domenica 3 marzo 2013

SACERDOZIO e CELIBATO


Il card. Ratzinger risponde a Peter Seewald nel libro-intervista Il Sale della terra (1996)

Perché esiste il celibato?
Esso è legato a una frase di Cristo: Ci sono coloro - si legge nel Vangelo - che per amore del regno dei cieli, rinunciano al matrimonio e, con tutta la loro esistenza, rendono testimonianza al regno dei cieli. La Chiesa è arrivata molto presto alla convinzione che essere sacerdoti significa dare questa testimonianza per il regno dei cieli. (…) Israele entra nella terra promessa, undici tribù ricevono ciascuna la propria porzione di territorio; solo la tribù di Levi, quella dei sacerdoti, non riceve territorio né eredità; la sua eredità è solo Dio. (…)
Dover morire senza figli, un tempo voleva dire aver vissuto senza scopo: una volta dispersa la traccia della mia vita, io sono morto del tutto. Se invece ho dei figli, continuerò a vivere in loro, grazie a una specie di immortalità, ottenuta attraverso la discendenza. (…) La rinuncia al matrimonio e alla famiglia è quindi da intendersi nella seguente prospettiva: rinuncio a ciò che per gli uomini non solo è l’aspetto più normale, ma il più importante. Rinuncio a generare io stesso vita dall’albero della vita, ad avere una terra in cui vivere e vivo con la fiducia che Dio è davvero la mia terra. Così rendo credibile anche agli altri che c’è un regno dei cieli. Non solo con le parole, ma con questo tipo di esistenza sono testimone di Gesù Cristo e del Vangelo e gli metto così a disposizione la mia vita. Il celibato ha dunque un significato contemporaneamente cristologico e apostolico. Non si tratta solo di risparmiare tempo - ho un po’ di tempo a disposizione perché non sono un padre di famiglia – il che sarebbe troppo banale e pragmatico. Si tratta di un’esistenza che punta tutto sulla carta di Dio, e tralascia proprio quanto normalmente rende matura e promettente un’esistenza umana.
D’altra parte qui non si tratta di un dogma. Il problema sarà forse, un giorno, aperto al dibattito, nel senso di una libera scelta tra una forma di vita celibataria e una non celibataria?
Si, certo, non si tratta di un dogma. È una consuetudine venutasi a creare assai presto nella Chiesa, a seguito di sicuri riferimenti biblici. (…) Non è un dogma, è un modo di vivere che è cresciuto nella Chiesa e che naturalmente comporta sempre il pericolo di una caduta. Penso che ciò che oggi irrita la gente nei confronti del celibato è che essa vede quanti preti non sono interiormente d’accordo e lo vivono ipocritamente, male, o non lo vivono affatto o solo con tormento e dicono……che distrugge gli uomini…Quanto più un’epoca è povera di fede, tanto più frequenti sono le cadute. Così il celibato perde di credibilità e il suo vero messaggio non viene alla luce. Si deve chiarire che i periodi di crisi del celibato corrispondono sempre a periodi di crisi del matrimonio. Infatti oggi non viviamo solo la crisi del celibato, lo stesso matrimonio viene sempre più messo in discussione come fondamento della nostra società. Nelle legislazioni degli Stati occidentali esso è sempre più messo allo stesso livello di altri stili di vita e viene così dissolto anche come forma giuridica. (…) In pratica, con l’abolizione del celibato assisteremmo solo alla nascita di un nuovo tipo di problematica, quella dei preti divorziati. La Chiesa evangelica conosce bene questo problema. (…) La conseguenza che ne trarrei, non è, però, di perdere la speranza e dire: “non ci riusciamo più”, ma dobbiamo tornare a credere, ad avere più fede. E, ovviamente, dobbiamo essere ancora più cauti nella scelta degli aspiranti sacerdoti. L’importante è che uno scelga davvero liberamente e non dica: “ si, voglio diventare prete, e allora mi carico anche di questo”, oppure; “in fondo le ragazze non mi interessano più di tanto, quindi non sarà un gran problema”. Questo non è un corretto punto di partenza. L’aspirante sacerdote deve riconoscere nella sua vita la forza della fede e deve sapere che solo in essa può vivere il celibato. Allora il celibato può diventare una testimonianza che dice qualcosa agli uomini e che riesce anche a dar loro coraggio in relazione al matrimonio. (…)Se una fedeltà non è più possibile, anche l’altra non ha più senso: l’una sostiene l’altra.Suppone quindi che esista una relazione tra la crisi del celibato e quella del matrimonio.In entrambi i casi la persona singola si trova di fronte al problema di una scelta di vita definitiva: a 25 anni posso già disporre di tutta la mia vita? C’è la possibilità di farcela, di crescere e di maturare in modo vivo oppure devo tenermi costantemente aperto per nuove possibilità? La domanda fondamentale è la seguente: può l’uomo prendere una decisione definitiva per quel che riguarda l’aspetto centrale della sua vita? (…) Al riguardo mi permetto due osservazioni: lo può solamente se è ancorato saldamente alla fede; secondo: solo in questo caso egli perviene alla piena dimensione dell’amore e della maturazione umana. (…)
Forse un giorno si arriverà ad aprire il dibattito circa la possibilità di una libera scelta? Libera deve esserlo in ogni caso. Infatti, prima dell’ordinazione si deve confermare con una promessa solenne che lo si fa e lo si vuole in tutta libertà. Ho sempre una brutta sensazione, quando in seguito si dice che si è trattato di un celibato forzato, che è stato imposto. Ciò va contro la parola che si è data all’inizio. Nell’educazione dei sacerdoti si deve far attenzione che questa promessa sia presa sul serio.
Questo è il primo punto. Il secondo è che dove vive la fede e nella misura in cui una Chiesa vive la fede, allora vien fuori anche la forza di sostenere queste scelte. (…) Naturalmente si tratta di una tragedia per una Chiesa, quando molti conducono, più o meno, una doppia vita. Non sarebbe, purtroppo, la prima volta che accade. Nel tardo medioevo abbiamo avuto una situazione simile, che poi fu una delle cause che portarono alla Riforma protestante. (…)
Ritorniamo ancora alla mia domanda: crede che i preti forse un giorno potranno scegliere liberamente tra una vita celibataria ed una non celibataria?(…)  La domanda è: quanto profondamente sono legati tra loro sacerdozio e celibato? La volontà di optare soltanto per uno solo dei due termini non implica già di per sé una minore considerazione del sacerdozio? Credo che su questo punto non ci si possa richiamare semplicemente alle Chiese ortodosse e alla cristianità protestante. Quest’ultima ha una visione completamente diversa del ministero: è una funzione, un servizio derivato dalla comunità, ma non è un sacramento, non è il sacerdozio in senso proprio. Nella Chiesa ortodossa, abbiamo, da un lato, la forma perfetta di sacerdozio, cioè i preti-monaci, gli unici che possono diventare vescovi. Accanto a loro ci sono i preti secolari che, se vogliono sposarsi, devono farlo prima della loro consacrazione; essi si occupano poco della cura delle anime, ma propriamente, sono solo ministri del culto. Per questo aspetto è quasi un’altra concezione di sacerdozio. Noi, invece, riteniamo che chiunque sia sacerdote, deve esserlo nella maniera di un vescovo e che non deve esistere una tale divisione. Nessuna consuetudine di vita della Chiesa deve essere interpretata come un assoluto, per quanto sia profondamente radicata e fondata. Sicuramente la Chiesa si dovrà porre ancora il problema, lo ha già fatto recentemente in due sinodi. Ma penso che a partire da tutta la storia della cristianità occidentale e anche dall’intima concezione che sta alla base di tutto ciò, la Chiesa non deve credere di ottenere molto orientandosi verso la dissociazione di sacerdozio e celibato; se lo facesse, finirebbe comunque per perdere qualcosa.Si può quindi concludere che Lei non crede che un giorno ci saranno preti sposati nella Chiesa cattolica?Comunque non in un futuro prevedibile. Per essere sincero, devo dire che abbiamo già dei preti sposati, arrivati a noi come convertiti dalla Chiesa anglicana o da diverse comunità evangeliche. Quindi, in casi eccezionali, questo è possibile, ma si tratta, appunto, di eccezioni. E penso che anche in futuro rimarranno tali.
Ma l’obbligo del celibato non dovrebbe venire meno, anche solo in considerazione del fatto che la Chiesa, diversamente, non avrà più preti?
Non credo che quest’argomento sia veramente adeguato. Il problema delle vocazioni sacerdotali va visto sotto molti aspetti. Ha prima di tutto a che fare con il numero di bambini. Quando oggi il numero medio di bambini per famiglia è 1,5, il problema dei candidati al sacerdozio si pone in modo ben diverso dai periodi in cui le famiglie erano notevolmente più numerose. Nelle famiglie, poi, ci sono ben altre aspettative. Oggi sperimentiamo che i maggiori ostacoli al sacerdozio frequentemente vengono dai genitori, che hanno ben altre attese per i loro figli. Questo è il primo punto. Il secondo è che il numero di cristiani praticanti è molto diminuito e perciò si è ridotta anche la base di selezione. Considerato il numero dei bambini e il numero dei praticanti, probabilmente il numero dei nuovi sacerdoti non è affatto diminuito. Quindi bisogna tener conto di questa proporzione. La prima domanda allora è: ci sono credenti? Solo dopo viene la seconda domanda: da essi escono dei sacerdoti?.

 
Il celibato ecclesiastico
Benedetto XVI risponde a Peter Seewald nel libro-intervista Luce del mondo (2010)

Il celibato sembra essere sempre alla radice di ogni male; che si tratti degli abusi sessuali, oppure dell’abbandono della Chiesa ovvero della penuria di sacerdoti. Gli stessi vescovi consigliano di usare “più fantasia ed un pizzico di generosità in più” per “rendere possibile il ministero sacerdotale anche ad una persona sposata, accanto al modello fondamentale di sacerdozio celibatario”.
Posso capire che i vescovi, nella confusione presente, riflettano anche su questo. Il difficile viene quando bisogna dire come una simile coesistenza dovrebbe configurarsi. Credo che il celibato ci guadagni nel suo essere segno grande e significativo e soprattutto diventa più vivibile se si costituiscono comunità di sacerdoti. È importante che i sacerdoti non vivano isolati da qualche parte, ma stiano insieme in piccole comunità, si sostengano a vicenda e facciano così esperienza dello stare insieme nel loro servizio a Cristo e nella rinuncia per il Regno dei cieli, e ne prendano sempre più coscienza. Potremmo dire che il celibato è sempre un affronto a quello che le persone pensano normalmente; qualcosa che è realizzabile e credibile se donato da Dio e se attraverso di esso mi batto per il Regno di Dio. In questo senso il celibato è un segno di tipo particolare. Lo scandalo che suscita, sta anche nel fatto che mostra questo: che vi sono persone che vi credono. Sotto questo aspetto si tratta di uno scandalo che ha anche un aspetto positivo.

Ragioni in favore del celibato ecclesiastico. Vediamone alcune.
1. Gesù non si è sposato (non certo per conformismo, dato che fu un rivoluzionario; del resto i sacerdoti giudei potevano sposarsi) e il sacerdote è
un alter Christus. Dunque il ce­libato del prete scaturisce da quello di Cristo ed è uno degli aspetti che lo rendono simile a Lui.
Nei Vangeli ci sono passi che fondano il celibato sacerdotale, in particolare Matteo 19,12: «
Vi sono eunuchi che si sono resi tali essi stessi per il regno». Gesù sta parlando di sé e di coloro che hanno scelto liberamente il celibato come totale servizio a Dio. Stu­diosi come Christian Cochini hanno rilevato che quegli apostoli che erano in precedenza sposati, hanno poi interrotto la vita coniugale e praticato il celibato.
2. Il celibato è una scelta d’amore esclusivo per Ge­sù, una scelta esclusiva co­me quella del coniuge, a cui si deve donare tutta intera la propria vita.
Nello stesso tempo, il sa­cerdote, oltre al rapporto con Gesù, coltiva comun­que la fraternità con gli al­tri «celibi per il regno» e for­ma dunque una nuova fa­miglia.
Insomma, il suo celibato non è una rinuncia all’a­more: è la scelta di amare Gesù, gli altri confratelli sa­cerdoti e il proprio gregge e «non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15,13-16).
3. Dai testi di san Paolo si può ricavare che, grazie al celibato, l’amore per Dio e per il prossimo possono es­sere più integrali. Il celibe si preoccupa di piacere a Dio; l’uomo sposato, oltre a ciò, si deve preoccupare, giu­stamente, anche di sua moglie. Paolo osserva che l’uomo sposato «si trova di­viso » a causa dei suoi ob­blighi familiari (1 Corinzi 7,34). Così, il sacerdote, che amministra l’Eucaristia, che è il dono perfetto, rie­sce ad essere egli stesso dono totale se è celibe.
Anche gli sposati sono chiamati ad amare Gesù in modo radicale, mettendo­lo al
centro di tutte le loro attività e del matrimonio. Inevitabilmente, però, la loro disponibilità non può essere uguale a quella del sacerdote, che può eserci­tare la sua piena donazio­ne (a Dio e in favore di tut­te le anime) in maniera concretamente più ampia. Ciò non vuol dire disprez­zare gli affetti interperso­nali e il matrimonio. Come dice ancora san Paolo, «Ciascuno ha il proprio do­no da Dio, chi in un modo, chi in un altro» (1 Corinzi 7,7).
Diversamente da quel che si pensa spesso, il celibato rimonta agli apostoli. A. Stickler ha documentato che
fin dalle origini i sacer­doti non erano sposati, op­pure erano uomini sposati che, una volta ricevuto l’or­dine sacro, da quel mo­mento, col consenso della moglie (che doveva essere mantenuta dalla Chiesa), si impegnavano alla conti­nenza.
È vero, presso certi riti o­rientali alcuni sacerdoti so­no sposati; ma anche in O­riente i vescovi devono es­sere celibi, il che mostra che c’è un nesso profondo fra il celibato e il sacerdo­zio: infatti, l’ordinazione sacerdotale è una parteci­pazione al sacerdozio del vescovo. Sempre per Stick­ler, il celibato vigeva fin dai tempi apostolici anche nel­la Chiesa orientale
. Solo nel 691 (Concilio Trullano) ci fu il cambiamento, per l’in­gerenza degli imperatori.
Del resto, anche in Oriente non ci sono preti che si sposano, bensì uomini sposati che vengono ordi­nati preti: chi è già prete non può sposarsi. E un pre­te sposato, se diventa ve­dovo, non può risposarsi.
FONTE: Avvenire, 16.01.2008

Vedi anche: http://www-maranatha-it.blogspot.it/2011/03/il-celibato-sacerdotale-questione-di.html (Il celibato sacerdotale, questione di radicalità evangelica, di Mauro Piacenza)

1 commento:

  1. Nel suddetto articolo viene detto :

    "La Chiesa è arrivata molto presto alla convinzione che essere sacerdoti significa dare questa testimonianza per il regno dei cieli. (…) Israele entra nella terra promessa, undici tribù ricevono ciascuna la propria porzione di territorio; solo la tribù di Levi, quella dei sacerdoti, non riceve territorio né eredità; la sua eredità è solo Dio. (…) "

    NIENTE DI PIU' INAPPROPRIATO E' IL CONFRONTO CON I LEVITI.

    I leviti, come probabilmente la chiesa cattolica sa, ma finge di non sapere oppure mente spudoratamente, erano sposati e si potevano sposare liberamente se lo volevano.

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