Matrimoni che sembrano perfetti
Di fronte a tante crisi matrimoniali occorre ritrovare la ricchezza di tre verbi: accogliersi, curarsi, inventarsi. Tre atteggiamenti che richiedono una maturità che sovente non c'è
I dati statistici sulle separazioni e sui divorzi in Italia continuano a non essere incoraggianti. (…)
I segreti della riuscita possono essere riassunti in tre condizioni: accogliersi, curarsi, inventarsi. Se ieri, nei contesti rurali e provinciali, nonostante la mancanza di uno di questi elementi, il matrimonio poteva reggere, oggi non è più così. Senza le condizioni di vivibilità della vita familiare, le separazioni (di fatto e formali) sono in agguato.
Curarsi - Aver cura dell'altro significa essere attento alle sue esigenze; avere la capacità non soltanto di non offenderlo, ma di averlo talmente presente da essere capace di anticiparlo: nei sentimenti, nelle sfumature, nel suo benessere. Non si tratta di essere psicologi; occorre essere tesi alla felicità dell'altro. Se l'attenzione è reciproca, la felicità può essere raggiunta insieme. Spesso si sente parlare della solitudine in famiglia: in momenti delicati, dolorosi, di difficoltà; sentire l'altro lontano, indifferente è una ferita mortale. Subentra la percezione dell'abbandono e, alla fin fine, del tradimento. Curarsi indica un moto reciproco di attenzione, ma ciascun coniuge ha bisogno dell'altro in maniera disuguale. Aver cura significa essere teso ai bisogni dell'altro: in momenti diversi e forse anche in quantità diverse. Importante è che ci sia reciprocità, nello sforzo di un equilibrio armonioso a beneficio di tutti e due. Non può essere un "dovere", ma un'attenzione spontanea perché nasce dal profondo del cuore. Il parlarsi è indice di armonia: troppo spesso i coniugi non si parlano a sufficienza. Dialogare significa prima di tutto rompere l'isolamento, ma significa anche affinare pensieri, comprendere le ragioni dell'altro, ampliare la visione delle cose.
Inventarsi - Inventarsi significa progettare la vita in continuazione. Non abbandonarsi all'ovvio, al quotidiano, alla mediocrità. È uno dei rischi gravi che incombe sulla maggior parte della famiglia. Quando la tregua dei due è sufficientemente subìta, i coniugi continuano a convivere per abitudine, per interesse, per ovvietà. Progettare futuro impedisce la stagnazione di convivenze insignificanti. Spesso sono i figli a fare da amalgama tra genitori. In questo modo si spostano semplicemente gli squilibri tra padre e madre, per caricarli sulla prole. Tutta la famiglia ne risente: lo squilibrio è evidente perché sono gli stessi figli a volere genitori che si vogliono bene, che si aiutano, che vivono unità. Se i due coniugi rimangono impietriti senza più interessi, progetti, futuro, sciupano l'esistenza e soprattutto soffrono. Alla soglia dei cinquant'anni i figli possono accudire a se stessi; senza abbandonarli, è molto bello che i coniugi pensino a qualcosa di altro; per rendere la vita utile con un fine nobile. Sono nell'età migliore perché ancora creativi e sufficientemente liberi da arrecare benessere a qualcuno fuori dalla cerchia strettamente familiare. (…)
Le nuove generazioni - Se quelle descritte sono le condizioni per la riuscita di una famiglia, si comprende bene perché spesso le famiglie si rompono irrimediabilmente. La domanda si fa più pertinente. Gli sposi hanno coscienza di ciò che vogliono fare? La risposta non è semplice. Si è creata una scissione tra le possibilità di un equilibrio nuovo e più maturo e le capacità reali delle persone di realizzarlo. A ben riflettere, una famiglia "moderna" che abbia i presupposti della maturità è più consapevole, equilibrata, felice. Eppure, il divario tra sogno è realtà è diventato troppo ampio. Nei giudizi che si danno sulle giovani generazioni spesso si fa appello alla condanna. Credo non sia così. I dati espliciti dicono che i giovani sono sinceri e leali: il problema è che hanno esigenze raffinate. Da qui le sconfitte che sono sempre e comunque dolorose. Non si tratta, come spesso succede, di cattiva volontà, ma di incapacità a realizzare sogni che pure vogliono. Come si esce dunque da uno schema che rischia di diventare un circolo vizioso? In due modi. La formazione delle giovani coppie da una parte; la pazienza e la tolleranza da parte delle istituzioni.
Due vie di uscita - Per formazione intendiamo il raggiungimento di una maturità adeguata alle attese. Non a caso, le persone risposate, dopo un precedente fallimento, resistono di più. Sono maturate, capendo che cosa significa la vita matrimoniale, ma anche perché "abbassano" le attese. Il problema della discordanza tra ideali e realtà è diventato il problema cardine dei giovani. Una riflessione adeguata è indispensabile da parte degli adulti di oggi. L'ansia di non far soffrire i figli spesso impedisce la loro maturazione. Ciò che è bello, fa la felicità, è desiderabile ma, a differenza di quanto si pensa, costa molto. La tecnologia, la comunicazione e la libertà danno la sensazione che sia sufficiente desiderare per realizzare. La condizione umana - oggi più di ieri - non è cambiata. Per realizzare occorre "lavorare": nell'apprendere, nell'avere equilibrio, nell'attuare sogni. I ragazzi accorciano le distanze e non sono disposti a percorre la strada della vita piena di fatica e di lavoro. Le prime vittime di questo squilibrio sono i protagonisti stessi. Gli adulti possono correggere la rotta, iniziando da subito a rafforzare l'identità dei propri figli. Anche l'educazione cristiana può contribuire ad una formazione adeguata alle attese. Accompagnare le giovani generazioni a una visione forte della vita e degli affetti è diventato urgente. Con pazienza, costanza, disponibilità. La chiesa, nel quadro delle famiglie che non reggono, si trova in grande imbarazzo. Nelle celebrazioni del matrimonio, formalmente, sembra tutto in regola. Il consenso è espresso con libertà, con coscienza e con volontà e le formalità sono rispettate. Non è possibile, esternamente, intervenire nella dinamica delle relazioni dei coniugi, senza evidenti prove di inadeguatezza. È il limbo delle celebrazioni di tanti matrimoni cristiani che appaiono perfetti e non lo sono. Una strada da percorrere è quella della tolleranza. È arrivato il momento di una preparazione adeguata al sacramento, di cui i celebri "corsi prematrimoniali" sono una piccola parte. La regola del Codice che individua nei coniugi l'intenzione di fare ciò che fa la chiesa, è diventata una sintesi non scontata. È meglio attendere la celebrazione del sacramento con responsabilità piena, compresa la maturità umana, piuttosto che procedere a celebrazioni solo apparentemente perfette. L'attesa della celebrazione del matrimonio, pur in presenza di convivenze e di matrimonio civili, crea problemi di coscienza. Non differenti da quelli procurati da legami sacramentali inadeguati. L'indicazione è il rispetto delle coscienze dei singoli, le sole in grado di definire responsabilità.
“Il guaio dell'amore è che molti lo confondono con la gastrite”. Questo di Groucho Marx è il primo pensiero che mi viene in mente quando penso a matrimonio e convivenza.
Circolano un sacco di idee squinternate sull'amore tra un uomo e una donna, e quando ci si scontra con la realtà si danno delle poderose craniate.
Personalmente sull'argomento avrei un miliardo di cose da dire, ne ho riempito un libro, un blog e me ne sono avanzate anche alcune (non è escluso che ne scriva un secondo). Ero stanca, infatti, di telefonare alle mie amiche per cercare di convincerle a sposarsi: troppi soldi in bollette telefoniche, e scarsissimi risultati pratici. Io a parlare non sono brava, così mi sono messa a scrivere. Adesso vanto al mio attivo qualche crisi rattoppata, e due onorificenze speciali: testimone di nozze a un'amica e a una sorella.
Circolano un sacco di idee squinternate sull'amore tra un uomo e una donna, e quando ci si scontra con la realtà si danno delle poderose craniate.
Personalmente sull'argomento avrei un miliardo di cose da dire, ne ho riempito un libro, un blog e me ne sono avanzate anche alcune (non è escluso che ne scriva un secondo). Ero stanca, infatti, di telefonare alle mie amiche per cercare di convincerle a sposarsi: troppi soldi in bollette telefoniche, e scarsissimi risultati pratici. Io a parlare non sono brava, così mi sono messa a scrivere. Adesso vanto al mio attivo qualche crisi rattoppata, e due onorificenze speciali: testimone di nozze a un'amica e a una sorella.
La gastrite di cui parla Groucho Marx ci rimanda all'amore adolescenziale, quello tutto mal di pancia, farfalle nello stomaco, gratificazione di ego malsicuri. E' ovvio che alla ricerca di questo stato d'animo di perenne eccitazione sia prudente e ragionevole non sposarsi, vedere piuttosto come va, lasciarsi comunque la possibilità di tirarsi fuori dalla situazione senza troppe complicazioni.
Ma se l'amore è darsi, come si può pensare di non dare tutto, almeno di non provarci? Il desiderio di assoluto che c'è in ognuno di noi esige dal nostro amato, e lui da noi, un impegno totale, esclusivo, definitivo. Il matrimonio è questo, un salto, uno slancio di dono assoluto. E il matrimonio stesso, con la sua definitività, ci custodirà negli anni, nei momenti di fatica, di dubbio. Alzi la mano chi non ha mai pensato, nemmeno per un istante, di avere fatto la scelta sbagliata. Il dubbio viene, è normale, guardando a tutto quello che si è lasciato per prendere una strada, che anche se è la più bella, vera e giusta per noi, è pur sempre una sola, e il piccolo fugace sguardo a tutte le altre è la garanzia che la nostra è una vera scelta. Prendere qualcosa, scartare qualcos'altro.
Tra matrimonio e convivenza la differenza non è affatto nella durata. Conosco convivenze decennali e matrimoni, purtroppo, durati mesi. La differenza è una vera e propria rivoluzione copernicana. Chi sta al centro.
Nella convivenza io, noi due nella migliore delle ipotesi, siamo il metro di noi stessi. Cerchiamo, spesso con impegno, serietà, onestà e lealtà di far andare le cose, ma se non vanno niente ci obbliga.
Il matrimonio è un trascendere se stessi, è affidare a un vincolo la propria vita, decidendo di spenderla tutta senza calcolare, senza risparmiare.
Infatti, ho appena scritto vincolo, ma avrei dovuto dire sacramento perché per come la vedo io senza la grazia di Dio sposarsi è davvero un grossissimo azzardo. Il giogo può anche in certi casi diventare davvero pesante da trascinare fino alla fine dei propri giorni. Impensabile farcela senza l'aiuto di Dio.
Il matrimonio cristiano, per me, è l'unico che abbia un senso. A meno che non vogliamo credere che quando ha detto “senza di me non potete far nulla” Gesù stesse scherzando. Io penso che parlasse sul serio, e che nulla voglia dire proprio nulla.
Senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di un'impresa come imparare ad amare un'altra persona, diversa da noi, e per di più dell'altro sesso. No, dico, un uomo, in casa, per sempre, per tutta la vita. Uno che cambierà canale e aprirà le finestre nei momenti più inconsulti, che si annoierà agli appassionanti resoconti delle peripezie sentimentali di nostra cugina, che ogni volta che vogliamo parlare, caro, della nostra relazione verrà colto da un attacco di letargismo, che sbaglierà i nomi delle maestre e confonderà gli amichetti dei figli, che sbiancherà alla sola idea di organizzare una rete di telefonate per il regalo di fine anno alla catechista.
Va bene, lo ammetto, anche stare con una donna, sempre la stessa, non è facilissimo. Una che quando dice “sono pronta tra cinque minuti” è bene che lui si sieda sul divano e tiri fuori il cofanetto di Stanley Kubrick; una che non fa mai meno di tre cose insieme, e una delle tre è quasi sempre bruciare i bastoncini Findus; una che per strada si ferma a parlare anche con i lampioni, che esce a comprare una cosuccia e torna con due buste; una che dice di voler schiacciare la propria lingua sotto i piedi come l'Immacolata fa col serpente, ma è molto lontana dall'obiettivo.
Amare davvero è difficilissimo: sostenersi, accogliersi, perdonarsi, capirsi e aiutarsi. E farlo nel modo in cui l'altro desidera, più o meno consapevolmente. A volte bisogna capire dell'altro quello che nemmeno lui sa, e ci vuole tutta la nostra creatività, l'intuito, la dedizione. Neanche i figli a volte siamo capaci di amare senza egoismo, senza proiezioni. (…)
Ma se l'amore è darsi, come si può pensare di non dare tutto, almeno di non provarci? Il desiderio di assoluto che c'è in ognuno di noi esige dal nostro amato, e lui da noi, un impegno totale, esclusivo, definitivo. Il matrimonio è questo, un salto, uno slancio di dono assoluto. E il matrimonio stesso, con la sua definitività, ci custodirà negli anni, nei momenti di fatica, di dubbio. Alzi la mano chi non ha mai pensato, nemmeno per un istante, di avere fatto la scelta sbagliata. Il dubbio viene, è normale, guardando a tutto quello che si è lasciato per prendere una strada, che anche se è la più bella, vera e giusta per noi, è pur sempre una sola, e il piccolo fugace sguardo a tutte le altre è la garanzia che la nostra è una vera scelta. Prendere qualcosa, scartare qualcos'altro.
Tra matrimonio e convivenza la differenza non è affatto nella durata. Conosco convivenze decennali e matrimoni, purtroppo, durati mesi. La differenza è una vera e propria rivoluzione copernicana. Chi sta al centro.
Nella convivenza io, noi due nella migliore delle ipotesi, siamo il metro di noi stessi. Cerchiamo, spesso con impegno, serietà, onestà e lealtà di far andare le cose, ma se non vanno niente ci obbliga.
Il matrimonio è un trascendere se stessi, è affidare a un vincolo la propria vita, decidendo di spenderla tutta senza calcolare, senza risparmiare.
Infatti, ho appena scritto vincolo, ma avrei dovuto dire sacramento perché per come la vedo io senza la grazia di Dio sposarsi è davvero un grossissimo azzardo. Il giogo può anche in certi casi diventare davvero pesante da trascinare fino alla fine dei propri giorni. Impensabile farcela senza l'aiuto di Dio.
Il matrimonio cristiano, per me, è l'unico che abbia un senso. A meno che non vogliamo credere che quando ha detto “senza di me non potete far nulla” Gesù stesse scherzando. Io penso che parlasse sul serio, e che nulla voglia dire proprio nulla.
Senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di un'impresa come imparare ad amare un'altra persona, diversa da noi, e per di più dell'altro sesso. No, dico, un uomo, in casa, per sempre, per tutta la vita. Uno che cambierà canale e aprirà le finestre nei momenti più inconsulti, che si annoierà agli appassionanti resoconti delle peripezie sentimentali di nostra cugina, che ogni volta che vogliamo parlare, caro, della nostra relazione verrà colto da un attacco di letargismo, che sbaglierà i nomi delle maestre e confonderà gli amichetti dei figli, che sbiancherà alla sola idea di organizzare una rete di telefonate per il regalo di fine anno alla catechista.
Va bene, lo ammetto, anche stare con una donna, sempre la stessa, non è facilissimo. Una che quando dice “sono pronta tra cinque minuti” è bene che lui si sieda sul divano e tiri fuori il cofanetto di Stanley Kubrick; una che non fa mai meno di tre cose insieme, e una delle tre è quasi sempre bruciare i bastoncini Findus; una che per strada si ferma a parlare anche con i lampioni, che esce a comprare una cosuccia e torna con due buste; una che dice di voler schiacciare la propria lingua sotto i piedi come l'Immacolata fa col serpente, ma è molto lontana dall'obiettivo.
Amare davvero è difficilissimo: sostenersi, accogliersi, perdonarsi, capirsi e aiutarsi. E farlo nel modo in cui l'altro desidera, più o meno consapevolmente. A volte bisogna capire dell'altro quello che nemmeno lui sa, e ci vuole tutta la nostra creatività, l'intuito, la dedizione. Neanche i figli a volte siamo capaci di amare senza egoismo, senza proiezioni. (…)
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