"Tu non credi? Non preoccuparti: è Dio che crede
in te"
San Padre Pio d Pietralcina (1887-1968)
Credo (o almeno
credo): c'è chi dice no (ateismo, agnosticismo...)
ATEISMO
(a-Teo)
Gli atei sono persone che credono che Dio o gli dèi (o altri esseri soprannaturali) siano costruzioni umane, miti e leggende. L’ateismo, tranne casi isolati nella Grecia classica (IV-III sec. A.C.) nasce durante l’illuminismo. Nel caso di Gesù Cristo nega la sua divinità.
Gli atei sono persone che credono che Dio o gli dèi (o altri esseri soprannaturali) siano costruzioni umane, miti e leggende. L’ateismo, tranne casi isolati nella Grecia classica (IV-III sec. A.C.) nasce durante l’illuminismo. Nel caso di Gesù Cristo nega la sua divinità.
>
ATEISMO PRATICO: vivere “come se” non
vi fosse Dio, senza riferirsi ad
alcuna divinità.
alcuna divinità.
>
MATERIALISMO: crede che l'unica realtà esistente sia
quella visibile, materiale.
>
TEISMO: credere nella dimensione soprannaturale,
in maniera impersonale;
Gesù Cristo è una espressione della divinità presente nel mondo.
Gesù Cristo è una espressione della divinità presente nel mondo.
>
PANTEISMO:credere che Dio sia in tutte le cose
(animate o inanimate); Gesù
Cristo è una delle persone o delle cose attraverso cui incontrare la divinità
(impersonale). Non crede che Gesù sia figlio di Dio.
Cristo è una delle persone o delle cose attraverso cui incontrare la divinità
(impersonale). Non crede che Gesù sia figlio di Dio.
AGNOSTICISMO: agnostico (dal greco a-gnothein non sapere) indica un
atteggiamento con cui si sospende il giudizio rispetto a un problema,
poiché non se ne ha (o non se ne può avere) sufficiente conoscenza.
In senso stretto è l'astensione sul problema della realtà del divino
e dunque anche della divinità di Gesù Cristo.
Ha
affermato Einstein: «Io non sono ateo e non penso di potermi definire
panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una
immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue.
Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Ma non sa
come. E non
conosce le lingue in cui sono stati scritti quei libri. Il bambino oscuramente sospetta che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra essere la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. Noi vediamo l’universo meravigliosamente disposto e regolato da certe leggi. La nostra mente limitata (tuttavia) è in grado di intuire che una misteriosa forza muove le costellazioni».
conosce le lingue in cui sono stati scritti quei libri. Il bambino oscuramente sospetta che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra essere la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. Noi vediamo l’universo meravigliosamente disposto e regolato da certe leggi. La nostra mente limitata (tuttavia) è in grado di intuire che una misteriosa forza muove le costellazioni».
Ø GNOSTICISMO: movimento dei primi secoli del cristianesimo fondato sulla
sapienza o illuminazione (gnosi) riservata agli iniziati. La salvezza dipende
dalla conoscenza illuminata (> NEOGNOSTICISMO e movimenti new age).
CREDENTE (in Cristo)
Crede che Gesù Cristo, così come testimoniato dalla Bibbia (Scrittura) e
trasmesso dalla Chiesa (Tradizione), sia uomo e insieme Dio, nato, morto e
Risorto e dunque vivente.
RELATIVISTA o soggettivista
Crede che la fede sia RELATIVA al soggetto, cioè a sé stesso e non tanto ad un
evento storico o ad una persona concreta: la fede puoi averla o non averla e
dipende da te come essa sia (“io credo
che… io sento” che…). Non crede a verità
assolute, ma a verità RELATIVE al soggetto.
SINCRETISTA
Crede a più religioni in contemporanea, prende da diverse religioni ciò che
preferisce facendo un mix religioso.
assolute, ma a verità RELATIVE al soggetto.
SINCRETISTA
Crede a più religioni in contemporanea, prende da diverse religioni ciò che
preferisce facendo un mix religioso.
Carlo
Climati
Fino
a qualche anno fa, il mondo in cui vivevamo era fortemente impregnato di
cultura cristiana. Oggi, invece, il mondo è certamente più ateo. Questo è un
male? Personalmente, non credo che gli atei siano peggiori dei credenti.
L’ateismo, di per sé, non è un male, se è accompagnato dall’onestà
intellettuale e dalla volontà di confrontarsi. Io credo che alcuni valori in
cui i cattolici credono non siano strettamente “religiosi”. Sono valori
universali. Mi riferisco ad una serie di “regole non scritte” che tutti (anche
gli atei) dovrebbero condividere: l’unità della famiglia, l’amicizia, la
gentilezza, la buona educazione, il senso del pudore, il rispetto degli altri,
la cultura dello sforzo e dell’impegno, la pace, il rispetto dei diritti umani,
a cominciare dal diritto alla vita. Io credo che questi valori siano
semplicemente “umani”, condivisibili in ogni parte del mondo, al di là di ogni
confine culturale e religioso. Oggi questi valori vengono continuamente messi
in discussione. Le nuove generazioni sembrano aver smarrito la coscienza del
bene e del male. E l’ateismo, purtroppo, si associa sempre di più al nichilismo
e al relativismo morale. Si sta diffondendo un ateismo aggressivo,
cattivo, presuntuoso. Io ho veramente nostalgia degli atei di una volta, che
sapevano dialogare e anche mettersi in discussione. Oggi, molti atei sono
superbi e non hanno neppure il coraggio di chiamarsi con il proprio nome.
Preferiscono definirsi “laici”. Il termine “laico” viene utilizzato,
erroneamente, come sinonimo di “libero”. Secondo una mentalità diffusa, i
“laici” sarebbero più “liberi”, più “evoluti” e più “aperti” dei cattolici. Si
parla, non a caso, di Stato “laico”, nell’illusione che questo tipo di Stato
possa essere più “libero”, imparziale, o addirittura migliore degli altri. Lo
stesso errore viene commesso quando si parla di scuola “laica”, di bioetica
“laica”, di visione “laica” della famiglia e di tante altre cose che
sembrerebbero essere più nobili, in quanto non “contaminate” dalla fede in Dio.
Io credo che i cattolici dovrebbero nuovamente impossessarsi della loro
“laicità”, senza paure e senza complessi. Io, ad esempio, sono “laico”, perché
non sono un prete. Ma sono anche cattolico. E quindi, sono laico e cattolico.
Gli altri, che non credono in Dio, non sono “laici”. Sono semplicemente atei.
In questo diffuso terreno culturale ateo (e non “laico”), si sta
verificando un fenomeno curioso: il ritorno della superstizione. Esoterismo,
occultismo e spiritismo sembrano trovare energie nuove e terreno fertile nella
credulità popolare di milioni di persone, soprattutto attraverso i mezzi di
comunicazione. Basta accendere la televisione, a qualunque ora, per trovarsi di
fronte a maghi e cartomanti che vendono amuleti o leggono i Tarocchi. Tutto
questo sembrerebbe essere in contrasto con lo straordinario bisogno di
razionalità e di ateismo che caratterizza i nostri tempi. Nell’epoca dei
computer e delle conquiste dello spazio, non si dovrebbe avere paura del
malocchio e ricorrere ad un talismano per ritrovare fiducia in sé stessi.
Eppure, questo è ciò che sta accadendo. Un grande scrittore, Chesterton, diceva
che quando l’uomo smette di credere in Dio, non è vero che non crede più a
nulla. Comincia a credere a tutto il resto. Ed è quello che sta succedendo
oggi. Non siamo più credenti, ma creduloni. Molti giovani, oggi, dicono di
essere atei e di non credere in Dio. Io non ci credo. Non sono atei, ma “politeisti”.
Credono in tante “divinità”. Chi sono le nuove “divinità” di oggi? La carriera,
i soldi, il sesso sfrenato, la bella automobile, il telefono cellulare dai
mille usi, il computer ultimo modello, le scarpe alla moda, la casa lussuosa,
le vacanze esotiche... I giovani sono avvolti in una specie di “nuovo
paganesimo”, in cui le divinità ci sorridono dagli spot pubblicitari o dalle
copertine di certe riviste. Tutto gira intorno al concetto di “avere”. I
ragazzi sono spinti a credere che “se si ha, si è”. Altrimenti, non si è
nessuno. E così, ancora una volta, scatta l’invito a comprare, consumare,
accumulare. Anche quando non esiste un ragionevole bisogno di farlo. E’
questo il terreno culturale che è stato costruito per i giovani del terzo millennio.
E’ facile dire che le nuove generazioni sono superficiali ed apatiche. Ma che
colpa possono avere, se quasi nessuno ha il coraggio di proporre loro
un’esistenza un po’ meno materialista? Un grande uomo di fede, Martin Luther
King, disse: “Mentre una società opulenta vorrebbe indurci a credere che la
felicità consiste nella dimensione delle nostre automobili, nell’imponenza
delle nostre case e nella sontuosità delle nostre vesti, Gesù ci ammonisce che
la vita di un uomo non consiste nell’abbondanza delle cose che
egli possiede”. E’ da qui che bisogna ripartire, per donare fiducia e
speranza ai giovani. "
___________
La fede cristiana in un contesto di
secolarizzazione diffusa
Dalla
seconda lettera del patriarca di Venezia
(2012)
La
secolarità è cosa diversa dalla secolarizzazione: consiste nel riconoscere
l’obiettiva autonomia delle realtà terrene liberandole da una dipendenza
impropria o, addirittura, errata nei confronti di Dio. Il processo di
secolarizzazione conduce, invece, verso un mondo e un’umanità senza riferimento
alla trascendenza e così - quando si parla dell’uomo, della convivenza sociale
e dei valori in termini appunto di secolarizzazione - Dio viene percepito come
problema: in tale prospettiva, infatti, Dio viene considerato alternativo a
queste realtà e a questi valori. Questo, però, è contrario a una corretta
laicità. È lo stesso Vangelo a porre una netta distinzione fra politica e fede,
fra Dio e Cesare. E alla domanda se è lecito pagare il tributo a Cesare, Gesù
risponde che bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è
di Dio (cfr. Matteo, 22, 21). Uno Stato che, dichiarandosi neutrale, non
riconoscesse le differenti, molteplici e legittime identità che gli stanno di
fronte - tra cui, per prime, quelle religiose - e anzi pretendesse di limitarle
o rinchiuderle nella sfera del privato, in nome di una presunta neutralità,
genererebbe gravi ripercussioni e forti tensioni sia sul piano religioso che su
quello culturale e, di conseguenza, in tutto l’ambito sociale. Ci si può
trovare, in tal modo, dinanzi a un progetto politico che si propone come
“neutrale” ma, in realtà, è pregiudizialmente contrario alle differenti
identità, specialmente a quelle religiose, le rifiuta - non riconoscendo loro
uno spazio pubblico - e le costringe all’interno delle coscienze. Ma questa non
è laicità: è laicismo.
I
Paesi di antica tradizione cristiana sono segnati da un forte tasso di
scristianizzazione e così, seppure in situazioni profondamente diverse, la
nostra condizione di uomini del terzo millennio ripropone quella degli esordi
della Chiesa. Una tale somiglianza ci ricorda che quanti sono chiamati al
discepolato e all’evangelizzazione operano - oggi, come ieri - in un contesto
non cristiano; sarebbe irrealistico immaginare un quadro socio-culturale
differente da quello esistente e sarebbe un esercizio sterile lagnarsi di ciò
che ci sta dinanzi. Si tratta, piuttosto, di prendere contatto con la realtà.
Si tratta, per un verso, di non guardare alla Chiesa come a una realtà chiusa
in se stessa e timorosa del mondo al punto da rimanervi estranea; allo stesso
tempo non bisogna avere un atteggiamento ingenuo e acritico, succube di fronte
al mondo. Il cristiano non è il notaio dell’esistente, pronto in ogni momento
ad avvalorare le scelte di una modernità più incline a seguire la linea della
secolarizzazione o, meglio, del secolarismo laicista piuttosto che quella di
una reale e obiettiva secolarità. Il discepolo è chiamato a un discernimento
critico personale e comunitario-ecclesiale circa
i valori sui quali si gioca l’essenziale dell’uomo e della retta convivenza, i
valori irrinunciabili di una retta antropologia a livello filosofico e
culturale. Si parla, allora, di valori “non negoziabili” in quanto inscritti
nella natura stessa della persona e perciò “irrinunciabili”, pena il vanificare
la centralità della persona, svuotandola dall’interno. Qui s’intende in
particolare la tutela e la promozione della vita in tutte le sue fasi - dal
concepimento alla morte naturale - la promozione della struttura naturale della
famiglia, quale unione fra uomo e donna aperta alla vita e fondata sul
matrimonio, difendendola da quei tentativi di renderla giuridicamente
equivalente a forme diverse d’unione, e il riconoscimento del diritto dei
genitori a educare liberamente i propri figli. Benedetto XVI ci ricorda sovente
che tali principi non sono affermazioni confessionali ma appartengono alla
verità della persona e sono comuni a tutta l’umanità. Oggi l’evangelizzatore
non può limitarsi a stigmatizzare o prendere le distanze da persone o
situazioni come non può avallare, in modo acritico, ciò che, di volta in volta,
incontra sulla sua strada. Questi due atteggiamenti sono in contrasto fra loro
e con lo stile di Gesù: non appartengono infatti alla logica del Vangelo,
secondo la quale ogni uomo è chiamato a conversione. Il discepolo non può
limitarsi a prendere le distanze da quanto non è in consonanza col Vangelo o a
formulare un annuncio che non sia anche un invito a condividere un cammino
comune; così facendo si eviterebbe la fatica di capire e di amare, ma
l’evangelizzatore è sempre colui che invita - nello spirito di una reale
conversione - a un cammino di comunione nella Chiesa. Il dialogo-annuncio deve
poi partire dalle storie concrete delle persone, traendo spunto dal vissuto
quotidiano e dall’ascolto, frutto di empatia e disponibilità. Avere tempo per
il prossimo, in una società in cui tutti hanno fretta e non hanno mai tempo, è
già, di per sé, una “buona notizia” e, quindi, un vero “vangelo” e, alla fine,
la modalità prima per incontrare le persone. Come ogni dialogo, anche quello
concernente la fede può essere genuino o no: il dialogo è evangelicamente
genuino - e non “sofisticato” - quando non priva l’interlocutore del dono di
Gesù Cristo, il sommo bene che un giorno, a sua volta, il
discepolo-evangelizzatore ha ricevuto. Tralasciare l’annuncio, pensando che il
dialogo sia sufficiente, vuol dire trattenere per sé Gesù, il dono di Dio a
ogni uomo. Ma senza Gesù - via e verità - l’uomo non raggiungerà mai la vera
vita e smarrirà se stesso.
la
conclusione:
Per
chi vuole testimoniare la fede in Gesù Cristo non è sufficiente limitarsi a
prendere le distanze da scelte culturali fondate su antropologie non aperte al
trascendente o da progetti culturali che non salvaguardano la centralità della
persona, soprattutto in rapporto alla vita nei momenti di massima fragilità. E’
necessario individuare modalità capaci di trasmettere in maniera “sensata” la
fede in un contesto storicamente e culturalmente determinato. Bisogna trovare
un approccio che permetta d’entrare in dialogo proficuo con gli uomini e le
donne che non solo sono immersi nelle culture del nostro tempo ma ne sono,
personalmente, espressioni vive. Le persone portano in sé, oltre a forti
contraddizioni, anche non pochi valori e richiami alla trascendenza; ciò si
manifesta, per esempio, attraverso le ricorrenti ed ineludibili domande sul
senso della vita e, più in generale, dell’essere. A ben vedere, le realtà
create e l’uomo in primis rimandano a Qualcuno - qualcosa non basta - che va
oltre loro, così da poter render ragione della precarietà strutturale che le
caratterizza. Tale fragilità appartiene all’uomo in quanto tale e si può
mostrare in ogni momento, in tutta la sua forza dirompente. Nel suo richiamarsi
ad un Altro l’uomo, a partire proprio dalla sua insufficienza strutturale,
scopre una possibilità d’approccio e d’accoglienza di una non impossibile
“Parola” che Dio gli potrebbe rivolgere. E, a cominciare da tali domande, si fa
strada, anche nell’uomo più secolarizzato, la dimensione religiosa. Le domande
che interpellano l’uomo sono, ad un tempo, le più profonde e universali - sono,
infatti, di tutti gli uomini - ma, anche, le più semplici e più vere: “Io, chi
sono?”, “Da dove vengo?”, “Dove sono diretto?”, “Cosa mi aspetta dopo questa
vita?”, “Ha senso una felicità destinata a finire?”, “Chi garantisce la mia
domanda ultima di felicità?”… Domande che non appartengono a determinate
culture o scuole di pensiero ma, come costanti, ritornano pesanti come macigni
e destinate a riemergere perché esprimono i problemi eterni dell’uomo e
dell’intera umanità. Sono le grandi domande che l’uomo si porrà sempre in ogni
tempo eluogo; sono le domande che riecheggeranno fino a quando, sulla terra, vi
sarà un uomo. Non c’è antichità classica o cristiana, basso o alto medioevo,
rinascimento o umanesimo, modernità o post-modernità che non vedano riemergere,
nel cuore dell’uomo, queste perenni e drammatiche domande che esprimono, nella
loro peculiarità, la grandezza di chi se le pone. Qui abbiamo, allora, una
pista che ci permette d’entrare, in modo concreto, in dialogo con gli uomini e
le donne che ogni giorno incrociamo lungo le strade delle nostre città. Ogni
giorno incontriamo molti volti che, nella loro inviolabilità personale, e nel
rispetto che esigono con il loro solo apparire, ci annunciano il “Tu” per
antonomasia: il “Tu” di Dio. Questi
“tu” molteplici - uomini e donne che incontriamo ogni giorno - ci richiamano la
pienezza personale di quel “Tu” che solo può darci ragione della nostra
fragilità e precarietà personale. La possibilità di interrogarsi, poi, in modo
radicale sulla questione della libertà costituisce un percorso da esplorare e
bisogna andare fino in fondo alla domanda “Ma chi sono io?” che, nel suo nucleo
più profondo, è sempre “antropologica-teologica”.
Così anche l’uomo immerso in una cultura profondamente secolarizzata, e
nonostante ciò, risulta personalmente interpellato e coinvolto dalle domande
riguardanti il senso e l’essere. In tal modo percepisce la domanda sul destino,
sulla felicità e sulla garanzia ultima che riguarda il suo io personale come
qualcosa che va oltre le vicende materiali e verificabili, ossia le realtà
“penultime”. Egli coglie la domanda su di sé come la domanda che mette in questione,
e nel modo più radicale, tutta l’esistenza. La gioia, infine, è la cifra che
deve accompagnare costantemente l’annuncio di Gesù Cristo, il Risorto. È
proprio la gioia, secondo i vangeli, il segno primo della Pasqua che riassume e
fa propria l’intera storia dell’uomo. La Vergine Maria, prima evangelizzatrice,
ci sostenga soprattutto nei momenti in cui avvertiamo la difficoltà a
testimoniare il Vangelo a quelle persone e a quelle culture che, dopo aver
teorizzato in modi diversi la “morte” di Dio, non sanno più come rispondere
alle domande che costantemente nascono e rinascono dalla nostra creaturalità - il perché del venire al mondo, del vivere e del morire -,
unite alla tensione costante a una vita vissuta in pienezza e nella felicità.
La Vergine Maria, madre della gioia e della speranza, ci aiuti a discernere il
valore umano e cristiano della vera secolarità in un contesto di forte e,
talora, ideologica secolarizzazione. A tutti auguro l’umile fierezza di chi
avverte in sé la gioia di dire Gesù Cristo e di dirLo a tutti senza reticenze o timori reverenziali e,
particolarmente, di continuare o ricominciare adirLo proprio
in quei contesti nei quali sembrava impossibile poterLo dire.
“La
vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non
pensa… tra chi, per dare un senso alla propria vita, si pone con serietà e
impegno queste domande, e cerca la risposta, anche se non la trova, e colui cui
non importa nulla, a cui basta ripetere ciò che gli è stato detto fin da
bambino”
Norberto
Bobbio
Nessun commento:
Posta un commento