di Christian Albini | 28 giugno 2013 http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1340
Il linguaggio di Bergoglio corrisponde a un vero e proprio stile, a un modo di vivere la fede e di vedere la Chiesa
Riproponiamo dal suo blog Sperare per tutti questa lettura del primo scorcio di Pontificato proposta da Christian Albini. Si tratta di un intervento tenuto sabato scorso, a Parma, all'assemblea dell'associazione Viandanti.
----------------
A partire dall'elezione di papa Francesco, ciascun gesto e ciascuna parola di Bergoglio sono stati soppesati quasi ossessivamente da più parti per rispondere a una stessa domanda: è un conservatore o un progressista? Questo schematismo, di cui anch'io mi accorgo di risentire, è indice di una frattura profonda che divide da decenni la chiesa cattolica al suo interno, provocando scontri e contrapposizioni che smentiscono la fraternità cristiana. Di fronte al nuovo papa ci si chiede perciò se sta dalla propria parte. Ecco allora che c'è chi si affretta ad arruolarlo nel proprio schieramento perché parla del diavolo e della Madonna, così come altri si appellano ad aspetti diversi della sua predicazione.
A questo modo di pensare è correlata l'ossessione della continuità, per cui di tutto ciò che il papa fa o dice bisogna affermare che non cambia niente rispetto al passato, come se l'esperienza cristiana non fosse cammino e conversione, ma solo conservazione. Per non parlare di chi sostiene che i papi sì cambiano, con le loro personalità, ma tutto fa parte dell'unico disegno dello Spirito, come se la libertà personale non esistesse e i pastori fossero solo dei burattini.
Da parte mia, ritengo che in papa Francesco ci sia una novità positiva, anche se per la sua storia e provenienza Bergoglio non è inquadrabile nella dicotomia di cui sopra. E questo è positivo, perché è uno schema che finisce con il paralizzare la chiesa. Per la sua storia personale e provenienza, Francesco porta in sé elementi più tradizionali assieme ad altri che sono una rottura rispetto a certi aspetti del cattolicesimo ormai irrigiditi e che oggi non esprimono più la novità evangelica.
Papa Bergoglio sta operando, con gesti e parole, una riconfigurazione linguistica dentro la chiesa che mette in rilievo accenti e priorità nuovi. E' un'opportunità, per la chiesa cattolica, di riguadagnare slancio e respiro. Certo, al momento mancano ancora scelte di governo profonde ed esplicite corrispondenti a questo nuovo lessico. Ci vogliono, perché questo cambiamento sia effettivo, ma i segnali che si va in questa direzione non mancano.
Il linguaggio di Francesco corrisponde a un vero e proprio stile, a un modo di vivere la fede e di vedere la chiesa che apre possibilità finora sottovalutate di sequela del Signore secondo il Vangelo. E' uno stile in cui confluiscono l'appartenenza alla Compagnia di Gesù, le intuizioni del Concilio Vaticano II, la sua estrazione latinoamericana. Ho provato a sintetizzare le caratteristiche di questo lessico in sette punti, richiamando anche le sintonie implicite con la Parola di Dio.
1. Il modo di intendere il papato, spogliandolo dalla sua accezione monarchica che si è stratificata nel corso dei secoli. E' uno degli aspetti più evidenti: il definirsi preferibilmente vescovo di Roma, il presentarsi al saluto con la sola talare bianca, i riferimenti al modo di intendere il ministero petrino nel primo millennio che hanno avuto un forte impatto ecumenico, il risiedere a Santa Marta, le omelie pronunciate in piedi, la sostituzione del trono papale con una poltrona e tanti altri. Un papa che si presenta come pastore, più che come sovrano, corrisponde a quanto dice Gesù esortando gli apostoli a non fare come i potenti del mondo (cfr. Mt 20,24-27; Mc 10,41-45; Lc 22,24-27).
2. Gli accenni insistenti alla misericordia di Dio che diventa una vera e propria chiave interpretativa della fede cristiana. Ciò che conta, nel cammino del credente, è la fiducia, il credere all'amore (cfr. 1 Gv 4,16), prima della dottrina e dei principi etici che possono finire per diventare motivo di esclusione. Walter Kasper, nel libro sulla misericordia che Francesco ha citato al primo Angelus, riconosce come il primato della misericordia cambi la gerarchia delle verità di fede e sia stato colpevolmente sottovalutato dalla riflessione teologica. Questo accento sta portando molte persone a guardare nuovamente con simpatia alla chiesa e al suo annuncio, anche se c'è chi vorrebbe invece una chiesa del rigore dai cancelli chiusi.
3. La collegialità e la sinodalità come modo di vivere le relazioni dentro la chiesa, non più all'insegna del verticismo gerarchico, ma del camminare insieme, della partecipazione di tutti pur nella diversità dei ministeri (legate all'appartenenza all'unico corpo di Cristo, cfr. 1 Cor 12). Sinodalità è uno dei nomi della comunione. La scelta di otto consiglieri e i colloqui continui con i membri della curia sono il segnale di un papa che non governa nell'isolamento, ma vuole prima di tutto ascoltare.
4. L'esplicitazione della necessità di una riforma della Chiesa, a cui gli otto consiglieri dovrebbero lavorare, a cominciare da realtà come la Curia e lo Ior. E' una rottura con l'idea della chiesa come società perfetta, l'immagine di una istituzione che si vuole presentare come sostanzialmente immodificabile. Una chiesa che non ha bisogno di riforme non vuole rinnegare se stessa e prendere la croce per seguire il Signore (cfr. Mt 16,24).
5. Il recupero in positivo di espressioni del Vaticano II cadute nel dimenticatoio che hanno una notevole forza dirompente. Penso ai richiami ripetuti alla chiesa dei poveri, che assume lo stesso stile di Gesù nella sua missione, rinunciando alle sicurezze mondane, all'essere potere tra i poteri. Come può la chiesa fare diversamente dal suo Signore che ha identificato se stesso con i poveri (cfr. Mt 25,31-45). Un'altra espressione conciliare che ha fatto il suo ritorno nel linguaggio ecclesiale con papa Francesco è quella della chiesa come "popolo di Dio" che semntisce la gerarcologia piramidale.
6. L'invito continuo ad andare nelle periferie, quelle sociali ed economiche, ma anche quelle esistenziali. Significa una chiesa che si sporca le mani, che sta con i poveri, che corre dei rischi, pur di uscire da se stessa e rompere la tentazione dell'auto-referenzialità. E' una chiesa che non fortifica i confini, con un atteggiamento esclusivista, ma cerca l'incontro. Agisce, insomma, come il buon samaritano della parabola (cfr. Lc 10,25-37) all'insegna del "farsi prossimo".
7. La rinuncia all'uso retorico e politico del codice dei "valori non negoziabili". Anche in occasione della giornata dell'Evangelium vitae, Bergoglio ha parlato della vita in termini esortativi, propositivi, senza assumere l'atteggiamento della contrapposizione con quei governi che adottano provvedimenti legislativi distanti dai desiderata vaticani. E' il modo di fare che sta suscitando più disagio in quei cattolici e in quei prelati che sventolano la bandiera dell'unica cultura cristiana e delle alleanze politiche imperniate sui valori. Sembra che papa Francesco, secondo Massimo Faggioli, si stia nuovendo nella direzione di de-ideologizzare il messaggio morale della chiesa: quando la proclamazione dei valori avviene in modo astratto e staccato dalla preoccupazione pastorale per il bene concreto delle persone a cui quel messaggio si rivolge (che siano coppie sposate, omosessuali, conviventi non sposati, divorziati risposati), il messaggio evangelico diventa ideologico. Questo non è solo un problema di credibilità per la chiesa, ma anche di rispetto del testo evangelico. Penso a episodi come quello dell'adultera (cfr. Gv 8,1-11) o quello della peccatrice (cfr. Lc 7,36-50) in cui l'accoglienza della persona da parte di Gesù prevale sul giudizio.
Nessun commento:
Posta un commento