La sessualità umana nella visione cristiana non è solo un dato fisico, non è solo un dato biologico, non è solo una dimensione dell’animalità, non è solo un fatto psicologico, non è solo un prodotto della cultura o dell’educazione, ma è un mistero di fede. Ne sono convinto, benchè non esistano dogmi definiti che abbiano per oggetto il significato e il valore del sesso umano.
In questo nostro tempo di degradazione della sessualità e di distruzione dell’etica sessuale, per la quale assistiamo al ritorno delle pratiche più aberranti dell’antico paganesimo, credo che sia più che mai urgente mostrare con realismo e senza idilliache quanto illusorie idealizzazioni, la grandissima dignità del sesso, che risulta da una sana visione del cristianesimo secondo i dati più recenti della sessuologia e del Magistero della Chiesa.
Certo per il cattolico esiste il matrimonio, che è un sacramento e quindi una realtà di fede e S.Paolo non esita a chiamarlo “mistero” di fede (Ef 5,32). Ma il matrimonio, benchè ovviamente sia legato al sesso, non coincide esattamente col significato fondamentale del sesso umano come tale, significato, che, come accennerò brevemente in questo articolo, ha un altissimo valore per conto proprio, indipendentemente dalla finalità procreativa e ciò – sia ben chiaro – da intendersi in un senso del tutto estraneo ad una qualunque benchè lontana interpretazione di tipo edonistico oggi così diffusa, per la quale il piacere sessuale è disordinatamente cercato e idolatrato come tale al di fuori e contro qualunque preoccupazione di carattere morale o religioso.
Nella storia della morale c’è sempre stata la tendenza sbagliata ad avvertire il piacere sessuale sotto due visuali opposte: o come colpa inespiabile o come felicità assoluta. La prima è la visione pitagorica e manichea, che passando per il platonismo e l’origenismo giunge sino al rigorismo cataro del medioevo, sino al giansenismo e al puritanesimo del sec.XVII ed oltre sino ai nostri giorni. La seconda è la visione epicurea che passando attraverso il paganesimo rinascimentale e il libertinismo settecentesco giunge sino all’edonismo dannunziano e al freudismo.
La prima è una visione rigida, tetra e cupa, che suppone una spietata repressione che provoca poi le neurosi oggetto della psicanalisi; la seconda è una gioia esteriore, falsa e forzata, che nasconde un conflitto interiore irrisolto capace di esplodere in modo irrazionale e violento.
Per chi accetta la prima visione il piacere sessuale fa schifo od orrore o suscita vergogna o turbamento; per l’altra visione, qualunque godimento sessuale in qualunque modo od occasione, solo che se ne possa approfittare, pare la cosa più naturale ed attraente del mondo, e quando si gode sessualmente, sembra di toccare il cielo con un dito.
Per i primi l’ideale è la negazione o soppressione di ogni piacere sessuale, per i secondi è l’auspicio di poter godere sessualmente 24 ore su 24. I più anziani ricorderanno la canzone di Adriano Celentano di tanti anni fa “24.000 baci”. Né gli uni né gli altri sanno che cosa sono il sesso e il piacere sessuale. Il libertino che idolatra il sesso e crede di godere, non gode veramente e il rigorista che disprezza il sesso e non vuol godere, disprezza irragionevolmente una qualità della vita fisica creata da Dio.
Infatti, proprio in quanto creato da Dio, il piacere sessuale è in sé una cosa buona, conseguente al piano originario della creazione, che prevede l’unione dell’uomo con la donna (Gen 2,24), che ha lo scopo di superare la solitudine dell’uomo – “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18) -.
Questa unione dovrà ricostituirsi alla risurrezione, perché ha un valore antropologico in se stessa a prescindere dalla finalità procreativa, che pure costituisce il fine naturale della sessualità dal punto di vista biologico. Ma la sessualità umana, secondo il piano divino, ha anche un fine più profondo, unitivo e perfettivo dell’individuo umano ossia della persona, che non esiste ai livelli inferiori della vita, dove il sesso esaurisce totalmente la sua funzione nell’attività riproduttrice della specie.
A differenza di altre funzioni biologiche, come per esempio l’alimentazione, la differenza sessuale nell’uomo coinvolge la persona nella sua totalità, compreso lo spirito, cosa che fonda e provoca nei due una reciprocità che riguarda la stessa perfezione della vita spirituale, un reciproco aiuto nel progresso morale e nello stesso cammino di santità, cosa che evidentemente non esiste nei puri spiriti, nei quali questa dualità non esiste.
Ma questa reciprocità perfettiva della coppia non esiste neppure tra le piante e gli animali, non perché non abbiano il sesso, ma perché non hanno lo spirito. Lo spirito infatti è il principio del progresso e della perfezione.Questo abbinamento di spirito e sesso è dunque cosa esclusivamente propria della persona umana. Piante ed animali hanno il sesso ma non lo spirito; gli angeli sono spiriti senza sesso; la persona umana possiede e lo spirito e il sesso.
Da qui una specialissima sintesi tra sesso e spirito, che non si riscontra da nessun’altra parte in tutta la creazione. Il contrasto dunque tra spirito e sesso e il contrasto tra uomo e donna non corrispondono al piano originario della creazione, ma sono una conseguenza e un castigo del peccato originale. La riconciliazione tra uomo e donna, in particolare il superamento del dominio dell’uomo sulla donna, è strettamente legata alla ritrovata armonia tra spirito e sesso, garantita dal cristianesimo.
Per questo l’etica umana non può essere né epicurea (sì al sesso, no allo spirito), né platonica (sì allo spirito, no al sesso), ma è un’etica sui generis che deve saper sintetizzare armoniosamente queste due dimensioni della vita, in una sana e serena sottomissione del sesso allo spirito, senza però umiliare il sesso nel momento però in cui il sesso non deve far da padrone.
L’etica cristiana, rettamente intesa, eccelle nell’indicare all’uomo anche qui la via della felicità e il vero senso del piacere sessuale. Dico rettamente intesa, perché in passato è stata troppo sotto l’orbita del platonismo (per esempio Origene, per non parlare di certe sètte protestanti) per una malintesa concezione della verginità consacrata.
Anche su questo punto gli insegnamenti morali del Concilio Vaticano II hanno “corretto il tiro” con la proposta di una sessualità equilibrata, più conforme alle vere esigenze della moderna sessuologia, del Vangelo e del piano originario della creazione, piano che poi viene fondamentalmente recuperato nella risurrezione[1]. Se oggi in questo campo c’è una tendenza sbagliata, è quella di un fraintendimento dell’insegnamento conciliare che, sotto pretesto della dignità del sesso, ha reintrodotto una nuova forma di edonismo pagano, riducendo quasi a zero la gravità dei peccati sessuali.
In realtà, nel cristianesimo la dignità della sessualità umana è dimostrata sommamente dal fatto che essa è stata assunta in unione ipostatica dalla stessa Persona del Verbo, benchè sotto la dimensione della mascolinità. Ma è evidente che la femminilità non è esclusa, stando il fatto che essa è uno dei termini essenziali della dualità sessuale di quella natura umana che appunto è stata salvata dal Verbo, grazie all’assunzione della natura umana individuale di Cristo, “nato da donna” (Gal 4,4), per cui si può dire, come insegna il Concilio, che “con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo”[2], non certo in modo attuale, formale ed effettivo, quasi abbia assunto di fatto tutte le individualità dell’umanità, ma in quanto dà a tutti la possibilità di partecipare del mistero dell’Incarnazione.
Infine l’apoteosi cristiana della sessualità risulta dal fatto che l’unione uomo-donna rappresenta, secondo l’insegnamento paolino, la stessa unione di Cristo con la Chiesa e, secondo una tradizione che risale all’Antico Testamento, vedi il Cantico dei Cantici, rappresenta l’unione mistica dell’anima con Dio.
La sostanza del chiarimento che il Concilio apporta su questo delicato argomento della dualità umana è dato dalla tesi secondo la quale l’unione fra uomo e donna “costituisce la prima forma di comunione delle persone”[3] e si badi bene: non si parla dell’unione generativa tra marito e moglie, benchè ovviamente questa venga in primo piano, ma in generale dell’uomo e della donna. Infatti in questo contesto il Concilio non tratta del matrimonio, ma della dignità della persona e in particolare della sua vocazione comunitaria, per cui il discorso riguarda la dignità della persona come tale, sposata o non sposata che sia.
Così pure l’unione progettata da Dio nel Genesi non è radicalmente l’unione tra marito e moglie, ma tra uomo e donna. Infatti l’ebraico non dice “si unirà a sua moglie” (baalà), ma alla sua “donna” (ishshà) (Gen 2,24). Così la procreazione e il matrimonio balzano in primo piano del primo capitolo del Genesi, mentre nel secondo emerge il valore dell’unione e il matrimonio resta nell’ombra senza venir neppure nominato.
E’ qui che troviamo la chiave decisiva per comprendere la dignità ultima e misterica – il mistero del sesso – della sessualità umana. Sta qui il principio del superamento degli opposti estremismi dell’edonismo e del rigorismo, per una visione giusta, rasserenante e gratificante del rapporto tra sesso e spirito nella persona umana. Naturalmente non si dimentica affatto la condizione di fragilità della natura conseguente al peccato originale e la necessità di una disciplina a volte anche severa, sino a giungere alla totale astinenza sessuale nel celibato sacerdotale e nel voto di castità.
Nel matrimonio stesso, che pure è notoriamente finalizzato alla procreazione, il significato fondamentale dell’unione tra sposi non riguarda tanto la procreazione, che alla risurrezione è assente, quanto piuttosto questa indissolubile reciprocità che, al dire di S.Tommaso, caratterizza l’essenza fondamentale del matrimonio. Tommaso sostiene questa tesi trattando dell’unione tra Maria SS.ma e S.Giuseppe, unione che non conobbe l’intimità sessuale e che non per questo non fu un vero matrimonio.
Tommaso distingue in generale in una cosa la “forma”, per la quale essa sortisce la sua essenza (species) e l’“operazione”, che segna la perfezione della cosa e per la quale essa raggiunge il suo fine. Applicando questo principio al matrimonio, Tommaso dice : “la forma del matrimonio consiste in una certa indivisibile congiunzione degli animi, per la quale l’uno dei coniugi è indivisibilmente tenuto a restar fedele all’altro. Invece il fine del matrimonio è la generazione ed educazione della prole”[4]. Così egli riconosce che il matrimonio tra Giuseppe e Maria argomento non è “consumato”, eppure è un vero matrimonio.
In questa linea il Beato Giovanni Paolo II, commentando in una sua catechesi sul Genesi la frase “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18), ebbe a dire che qui non è in gioco il problema della generazione quasi a dire: non è bene che l’uomo generi da solo, – di per sè esiste anche la partenogenesi – ma è una questione di esistenza - “sia solo” – e più precisamente è questione del senso e valore dell’esistenza del singolo, per cui egli restaincompleto senza l’altro, nonostante la persona dica totalità.
Questa completezza dell’umano è stata studiata da un convegno dedicato appunto a questo tema svoltosi durante il pontificato di Benedetto XVI, il quale commentò la tematica affrontata dal detto convegno con un discorso molto interessante che in qualche modo riassume lo sviluppo del magistero pontificio su questo tema a partire soprattutto dall’insegnamento conciliare[5].
Le persone come tali infatti, per esempio l’angelo, non hanno affatto bisogno di completarsi, come persone, con un’alterità duale. La persona infatti è un tutto, non è una parte. In certo senso non le manca nulla per essere quello che essenzialmente deve essere. Tuttavia la persona umana, in quanto sessuata, non è solo un tutto come spirito, ma anche una parte, diciamo meglio la metà di un tutto personale – l’umano nella sua completezza duale – diviso per natura nei due sessi: “maschio e femmina li creò” (Gen 1,27).
La persona umana non è persona completa come persona senza la reciprocità sessuale che ovviamente non richiede di necessità l’intimità sessuale, ma bensì la reciprocità spirituale, data la diversità-reciprocità dell’anima maschile rispetto a quella femminile[6].
Anche gli angeli ovviamente socializzano tra di loro; ma la socializzazione umana aggiunge alla comune forma spirituale della socializzazione la suddetta modalità sessuale che è assente negli angeli e della quale parla il Concilio. Due angeli possono certo amarsi più intimamente tra di loro che non con altre individualità angeliche, ma non esiste nel mondo angelico la suddetta esclusività-reciprocità sessuale caratteristica del mondo umano. Tra gli angeli non incontreremo mai una coppia come S.Francesco e S.Chiara o S.Francesco di Sales e S.Giovanna di Chantal o tra S.Vincenzo de’ Paoli e S.Luisa di Marillac o S.Domenico di Guzmàn e la Beata Diana degli Andalò e via discorrendo.
In entrambi i casi sopraesaminati dell’edonismo e del rigorismo è presupposta invece una concezione del piacere avulsa dalla considerazione razionale dell’oggetto stesso del piacere, nel primo caso l’apprezzamento per lo spirito si accompagna ad un ingiustificato disprezzo per il sesso e per il piacere che esso dona; nel secondo caso invece il piacere è irrazionalmente enfatizzato per la tendenza materialistica che è sottesa. In entrambi i casi si dà un sesso che non riesce o non vuole accordarsi con lo spirito, un sesso del quale si ignorano o si rifiutano il vero valore e le finalità umane e trascendenti come sublimazione e trasfigurazione della vita sessuale.
La questione in entrambi i casi non è affrontata con sguardo lucido ed obbiettivo, ma sotto la spinta dell’emotività istintiva ed incontrollata, ora pessimista ora ottimista, che in qualche modo detta legge creando o il senso di colpa o l’ebbrezza irrazionale.
Per questo, il pensiero non riesce a dominare l’oggetto. In tal caso il significato del piacere sessuale e quindi la realtà stessa del sesso è sotto la spinta di una volontà ribelle e di un’istintualità corrotta, per cui facilmente costruisce teorie o sessuofobe o sessualiste, onde dare alla coscienza una parvenza di giustificazione, così come avverte con giusta severità S.Paolo: “Nessuno su questo argomento violenti o inganni il proprio fratello, poiché Dio fa vendetta di tutte queste cose” ( I Ts 3,6).
Nel dualismo rigorista si riconosce il primato dello spirito e il valore della religione, ma il possesso di un corpo è visto come una colpa, come realtà disagevole ed oppressiva, fonte di peccato e di dannazione. Da qui una disciplina crudele nei confronti del corpo e del sesso nella convinzione che salvezza, libertà e beatitudine stiano nel liberarsi per sempre dal corpo e dal sesso.
All’opposto, nel materialismo edonista e lassista lo spirito non è che una sovrastruttura o un derivato dalla materia che si autotrascende e si trasforma in energia secondo processi casuali, sicchè qui il vertice del piacere non è quello spirituale ma quello sessuale, cercato con ogni mezzo nella relativizzazione, manipolazione e soggettivizzazione di tutti i valori morali.
Un punto di perenne polemica non scevro da pericolosi equivoci, nella storia della morale, tra cristianesimo e paganesimo è la questione della verginità consacrata, alla quale la Chiesa dà tanta importanza che condannò come eresia nei primi secoli un certo Gioviniano (ne parla anche S.Tommaso), il quale non voleva riconoscere il primato della verginità sul matrimonio, cosa notoriamente ispirata dal c.7 della Prima Lettera di S.Paolo ai Corinzi. Il Concilio di Trento arriva a dire, con buona pace degli epicurei, che lo stato della verginità consacrata è “più beato” di quello matrimoniale.
Il motivo profondo dell’astinenza sessuale propria dei religiosi e dei sacerdoti, secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa, è l’imitazione di Cristo totalmente dedito al regno di Dio e quindi libero da vincoli matrimoniali (gli “eunuchi che si fanno tali in vista del regno dei cieli”: Mt 19,12), vincoli che in qualche modo avrebbero potuto limitare l’ampiezza della sua azione, benchè poi, come ricaviamo da S.Paolo, il ragionamento si potrebbe rovesciare, sempre nella preoccupazione di consentire al sacerdote il massimo e miglior rendimento, col notare, come fa l’Apostolo, che il vescovo, per essere veramente all’altezza del suo compito di governare la comunità ecclesiale, deve dar prova di saper guidare la propria famiglia (I Tm 3, 1-5).
Per questo il celibato sacerdotale non entra nell’essenza del sacerdozio, ma è semplicemente una pratica conveniente e raccomandabile. Diverso è il caso dei religiosi, per i quali si aggiunge il fatto che la loro testimonianza dev’essere una prefigurazione della vita della risurrezione, dove, se esiste la differenza uomo-donna, non esiste però la riproduzione della specie.
Inoltre, come osserva S.Tommaso, il voto di castità dei religiosi si giustifica anche col fatto che l’esercizio del sesso, a causa dell’intensità del piacere, superiore ad ogni altro e tale da offuscare la lucidità della ragione rendendola imbrigliata al senso, fa sorgere nel soggetto un bisogno sessuale molto forte che diventa incompatibile con l’esercizio di quell’alta spiritualità e quella robusta temperanza, alle quali è tenuto il religioso.
Questo duplice errore del rigorismo e dell’edonismo suppone un’antropologia sbagliata, una concezione errata della persona umana, per la quale, come osservò più volte il Beato Giovanni Paolo II, il sesso non appare come un elemento veramente integrante della persona umana, ma come un qualcosa di accidentalmente esterno, per cui o la sessualità se ne sta per conto proprio e rischia di far da padrona e abbiamo l’edonismo; o all’opposto di esser espulsa della vita della persona e abbiamo il rigorismo.
Ciò significa che la soluzione radicale di questo problema sta nella elaborazione di un’antropologia adeguata che dia uno spazio adatto alla sessualità, cosa che mi riprometto di esporre in un prossimo articolo
[1] Vedi soprattutto il concetto di persona umana in Gaudium et Spes, n.12 e il capitolo sul matrimonio ai nn.47-52 nel medesimo documento.
[2] Ibid., n.22.
[3] Ibid., n,.12.
[4] Summa Theologiae, III, q.29, a.2.
[5] Discorso ai Partecipanti al Convegno internazionale “Donna e uomo. L’humanum nella sua interezza” del 9 febbraio 2008. Tra l’altro il Papa dice queste parole: “La natura umana e la dimensione culturale si integrano in un processo ampio e complesso che costituisce la formazione della propria identità, dove entrambe le dimensioni, quella femminile e quella maschile, si corrispondono e si completano”.
[6] SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, 1987, pp.227-234
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