La fede biblica afferma che «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4-5); afferma, inoltre, che in Gesù Dio si è fatto uomo (Gv 1,14), ha assunto la nostra umanità creaturalmente fragile e la nostra storia complessa e complicata. Cercare di tracciare le coordinate sociali, religiose e culturali dell’ambiente in cui visse Gesù, a mio avviso non può non tener conto delle suddette affermazioni della fede biblica.
Il fatto che Gesù sia nato Betlemme, piccolissimo paesino della Giudea, che sia vissuto in Galilea, in particolare a Nazareth, villaggio insignificante, e in altre città (Cafarnao) e villaggi (Cana, Nain), che abbia attraversato la Samaria, regione ostile alla Giudea, e che sia andato più volte a Gerusalemme e in particolare l’ultima fase della sua vita l’abbia trascorsa in quella città e nei villaggi vicini, che si sia scelto dei discepoli e abbia avuto anche discepole, che abbia frequentato il Tempio di Gerusalemme e la sinagoga, che sia stato un uomo itinerante per le strade della Palestina e che abbia frequentato e dimorato nelle case, tutto questo non è casuale, ma ha un senso: ci mostra un aspetto del “volto di Dio”, della sua volontà, delle sue promesse e dei suoi desideri.
Vivendo in quelle regioni e vivendoci con un determinato stile, Gesù mostra di saper rispondere alla chiamata del Padre, mostra, cioè, detto con altre parole che la geografia, la storia, la cultura, l’ambiente sociale e la religione di un popolo sono anche un fatto spirituale, ovvero mostrano, certo nella loro complessità, come lo Spirito di Dio agisce in modo creativo e sapiente nella realtà umana e nelle relazioni umane. Questa è, in fondo, la prospettiva con cui sono stati scritti i vangeli: non semplice cronaca storica, ma interpretazione alla luce della fede della storia, degli avvenimenti, dell’ambiente in cui visse Gesù.
L'occupazione dell'impero romano in Palestina
Quando Gesù nasce la Palestina è occupata dall’Impero Romano. L’occupazione avvenne nel 63 a.C. ad opera del generale romano Pompeo, il quale, chiamato dalla regnante dinastia giudaica degli Asmonei (discendenti dei Maccabei) per risolvere i conflitti interni al popolo giudaico, entra in Gerusalemme e pone fine per sempre all’indipendenza della Palestina (che comprendeva le regioni della Giudea, Idumea, Samaria, Perea, Decapoli, Galilea).
All’inizio i romani non tolsero completamente ai giudei l’autonomia: lasciarono al governo uno di loro, il sommo sacerdote Ircano. In seguito, per timore dell’invasione dei Parti, successori degli antichi Persiani, i romani nel 37 a.C. affidarono il governo della Palestina all’idumeo Erode il Grande, il quale represse con violenza i conflitti interni, dette impulso all’economia del paese imponendo esose tasse (che imparte andavano a Roma), ebbe un certo rispetto per le leggi giudaiche, ricostruì e ampliò in maniera imponente e sfarzosa il Tempio di Gerusalemme, costruì molte opere pubbliche.
Alla morte di Erode il Grande (4 a.C.), il governo della Palestina fu diviso in tre parti secondo i tre figli di Erode: ad Erode Antipa (colui che fece decapitare Giovanni Battista) la Galilea e la Perea, a Filippo le regioni ad est della Galilea, ad Archelao la Giudea, l’Idumea e la Samaria. Ma né Archelao, né Erode Antipa furono buoni governatori. Archelao, a motivo del suo malgoverno, fu deposto, e nel 6 a.C. Roma approfittò dell’occasione per avere un dominio più diretto sulla Giudea, Idumea e Samaria, che costituì in un’unica provincia romana, governata finanziariamente e militarmente da procuratori o prefetti romani.
Sempre nel 6 a.C. Sulpicio Quirino, rappresentante di Roma in Siria, incaricò di fare un censimento (per fini tributari e militari) della nuova provincia romana. Questa fu l’occasione in cui scoppiò una rivolta contro Roma – il cui dominio era considerato un atto idolatrico contro Yhwh – capeggiata da Giuda il Galileo. Si susseguirono vari procuratori, uno di questi, reso famoso per il processo contro Gesù, fu Ponzio Pilato che fu procuratore romano in Giudea dal 26 al 36 d.C.
Egli era incapace di riconoscere la peculiare sensibilità religiosa dei giudei, per cui fu spietato e crudele nell’azione repressiva, alcune volte inutilmente, come fu il caso della dispersione di un piccolo assembramento di samaritani sul monte Garizim, dispersione finita inutilmente nel sangue. Per questo Pilato nel 36 fu deposto da governatore.
Gesù nasce nel 6-7 a. C. circa, qualche anno prima della morte di Erode il Grande (avvenuta nel 4 a. C.), e morirà ucciso in croce nel 30 d. C. circa. Gesù nasce e vive in questo clima di forte tensione religiosa-politico-sociale. Non cede alla violenza, non risponde alla violenza con la violenza, al male con il male, non diventa un guerrigliero.
Dichiara beati i miti e gli operatori di pace, pratica e predica l’amore verso i nemici e la nonviolenza al fine di vincere il male con il bene. Non si dichiara nemmeno un simpatizzante dell’occupante romano: infatti non entra mai nella città greco-romana di Sepphoris e di Tiberiade, città della Galilea, e riguardo il tributo a Cesare fa osservare che Dio è Dio e noi siamo fatti a sua immagine, Cesare non è Dio (contrariamente alla visione imperiale romana).
La mappa geografica e mentale della Palestina
La Galilea è una regione situata al nord della Palestina, governata da Erode Antipa, re della Giudea. È una regione fertile e ricca, con un lago molto pescoso, il Lago di Galilea. Perciò è dedita all’agricoltura, all’artigianato, al commercio, alla pesca. Città commerciali e della pesca sono in particolare quelle sulle sponde del Lago: Cafarnao, Tiberiade, Bethsaida, Magdala.
A motivo dei suoi scambi commerciali con le regioni pagane confinanti (Siro-Fenicia ed altri), infatti da Cafarnao vi passava la via che collegava l’Oriente con i porti del Mediterraneo, la Galilea veniva chiamata “Galilea delle genti”, una denominazione negativa che voleva sottolineare la “contaminazione” con i popoli pagani, essendo la Galilea una regione di confine, soggetta a frequenti passaggi di gente di cultura e religione diversa. È vero che Sepphoris (mai citata nei vangeli) e Tiberiade e altre località erano città greco-romane estranee alla cultura e alla fede ebraica, ma non così la città di Cafarnao, dove vi era una sinagoga, i villaggi di Nazareth, dove vi era una sinagoga, di Cana, Magdala, Nain.
Gesù ha vissuto in Galilea la maggior parte della sua esistenza. Egli non entra mai nelle “città imperiali” di Sepphoris, a pochi chilometri da Nazareth, e di Tiberiade. Frequenta, invece, la città commerciale di Cafarnao (qui vi è la casa di Pietro), i piccoli villaggi di Cana, di Nain e altre località. Gesù, cresciuto a Nazareth, un villaggio che non conta nulla, ama frequentare la gente comune, la gente buona e quella peccatrice (Maria Maddalena era di Magdala). Gesù sa che in Galilea vi sono i ricchi e vi sono gli impoveriti, vi è gente onesta, lavoratrice e modesta, come pure ci sono ladri, briganti e gerriglieri che lottano contro l’occupante romano.
Questa è la gente di periferia: e Gesù è un uomo di periferia, e d’altronde la Galilea, rispetto alla Giudea, è considerata una regione di periferia. Ecco: Gesù ha messo al centro della sua attenzione mentale, della sua “mappa mentale”, la periferia. È da qui, infatti, che parte il sia l’annuncio della sua nascita a Maria, sia il suo annuncio del Regno e l’invito pressante, escatologico-apocalittico, alla conversione. Ed è qui che pronuncia le Beatitudini e il Discorso della Montagna, che chiama i primi quattro discepoli come fratelli, compie molte guarigioni.
Dal punto di vista della mappa mentale di Gesù, risulta interessante che Gesù si manifesterà come Risorto proprio in Galilea e che dalla Galilea egli Risorto ordinerà agli apostoli di far ripartire evangelizzazione. La Galilea è la cifra delle nostre periferie geografiche ed esistenziali, ed è la cifra della nostra vita quotidiana complessa e complicata. In Gesù Dio si fa presente nella periferia e nel quotidiano: questo è anche l’annuncio che ne dà Gesù narrando le parabole che si rifanno alla vita quotidiana della gente.
La Giudea è la regione centrale della Palestina, come centrale è Gerusalemme, capitale del regno, costruita sulla zona montuosa, e centrale è il Tempio che si trova in essa, fatto ampliare e abbellire da Erode il Grande intorno al 20 a.C. con anni di intenso lavoro e con il denaro delle tasse della povera gente. Gesù è nato in Giudea, a Betlemme, la città di Davide. E anche se ha vissuto quasi sempre in Galilea, ha tuttavia frequentato la Giudea: Gerusalemme, il Tempio, i pellegrinaggi, le feste, in particolare la Pasqua.
In particolare va sottolineato il rapporto di Gesù con il Tempio: egli non lo vuole distruggere, ma vuole ricordare una delle finalità per cui al tempo di Salomone fu costruito il Tempio: non solo doveva rappresentare la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, ma doveva rappresentare anche l’esistenza del popolo, l’esistenza del popolo doveva diventare tempio di pietre vive, casa esistenziale costruita non da mani d’uomo ma da Dio; doveva diventare il tempio di pietre cifra di una esistenza donata al Signore e ai fratelli, come la povera vedova che getta la sua vita nel tesoro del tempio e che Gesù indica come modello per ogni credente. E Gesù prenderà coscienza che la sua esistenza diventerà tempio nuovo offerto al Signore e all’umanità.
La Samaria è la regione situata tra la Galilea e la Giudea. È una regione considerata scismatica dai giudei perché sul monte Garizim costruì un tempio (intorno al 330 a.C.) e si organizzò di una classe sacerdotale. Perciò c’era inimicizia tra i samaritani e i giudei. Grazie ai samaritani, però, è stata conservata la Torah. Gesù ha cercato di attraversare la Samaria, ma fu bloccato. Tuttavia non reagisce con la forza, come voleva alcuni discepoli.
È interessante che per ben due volte Gesù pone a modello il samaritano: nella parabola del Buon Samaritano che si prende cura di colui che è stato aggredito da malviventi, e nell’episodio dei dieci lebbrosi dei quali solo uno torna indietro per ringraziare Gesù della guarigione, questi era un samaritano. È il nemico diventato amico e fratello. In questa prospettiva possiamo rileggere la pagina giovannea (Gv 4) del dialogo di Gesù con la Samaritana: nell’incontro con Gesù ella ritrova il senso vero della vita, ritrova il senso vero dell’adorazione di Dio in Spirito e Verità, ovvero diventare lei stessa tempio vivente del Signore.
La situazione socio-economica
La dominazione romana ebbe importanti conseguenze sulla vita religiosa e sociale, sull’amministrazione politica e sullo sviluppo economico della Palestina. Da una parte, la piccola minoranza dei dominatori e dell’aristocratica col suo seguito, che domina politicamente, è possessore di terre, impone le tasse e consuma le ricchezze; dall’altra, la grande maggioranza di produttori di ricchezza (medi e piccoli artigiani, commercianti, pescatori, agricoltori, braccianti, schiavi...) appartenenti ai dominati, che in genere non è possessore di terre ed è spesso costretta – specialmente nelle fasce più deboli – all’indebitamento per le numerose e ingenti tasse da pagare (tasse per il tempio e tasse “statali”).
La divaricazione tra lo strato superiore (dominatori, élite aristocratiche con il loro seguito) e lo strato inferiore della società (benestanti, relativamente poveri al di sopra del minimo vitale, poveri al di sotto del minimo vitale, poveri di tutto) era determinata dal possesso della terra e dall’indebitamento per tasse.
Nel primo periodo della dominazione romana, al tempo di Erode il Grande, allo strato superiore della società appartenevano: 1) l’élite: l’aristocrazia romana, la casa reale erodiana, l’aristocrazia sacerdotale e laicale, alcuni membri del sinedrio; 2) persone al seguito: funzionari amministrativi e militari, sacerdoti e scribi, giudici locali, appaltatori delle imposte, grandi commercianti. Allo strato inferiore appartenevano: 1) benestanti: ceto medio degli artigiani, commercianti, agricoltori; 2) al di sotto del minimo vitale fino alla totale povertà: piccoli artigiani, commercianti, agricoltori, pastori, pescatori, lavoratori a giornata, vedove, orfani, mendicanti, banditi.
Gesù, figlio del falegname Giuseppe, probabilmente egli stesso falegname (carpentiere o lavoratore del legno o artigiano), appartiene al ceto medio della società. La sua famiglia vive una condizione modesta, ma non povera e indigente. Forse proprio questa condizione modesta rende sensibile Gesù verso gli impoveriti e lo aprì a gesti di condivisione: infatti proclama beati i poveri perché Dio vuole che siano liberati dalla miseria e indigenza, e proclama beati i poveri in spirito, perché Dio ci vuole persone umili, semplici, trasparenti, attenti agli altri, in particolare agli impoveriti a causa dell’ingiustizia e dell’avidità umana.
L’attenzione verso gli altri per annunciare loro la buona notizia del Regno di Dio, cioè della presenza paterna e materna di Dio nella vita dell’uomo, portò Gesù a farsi profeta itinerante assieme ai suoi discepoli, vivendo una vita sobria ed essenziale, e con la piena consapevolezza di essere stato chiamato da Dio a vivere con suo Figlio amato, suo Servo, suo Messia, e nello stesso tempo come fratello e servo dell’umanità.
Egidio Palumbo, http://www.retesicomoro.it/Objects/Pagina.asp?ID=5478
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