All’udienza generale del 26 febbraio, proseguendo nel ciclo di catechesi sui sacramenti, Papa Francesco ha proposto una meditazione sull’Unzione degli infermi, chiamata anche – specie in passato – «Estrema unzione». Il nome che si preferisce oggi, Unzione degli infermi, ha detto il Papa, «ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio».
Leggiamo nella «Lettera di Giacomo»: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,14-15). Di qui vediamo che l’Unzione degli infermi non è un’invenzione della Chiesa, ma «una prassi che era in atto già al tempo degli Apostoli» e che risale direttamente a Gesù Cristo. «Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare ad elargire nel suo nome e secondo il suo cuore sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale Sacramento».
L’affermazione di san Giacomo secondo cui il sacramento «salverà il malato» va bene interpretata. «Non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione». Concentriamoci piuttosto sulla «sicurezza della vicinanza di Gesù al malato e anche all’anziano, perché ogni anziano, ogni persona di più di 65 anni, può ricevere questo Sacramento, mediante il quale è Gesù stesso che ci avvicina».
Sul sacramento dell’Unzione degli infermi regna oggi una grande confusione. Il Papa la descrive con immagini molto vive e concrete. «Quando c’è un malato a volte si pensa: “chiamiamo il sacerdote perché venga”; “No, poi porta sfortuna, non chiamiamolo”, oppure “poi si spaventa l’ammalato”». In effetti «c’è un po’ l’idea che dopo il sacerdote arrivano le pompe funebri». Dobbiamo dunque convincerci che «questo non è vero. Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano; per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Bisogna chiamare il sacerdote presso il malato e dire: “venga, gli dia l’unzione, lo benedica”. È Gesù stesso che arriva per sollevare il malato, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo; anche per perdonargli i peccati». Non è obbligatorio che segua la guarigione: ma spesso succede.
Dobbiamo ricorrere spesso e senza timore all’Unzione degli infermi per ricordarci che «nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno». Questo è bello, ma non è ancora l’aspetto più importante del sacramento. «Il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli apparteniamo e che nulla – neppure il male e la morte – potrà mai separarci da Lui».
Prendiamo dunque, ha concluso il Papa, «questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti. Facciamolo!».
Nessun commento:
Posta un commento