per comprendere - o piuttosto per percepire, per sentire -, la coscienza cristiana della morte, bisogna anzitutto dire qualche parola sul progetto divino, parzialmente svelato nelle Sacre Scritture e pienamente rivelato in Cristo, nel suo insegnamento, nella sua morte, nella sua risurrezione.

Detto in breve e semplificando, lo si può riassumere così: Dio ha creato l’uomo con un'anima e un corpo, cioè in altre parole l’ha creato come un essere allo stesso tempo spirituale e materiale. È questa riunione di spirito, anima e corpo che l’Antico Testamento e i Vangeli chiamano “uomo”.

L’uomo, così come Dio l’ha creato, è un corpo dotato di anima e uno spirito incarnato. Perciò ogni separazione di corpo e di anima - e non solo la loro ultima separazione nella morte, ma anche ogni violazione della loro unità prima della morte -, è un male, una catastrofe spirituale. Da qui che deriva la nostra fede nella salvezza del mondo grazie all’incarnazione di Dio, al fatto che Egli ha accettato di prendere un corpo di carne, un corpo nel pieno senso del termine, che ha bisogno di cibo, che conosce la fatica, che soffre. Così, la separazione dell’anima e del corpo nella morte pone una fine a ciò che nelle Scritture si chiama vita, cioè a questa unione psico-corporea in cui Dio ha insufflato lo spirito. No, l’uomo non sparisce nella morte, perché la creazione non ha il potere di sopprimere ciò che Dio ha chiamato dal non essere all’essere. Ma l’uomo nella morte affonda nelle tenebre della mancanza di vita e dell’impotenza, è consegnato alla disgregazione e alla corruzione, come dice l apostolo Paolo (cf Rm 8,21).

Vorrei ripetere e sottolineare ancora una volta che Dio non ha creato il mondo per questa separazione, per questa morte, per questa corruzione. Perciò il Vangelo proclama che “l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Cor 15,26). La risurrezione è la ricreazione del mondo nella sua bellezza e nella sua integrità originaria, è la spiritualizzazione assoluta della materia e l’incarnazione assoluta dello spirito nella creazione divina. Il mondo è dato all’uomo come sua vita e perciò, secondo l’insegnamento cristiano ortodosso, Dio non distruggerà il mondo, ma lo trasfigurerà in un “nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1), nel corpo spirituale dell’uomo, vero tempio della presenza e della gloria di Dio nella creazione.

“L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Cor 15,26). Questa distruzione, questo annientamento della morte è cominciato nel momento stesso in cui il Figlio di Dio, nel suo amore immortale per noi, è Lui stesso disceso volontariamente nella morte e ha riempito le sue tenebre, la sua disperazione, il suo orrore della sua luce e del suo amore. Ecco perché a Pasqua noi cantiamo non solo “Cristo è risorto dai morti”, ma anche “con la morte ha distrutto la morte”.

Solo Cristo è risorto dai morti, ma facendo così ha distrutto la nostra stessa morte, ha distrutto il suo dominio, la sua disperazione, la sua definitività. No, non è il nirvana, né una pallida vita oltre la tomba ciò che Cristo ci promette, ma un’eruzione di vita, un nuovo cielo, una nuova terra, la gioia della risurrezione universale. “I morti si alzeranno e coloro che sono nelle tenebre esulteranno” (cf Is 26,19).

Cristo è risorto e la vita regna, la vita vive. Ecco il senso, la gioia infinita dell’affermazione centrale ed essenziale del Credo: “Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”. Secondo le Scritture, cioè in accordo con quella esperienza della vita, con quel disegno per il mondo e per l’uomo, per l’anima e per il corpo, per lo spirito e per la materia, per la vita e per la morte che è rivelato nelle Sacre Scritture. In questa affermazione sulla risurrezione è contenuta tutta la fede, tutto l’amore, tutta la speranza del cristianesimo. Perciò, “se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede” (1 Cor 15,17).

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