mercoledì 15 gennaio 2014

CLERO (Dizionario)

Stola e grembiule (T.Bello)

 

Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.
Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.
Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo.
Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.
Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di camice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento!
UN GREMBIULE RITAGLIATO DALLA STOLA
 La cosa più importante, comunque, non è introdurre il “grembiule” nell’armadio dei “paramenti sacri”, ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile.
C’è, nel vangelo di Giovanni, una triade di verbi scarni, essenziali, pregnantissimi, che basterebbero da soli a sostenere il peso di tutta la teologia del servizio, e che illustrano la complementarietà della stola e del grembiule. I tre verbi sono: “si alzò da tavola”, “depose le vesti”, “si cinse un asciugatoio”.
 SI ALZÒ DA TAVOLA
 Significa due cose. Prima di tutto che l’eucarestia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta. Non permette l’assopimento della digestione. Ci obbliga a un certo punto ad abbandonare la mensa. Ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto.
Questo è il guaio: le nostre eucaristie si snervano spesso in dilettazioni morose, languiscono nei tepori del cenacolo, si sciupano nel narcisismo contemplativo e si concludono con tanta sonnolenza lusingatrice, che le membra si intorpidiscono, gli occhi tendono a chiudersi, e l’impegno si isterilisce.
Se non ci si alza da tavola, l’eucarestia rimane un sacramento incompiuto. La spinta all’azione è così radicata nella sua natura, che obbliga a lasciare la mensa anche quando viene accolta con l’anima sacrilega, come quella di Giuda: “Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte”.
Ma “si alzò da tavola” significa un’altra cosa molto importante. Significa che gli altri due verbi “depose le vesti” e “si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucarestia. Se prima non si è stati “a tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo.
Per i presbiteri ogni impegno vitale, ogni battaglia per la giustizia, ogni lotta a favore dei poveri, ogni sforzo di liberazione, ogni sollecitudine per il trionfo della verità devono partire dalla “tavola”, dalla consuetudine con Cristo, dalla familiarità con lui, dall’aver bevuto al calice suo con tutte le valenze del suo martirio. Da una intensa vita di preghiera, insomma.
Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spoliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.
DEPOSE LE VESTI
 Non so se sto forzando il testo. Ma a me pare che con questa espressione del vangelo venga offerto il paradigma dei nostri comportamenti sacerdotali, se vogliono collocarsi sul filo della logica eucaristica.
Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve “deporre le vesti”.
Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.
Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza.
Le vesti del dominio, dell’arroganza, dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà, ben sapendo che “pauper” non si oppone tanto a “dives” quanto a “potens”.
Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni.
Non possiamo amoreggiare col potere. Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente. Gli allacciamenti adulterini con chi manipola il danaro pubblico ci devono terrorizzare. Dovremmo rimanere amareggiati ogni qualvolta ci sentiamo dire che le nostre raccomandazioni contano. Che la nostra parola fa vincere un concorso. Che le nostre spinte sono privilegiate. Il bagliore dei soldi anche se promesso per le nostre chiese e non per le nostre tasche, non deve mai renderci complici dei disonesti, diversamente innescheremmo nella nostra vita una catena di anti-pasque che arresteranno il flusso di salvezza che parte dalla pasqua di Cristo.
In una parola, “depose le vesti” per noi sacerdoti deve significare divenire “clero indigeno” degli ultimi, dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli analfabeti, di tutti coloro che rimangono indietro o sono scavalcati dagli altri.
 SI CINSE UN ASCIUGATOIO
 Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la Chiesa del grembiule”. Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa. Di quelle che non si espongono nelle vetrine per non far mormorare la gente e per evitare commenti pettegoli, ma che tutt’al più si confinano in un album di famiglia, a disposizione di pochi intimi, magari delle signore che prendono il tè, con le quali soltanto è permesso sorridere su certe leggerezze di abbigliamento o su certe poso scattate in momenti di abbandono.
La Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Nell’”hit parade” delle preferenze, il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il legionario tra le mani, o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, con quel piglio vagamente ancillare, viene fuori proprio un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca.

Al «don superman» preferisco il «rallysta» meglio ancora se silenzioso e solido
di Umberto Folena, TOSCANA OGGI 28 giugno 2009
Guardatevi dall’x-priest, il prete superman in calzamaglia nera che prende terribilmente sul serio il monito dell’Uomo Ragno: grande potere, grande responsabilità; e quella responsabilità, cribbio, non può certo condividerla con nessuno, perché a nessuno può essere fatto un simile dispetto ma soprattutto perché – ammettiamolo – nessuno è all’altezza dell’arduo compito. Il prete superman zompa di qua e di là da mattina a sera: prega, celebra l’eucaristia, confessa, visita gli ammalati, organizza la catechesi, presiede a tutte le riunioni (dei giovani, degli adulti, delle famiglie…), celebra battesimi matrimoni funerali, coordina la carità, legge il giornale, guarda il tg, scrive il bollettino parrocchiale, segue il sito internet parrocchiale, si fa il caffè e – abbiamo il sospetto – si lava pure i calzini: tutto! Guardatevi dal superman e dalla sua deriva fatale, il prete individualista, che tale tuttavia non sembrerebbe. Non vediamo come abbraccia, avvolge, avviluppa la sua comunità? «Sua» nel senso non che lui appartiene a lei ma, viceversa, lei appartiene a lui, quasi come proprietà privata.
Il prete individualista è lider maximo circondato da fedeli che lo applaudono, cantandone le ineffabili virtù. È seduttore di folle e organizza la liturgia eucaristica attorno alla propria impareggiabile omelia: originale, brillante, acuta, praticamente uno show. E magari gli riesce pure perché non manca né di cultura né di capacità imprenditoriali. Attorno a lui c’è spazio però soltanto per i gregari che s’inchinino di fronte alla sua indiscussa leadership. Talentuosi, forse; ma gregari. C’è spazio per i complici, non per gli amici. Per i meri esecutori, non per le teste pensanti. Che, vedendo considerati superflui, se non fastidiosi, i propri pensieri, ad un certo punto smettono di pensare. O vanno a pensare, e fare, da qualche altra parte. (…) Abbiate simpatia, invece, per il prete rallysta, quello che conosce ogni curva dell’Appennino come le proprie tasche, nel territorio delle parrocchie di sua competenza. Piccole, a volte minuscole; ma sono comunità vive che meritano il maggior numero possibile di visite. E allora scala la marcia, terza seconda e ancora terza. (…) Abbiate simpatia anche per il prete (che si considera) di serie B, perché cade nella facile tentazione di misurare se stesso sui  preti-coraggio, i preti di strada, i preti che vanno in tv, i preti opinionisti che finiscono intervistati, ed elogiati, dalla stampa progressista (!). Abbiate simpatia per loro e dissuadeteli dall’imitare chicchessia, perché siamo tutti diversi e tutti unici, e la Chiesa non ha bisogno di preti fotocopia. Aiutateli – se per caso la stanno perdendo o si è scolorita – a rinfrescare la propria autostima. Abbiate simpatia per l’uomo della presenza, il prete silenzioso, non affetto da protagonismo ma che c’è, ogni volta che la sua gente ha bisogno di lui. Il prete solido che non si sbriciola e nei momenti topici dell’esistenza – nascite, matrimoni, malattia, morte, dolore e gioia – si fa trovare al suo posto, con la parola giusta al momento giusto, mezza di meno forse, mai mezza di più. Presente, misurato, affidabile. Di lui, non di altri, si ricorda chi 30 anni fa aveva 20 anni e, come cantano Conte-Celentano in «Azzurro», chissà perché e chissà per come sentono un inesplicabile bisogno di «un prete per chiacchierar». Forse non per chiacchierare solamente… Apprezzate e sostenete il prete della comunità, colui che dopo anni e anni di formazione dei laici, con laici straformati, diplomati ed eruditi, decide che si può osare e affidare loro qualche responsabilità. È il prete che non erige palizzate per conservare il gregge, per sparuto che sia ormai, ma le abbatte e allarga il cerchio, aprendo la comunità a chiunque abbia idee, entusiasmo, tempo, carismi, attitudini, abilità. E infine applaudiamo al prete uomo di Dio, che fa, si agita, organizza, soccorre e aiuta e conforta, fa pure il rallysta se necessario, ma soprattutto – prima, durante e dopo – a chi incontra indica con il dito che Lassù c’è un Padre che ci ama; che c’è un Lassù, e non è vero che tutto si esaurisca Quaggiù. E non solo lo dice ma lo dimostra, pregando e facendo pregare. È il prete che ama se stesso e gli altri, e se a volte è travolto dalla stanchezza ha l’umiltà, e l’intelligenza, di fermarsi, sfilarsi la calzamaglia nera, scoprirsi nudo e debole come un uomo, ma forte come chi è infinitamente amato proprio per la sua umanità, fragile e meravigliosa. E allora riparte. A quali di questi profili di prete appartenga il Duemila, beh, dovrebbe essere chiaro.



Si cerca un uomo
di don Primo Mazzolari
Si cerca per la Chiesa
un prete capace di rinascere
nello Spirito ogni giorno.

Si cerca per la Chiesa un uomo
senza paura del domani
senza paura dell'oggi
senza complessi del passato.

Si cerca per la Chiesa un uomo
che non abbia paura di cambiare
che non cambi per cambiare
che non parli per parlare.

Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di vivere insieme agli altri
di lavorare insieme
di piangere insieme
di ridere insieme
di amare insieme
di sognare insieme.

Preghiera per la santificazione dei sacerdoti

Signore dal Cuore dolce e umile,
Degnati di formare in noi un cuore di povero, che sente profondamente la propria miseria e mette tutte le sue spe­ranze in Dio;
Un cuore puro, interamente distaccato dai beni di que­sto mondo e liberato dalle ambizioni terrene;
Un cuore umile veramente felice d'essere ignorato, la­sciato nell'ombra, e anche d'essere maltrattato e disprezza­to;
Un cuore dolce, che diffonde la soavità e l'incanto del tuo amore;
Un cuore aperto, accogliente, pieno di comprensione per le pene degli altri;
Un cuore benevolo, che sia il messaggero della tua bontà e della tua pace;
Un cuore semplice e allegro, che conservi la sua gioia anche nell'esperienza della propria miseria perché ha fiducia nel tuo amore onnipotente;
Un cuore silenzioso, che sappia tacere il male e che per­doni e dimentichi ogni offesa;
Un cuore generoso, che non rifiuti mai di servire e di sa­crificarsi per gli altri;
Un cuore sacrificato, capace di offrire in segreto, ma con entusiasmo, le sue prove per la salvezza delle anime!

Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande,
nobile di spirito come di sangue reale,
semplice e naturale come ceppo di contadino,
una sorgente di santificazione,
un peccatore che Dio ha perdonato,
un servitore per i timidi e i deboli,
che non s'abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri,
discepolo del suo Signore,
capo del suo gregge,
un mendicante dalle mani largamente aperte,
una madre per confortare i malati,
con la saggezza dell'età e la fiducia d'un bambino,
teso verso l'alto, i piedi a terra,
fatto per la gioia, esperto del soffrire,
lontano da ogni invidia,
lungimirante,
che parla con franchezza,
un amico della pace, un nemico dell'inerzia,
fedele per sempre.

anonimo medievale

 

 

Preghiera per i sacerdoti

Spirito del Signore, dono del Risorto agli apostoli del cenacolo, gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente e con l'olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro.
Liberali dalla paura di non farcela più. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore
 si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. Fa' risplendere di gioia i loro corpi. Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce. Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.


Da François Trochu, Il Curato d’Ars.
Coloro che hanno avuto la fortuna di assistere alla sua Messa hanno potuto costatare la trasfigurazione che si operava in tutta la sua persona durante la celebrazione. Di questo era conscio egli medesimo, tanto che giunse a raccomandare alle orfanelle della “Provvidenza” di non guardare il sacerdote quanto celebra. La fede aveva fatto di lui un Angelo e l’amore un Serafino. Queste qualità si manifestavano in modo straordinario quanto era all’altare, illuminando i suoi occhi e dando al suo viso un’espressione mirabile. Andrea Trève ci dive di avere osservato che, durante la Mesa, il suo contegno raccolto aveva tutte le apparenze dell’estasi. Si era portati istintivamente a guardare se mai i suoi piedi non si alzassero da terra, del resto, il Santo medesimo confessò che, qualche volta, le Specie eucaristiche erano state per lui il solo nutrimento: «Avevo fame durante la Messa – disse un giorno a Caterina –, ma, quando mi sono comunicato, ho detto al Signore: “Nutrite il corpo e l’anima”, e la mia fame scomparve». [...] «Dopo la consacrazione – aveva detto un giorno il Santo, – quando tengo il Signore tra le mie mani, io dimentico tutto». Se queste parole sono oscure, ne abbiamo altre che ci sembrano più esplicite: «Durante la Messa, quando si prega il Signore per i poveri peccatori, egli manda ad essi raggi di luce, perché scoprano le proprie miserie e si convertano».

Signore dal Cuore apostolico,
Aiutaci ad amare fino all'estremo le anime e a non met­tere alcun limite al nostro zelo. Poiché hai sacrificato la tua vita per ciascuna di queste anime e le hai giudicate tutte de­gne del prezzo del tuo sangue, facci comprendere che dob­biamo prodigarci totalmente per ciascuna di esse; che nel nostro apostolato non dobbiamo sospendere troppo presto i nostri sforzi, non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle resi­stenze o dagli insuccessi, e soprattutto non ci dobbiamo contentare del minimum, né per trascuratezza, né per delu­sione!

Non permettere che ci sentiamo soddisfatti, sordi alle grida di angoscia degli altri né che siamo degli avviliti rin­chiusi nell'inazione!

Dacci un cuore apostolico instancabile, come il tuo! Inse­gnaci a ricominciare continuamente con maggiore generosi­tà, senza lamentarci e in una offerta sempre più completa di tutti noi stessi; ad accettare lietamente tutti i sacrifici che il bene delle anime esige, sicuri che questi sacrifici,come tutti i nostri sforzi apostolici, ricevono da te una grande fecondi­tà. In queste disposizioni di fiducia fa' che avanziamo sem­pre più, decisi a lasciarci divorare dal compito così bello di farti conoscere e amare dal maggior numero possibile di uo­mini!

Preghiera dei Fedeli:
 
Celebrante: Signore Gesù Cristo, Sommo Sacerdote e Re dell’Universo, che dal Trono della Tua Santa Croce, attiri a Te tutti gli uomini, perché liberati dal giogo del male, rinasciamo alla Luce del Tuo Amore, ascolta la supplica che, in questi Divini Misteri, il Tuo Popolo orante innalza.
Preghiamo insieme dicendo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
1. Per la Santa Chiesa, affinché, nel Suo materno amore verginale, generi di nuovo e ancora santi Sacerdoti, infiammati dal Fuoco del Tuo Amore, che guidino il popolo con la Tua certa Misericordia, lo educhino alla Verità e lo santifichino offrendo, insieme alla propria esistenza, il Tuo Corpo ed il Tuo Sangue, Fonte di ogni Grazia.

Preghiamo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
2. Per il Santo Padre Benedetto XVI, perché conformato sempre più a Te dallo Spirito Santo, guidi come Pastore dei pastori la Tua Santa Chiesa nell’unità, richiamando incessantemente alla Verità ed alla Santità tutto il Popolo, attraverso il ministero umile e ubbidiente dei Vescovi e di tutti i Sacerdoti, che, solo nella fedeltà alla sua persona, sono fedeli a Te.

Preghiamo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
3. Per quanti non Ti hanno ancora incontrato e riconosciuto come Signore, perché, salutarmente provocati dalla totale, quotidiana e verginale dedizione dei tuoi sacerdoti, non induriscano il proprio cuore ma si affidino, attraverso di loro, alla Santa Chiesa, nella quale splende il Tuo Volto misericordioso.

Preghiamo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
4. Per i Sacerdoti malati e sofferenti, perché, abbracciando la Croce, attraverso la quale li chiami alla santità, riconoscano sempre il Tuo Volto Redentore e offrano ogni fatica intercedendo per la salvezza del popolo loro affidato e per tutta la Santa Chiesa.

Preghiamo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
5. Per i sacerdoti rinati alla Vita Eterna, affinché possano contemplare il Tuo Volto Santo, Che hanno adorato quotidianamente nell’incruento Sacrificio dell’Altare. O Signore, usa loro la stessa inesauribile Misericordia che, nel Tuo Nome, tanto abbondantemente, amministrarono in vita al Tuo Popolo Santo.
Preghiamo: Santifica, o Signore, i Tuoi sacerdoti.
 
Celebrante: Padre Onnipotente, che hai voluto che il Tuo Figlio Risorto permanesse nel mondo attraverso il Corpo Mistico della Chiesa, e hai affidato ai Sacerdoti, per la Potenza dello Spirito, la Sua Presenza Vera Reale e Sostanziale nel Sacramento della Santa Eucaristia, accogli la nostra supplica e donaci una coscienza sempre più viva della grandezza del ministero sacerdotale.
Tu Che Vivi e Regni nei secoli dei secoli. Amen.


Dal vangelo secondo Giovanni (10, 11-30)
11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».

19 Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. 20 Molti di essi dicevano: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?». 21 Altri invece dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?».

22 Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. 23 Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. 24 Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25 Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; 26 ma voi non credete, perché non siete mie pecore. 27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola».

Prendimi!
Prendimi, o Cuore di Cristo, in tutto ciò che sono;
Prendimi in tutto ciò che ho e che faccio, in tutto ciò che penso e tutto ciò che vivo!
Prendimi nel tuo spirito, perché aderisca a te;
Prendimi nel mio volere, perché voglia te;
Prendi tutto il mio cuore, perché ami solo te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, nei miei desideri più nascosti,
Perché tu sia il mio sogno e il mio unico scopo,
Il mio grande amore e la mia perfetta felicità!
Prendimi con la tua bontà, per attirarmi a te;
Prendimi con la tua dolcezza, per accogliermi in te;
Prendimi col tuo amore, per unirmi a te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, nella tua pena e nella tua gioia,
Nella tua vita e nella tua morte, nella notte della tua croce,
Nel giorno immortale della tua resurrezione!
Prendimi con la tua potenza, elevandomi a te;
Prendimi col tuo ardore, infiammandomi per te;
Prendimi con la tua grandezza, per farmi perdere in te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, come tuo servo,
Tuo schiavo e al tempo stesso tuo indegno amico;
Prendi tutta la mia dedizione, fino in fondo, senza limiti!
Prendimi per il lavoro della tua grande missione,
Per il dono integrale alla salvezza del prossimo,
E per ogni sacrificio a servizio dei tuoi!
Prendimi, o Cuore di Cristo, senza limite e senza fine;
Prendi ciò che io non son riuscito a offrirti;
Non mi rendere mai più ciò di cui ti sei impossessato!
Prendi per l'eternità ciò che è in me,
Affinché un giorno possa, o divin Cuore, possederti,
Nell'amplesso del Cielo, prenderti e custodirti per sempre!
 
Preghiera per i Sacerdoti
 
Signore Gesù, presente nel Santissimo Sacramento,
che hai voluto perpetuare la tua Presenza tra noi
per il tramite dei tuoi Sacerdoti,
fa’ che le loro parole siano sempre le tue,
che i loro gesti siano i tuoi gesti,
che la loro vita sia fedele riflesso della tua vita.
 
Che essi siano quegli uomini che parlano a Dio degli uomini,
e agli uomini, di Dio.
Che non abbiano paura del dover servire,
servendo la Chiesa nel modo in cui essa ha bisogno di essere servita.
 
Che siano uomini, testimoni dell’eterno nel nostro tempo,
camminando per le strade della storia con i tuoi stessi passi
e facendo a tutti del bene.
 
Che siano fedeli ai loro impegni,
gelosi della propria vocazione e della propria donazione,
specchio luminoso della propria identità
e che vivano nella gioia per il dono ricevuto.
 
Te lo chiediamo per la tua Madre Maria Santissima:
lei che è stata presente nella tua vita
sarà sempre presente nella vita dei tuoi sacerdoti. Amen.

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