giovedì 23 maggio 2013

Padre Pino Puglisi. MARTIRE DEL VANGELO


Vent’anni fa veniva ucciso, all’età di 56 anni. Ora il sacerdote palermitano diventa il primo a essere riconosciuto beato perché eliminato dalla mafia a causa della sua limpida testimonianza cristiana, divenuta scomoda agli occhi dei capiclan.
Padre Pino Puglisi: Palermo si prepara alla solenne beatificazione del 25 maggio
CELEBRAZIONE DEL POPOLO - La solenne beatificazione di padre Puglisi si svolge il 25 maggio a Palermo. Inizialmente era in programma allo stadio cittadino, ma a causa della grande affluenza è stata spostata al più capiente Foro Italiano Umberto I (Foto GIUSEPPE GERBASI / CONTRASTO).
L’odio irrefrenabile verso padre Pino Puglisi da parte dei fratelli Graviano, capizona del quartiere Brancaccio, dov’era situata la parrocchia di San Gaetano, fu provocato non da una presunta e inesistente lotta antimafia del sacerdote, ma dalla sua azione pastorale, tesa a una evangelizzazione coinvolgente e capillare che intendeva raggiungere tutti i suoi fedeli, a cominciare dall’infanzia e dalla gioventù».
La consapevolezza dell’arcivescovo Vincenzo Bertolone, postulatore della causa di beatificazione del sacerdote palermitano, è stata condivisa dalla Congregazione delle cause dei santi e dallo stesso papa Francesco, che ha autorizzato il cardinale prefetto Angelo Amato a pubblicare il decreto di beatificazione. E così, con la solenne cerimonia del 25 maggio a Palermo, padre Pino Puglisi è non soltanto il primo sacerdote, ma anche il primo cristiano, a essere riconosciuto martire per mano mafiosa.
Si tratta realmente di un evento storico, poiché in tal modo si risponde per la prima volta a una sollecitazione espressa formalmente dal pontefice emerito Benedetto XVI nel 2006. Riguardo al martirio nella storia contemporanea, Joseph Ratzinger aveva sostenuto la necessità di far luce sui «mutati contesti culturali» e sulle «strategie» del persecutore, «che sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale».
Nato il 15 settembre 1937 nel quartiere palermitano di Brancaccio, sacerdote dal 2 luglio 1960, Puglisi non era mai assurto alla notorietà, fino al giorno in cui venne barbaramente ucciso, il 15 settembre 1993, esattamente nel giorno del suo 56° compleanno. Ma nei diversi incarichi che aveva ricoperto in diocesi – parroco, insegnante di religione, cappellano, vice assistente dell’Azione cattolica per i giovani lavoratori, prorettore del seminario minore, direttore del Centro vocazioni – si era sempre fatto apprezzare per la capacità di unire l’annuncio del Vangelo alla risposta ai bisogni di quanti vedeva in difficoltà.
Per esempio, in un incontro di commemorazione dopo la sua morte, si alzò una donna e fece capire che, tempo prima, era stata costretta a prostituirsi per sfamare i figli. Don Pino, con delicatezza, l’aveva convinta a smettere. Ma restava il problema della sopravvivenza. Il sacerdote – testimoniò quella donna – aveva preso con lei un impegno: ogni mattina si presentava sulla soglia di casa e le portava il cibo necessario per la sua famigliola, finché lei non trovò un lavoro.
Quando, dopo essere divenuto parroco a San Gaetano, aprirà il centro Padre nostro, spiegherà: «Come cristiani, come volontari, come assistenti sociali, come cittadini, continueremo a chiedere alle autorità locali ciò che è dovuto a questo quartiere. Il nostro servizio in questa realtà assume una veste di supplenza riguardo alle gravi carenze sociali che sono emerse». E, subito dopo, l’aggiunta della necessità di tale precisazione «per evitare che la nostra presenza venga equivocata».
Per lui “lotta antimafia” voleva dire risvegliare le coscienze sopite. Come esempio, citava un episodio di quando era parroco a Godrano, un paese dell’entroterra siciliano sconvolto da una faida che aveva mietuto una quindicina di vittime, dove aveva avviato dei cenacoli di preghiera e di approfondimento del Vangelo: «Una signora viene e mi dice: “Padre, le cose sono due, io non ce la faccio più: se non faccio pace con la madre dell’uccisore di mio figlio non si fa più il cenacolo a casa mia”. Dico: “Allora facciamo pace”. “Ma come faccio?”, mi risponde la signora. Dico: “Lei continui a fare i cenacoli, vedrà che il Signore le darà l’occasione”». Un giorno, quella madre «scivolò e cadde davanti alla casa di questa signora che voleva rinunciare al cenacolo. Allora questa corre, la tira su e fanno la pace, nonostante le critiche della gente che disse: “Perché? Non le brucia più il figlio?”, quasi che avesse dimenticato il figlio morto. La madre dell’ucciso era felice. Era testimone della speranza».
Nella parrocchia di Brancaccio c’era andato per obbedienza al suo arcivescovo, il cardinale Salvatore Pappalardo. Altri sacerdoti avevano infatti rifiutato. Gli era ben chiaro che lavorare come faceva lui – contestando e scardinando la mentalità mafiosa, per sostituirla con una mentalità e un comportamento autenticamente cristiano ed evangelico – lo avrebbe posto in rotta di collisione con la criminalità organizzata. Il duro monito lanciato da Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 maggio 1993 lo consolò: «Rimase stupito delle parole del Pontefice. Era contento, le aveva salutate come il riconoscimento di quello che facevamo qui», ha ricordato il suo viceparroco Gregorio Porcaro.
Subito dopo, diverse intimidazioni, a lui e ad alcune persone a lui vicine, gli fecero comprendere che la sua ora si stava avvicinando. Da quel momento i collaboratori si resero conto che il sacerdote li stava poco a poco allontanando, come per evitare di coinvolgerli nel destino che cominciava a sentire segnato per se stesso. Il 15 settembre padre Puglisi lo trascorse indaffarato come sempre. Aveva anche messo a punto l’elenco di richieste da consegnare al presidente della Commissione antimafia Luciano Violante, che avrebbe incontrato riservatamente il 22 settembre. Poco dopo le ore 20, dinanzi casa, un solo colpo di pistola tentò di cancellare la sua missione.
L’anno successivo alla morte di padre Pino, sedici giovani chiesero di entrare nel seminario arcivescovile di Palermo. Animati anche dalla sua luminosa testimonianza, nell’ultimo ventennio sono stati una novantina i seminaristi palermitani, rispetto alla sessantina del ventennio precedente. È l’attualizzazione di quanto scriveva nel secondo secolo l’apologeta Tertulliano, riferendosi alle vittime delle persecuzioni nell’Impero romano: «Sanguis martyrum, semen christianorum» (Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani).
Testo di Saverio Gaeta

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