E’ del 2011 un saggio molto interessante che ha Maria e la donna come soggetti di analisi. L’autrice è una giovane scrittrice sarda di talento (autrice anche del romanzo Accabadora, 2010, Einaudi, vincitore del Premio Campiello). Proponiamo una recensione apparsa su L’Osservatore Romano firmata da Cristina Dobner: “Con una scrittura accattivante, Michela Murgia nel libro Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna (Torino, Einaudi, 2011, pagine 170, euro 16) affronta una tematica di fondamentale importanza. (…) La stessa autrice ne è il filtro principale. Attraverso le sue scelte, dapprima legate all’infanzia e poi, via via, sempre più quelle di donna consapevole, veniamo a scoprire questi piani diversi: la donna Michela, la donna evangelica Maria, che si affrontano e confrontano con la storia di oggi, quella quotidiana della donna nella società e nella Chiesa.
(…) Pagine incisive sulla morte e sul suo rifiuto, si alternano ad altre dove l’equilibrio teologico e riflessivo risuona quantomeno limitato e compromesso da una narrazione teologica unilaterale. (…) Occorre poi ricordare alla scrittrice la valorizzazione del sesso perché regolamentare il sesso tra coniugi significa dargli valore e non mortificarlo, perché la Chiesa non è sessuofobica. E, ancora, va sottolineata la grandezza di Giovanni Paolo II con la sua apertura al genio femminile, che non è trovata propagandistica ma realmente un dono alla donna di oggi. (…)
Seguiamo un brano particolarmente significativo del libro:
Maria la ribelle che con un «sì» rovesciò le regole
Maria di Nazareth è la persona che ha subito il torto piú grande nel dipanarsi di questa colossale struttura di dominio. È stata strumentalmente trasformata in icona della piú passiva docilità, in muta testimonial del silenzio-assenso, e ha finito in modo paradossale per essere proposta come esempio luminoso di donna funzionale ai piani altrui, lei che i piani altrui li aveva sovvertiti tutti senza pensarci su neanche un istante. Il sí di Maria all’annunciazione andrebbe studiato in tutte le circostanze in cui si ragiona di donne, perché è quanto di piú distante dall’ordine patriarcale si possa sperare di vedere. Immaginiamola nel suo contesto questa ragazzina forse sedicenne, ipotetica figlia di un padre che aveva ancora potestà su di lei, e certamente legata a un promesso sposo che quella potestà l’avrebbe invece avuta a breve. Immaginiamola ricevere la piú misteriosa delle visite, e sentirsi dire che presto avrà un figlio.
Non è un ordine quello che riceve Maria dal messaggero misterioso, ma una richiesta importante, una di quelle che in un sistema patriarcale si avanzano al padre, non certo alla figlia. Il Signore annunciò ad Abramo, e non a Sara, che sarebbe rimasta incinta di Isacco. Fu Zaccaria e non Elisabetta a ricevere l’annuncio della gravidanza in tarda età di quel figlio che poi sarebbe diventato Giovanni il Battista. Invece questo misterioso visitatore non rispetta le regole, evita tutti i passaggi rituali del sistema tribale giudaico per rivolgersi direttamente a Maria, rendendola soggetto protagonista della scelta che più la riguarda, come è giusto oggi, ma come non era certo normale nel I secolo. L’angelo del Signore è un anticonformista, ma la fanciulla d’Israele non ha certo la stessa autonomia. Una fanciulla per bene davanti alla proposta sconcertante di restare incinta senza conoscere uomo avrebbe dovuto nel migliore dei casi rifiutare, nel peggiore chiedere tempo. Dire qualcosa di molto assennato e prudente, tipo «ne parlo con mio padre». Oppure con qualcuno piú grande, più esperto, più potente. Poteva parlarne con il suo promesso sposo, per esempio. Se la fidanzata deve restare incinta per opera dello Spirito Santo, forse sarebbe meglio che il futuro sposo ne sia prima informato. Maria si guarda bene dal fare tutto questo. Se l’angelo è un anticonformista, lei lo è di piú. Per questo non accetta subito, ma si permette anche gli spazi della trattativa; al messaggero del Signore osa chiedere persino spiegazioni: «Come è possibile?». Lui è paziente, molto più paziente di quanto non sia stato con l’incredulo Zaccaria, e le annuncia le modalità con cui può avvenire il prodigio. Evidentemente per lei sono sufficienti, perché alla fine dice il famoso sì: «Sia fatto di me secondo la tua parola». Il sì di Maria sarà suonato molto bene nell’alto dei cieli, ma a tutti gli effetti nella terra degli uomini restava un suicidio. Essere rimasta incinta prima di andare a stare nella stessa casa con il promesso sposo non era un fatto che consentisse molte interpretazioni: o lui non l’ha rispettata fino alle nozze, o lei si è concessa a qualcun altro. La gente forse avrebbe pensato che fosse vera la prima ipotesi, e sarebbe stato già molto grave, ma Giuseppe avrebbe pensato sicuramente alla seconda, e questo poteva significare solo una cosa per Maria: pietre. Persino una ragazza tanto sciocca da accettare l’offerta del messaggero del Signore a questo punto sarebbe tornata in sé e sarebbe corsa dal padre, dal fidanzato, dallo zio, dal sommo sacerdote o da una donna più vecchia per raccontare che cosa era successo, cercando di farlo capire e accettare prima che cominciasse a vedersi sul suo corpo. Eppure Maria non fa nulla di tutto questo. Si tiene il suo segreto, la sua visita misteriosa e il suo bambino che le cresce nel ventre, e non dice niente a nessuno. Anzi, fa proprio quello che potrebbe aumentare agli occhi di tutti la sua colpevolezza: si mette in viaggio e va a trovare sua cugina Elisabetta, l’unica che si accorgerà che è incinta. Quando tre mesi dopo Maria torna a casa, la pancia è abbastanza grande perché anche Giuseppe la veda; solo il suo buon cuore farà scartare al falegname di Nazareth l’ipotesi di farla ammazzare a colpi di pietra per adulterio. Sarà un sogno a distoglierlo dalle idee di ripudio e a convincerlo che quello che sta avvenendo è volere di Dio: da quel momento lui di Maria e del suo bambino misterioso diventerà il protettore più scaltro e attento. Ma in tutto questo Maria ha fatto solo quello che ha voluto, nei tempi e nei modi che ha deciso, a condizioni stabilite da lei, costringendo di fatto a piegarsi alla sua libertà di dire sì tutto il sistema che la circondava e pretendeva di dettarle legge. Affonda anche qui l’originaria natura destabilizzante del cristianesimo e Maria lo capisce molto bene. Il canto liberatorio del Magnificat che l’evangelista le mette sulle labbra a casa della cugina Elisabetta rappresenta a tutti gli effetti un inno al sovvertimento dello status quo. Il Dio che ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili ha anche destabilizzato una volta per sempre la gerarchia patriarcale tra l’uomo e la donna, facendo di una ragazza la massima complice della salvezza del mondo. Quel Dio ha fatto di lei, l’ultima delle ragazze di Israele, una il cui nome sarà benedetto da tutte le generazioni a venire. Maria può permettersi di cantare quelle parole perché con il suo sì ha fatto saltare il tavolo, ha stabilito le condizioni del riscatto, ha voltato la carta della storia di Israele e non c’è più nessuno che potrà farle credere che qualcosa non è possibile a una donna. Con una simile madre non c’è da stupirsi se Cristo per tutta la sua vita pubblica ha usato alle donne un’attenzione altrettanto anticonformista rispetto al contesto in cui è vissuto. Non c’è niente come la Scrittura per rivelarci quanto sia falsa l’idea di Maria che vogliono darci a bere come docile e mansueta, stampino perfetto di tutte le donnine per bene.
Michela Murgia, Ave Mary
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