venerdì 3 gennaio 2014

CHIESA e RICCHEZZA (dizionario)

RICCHEZZE VATICANE
Chi le ha prodotte? Chi le ha rubate?
di Vittorio Messori

Due soli dati - piccoli, ma significativi e inoppugnabili - a proposito del gran parlare delle solite "ricchezze della Chiesa". Il bilancio della Santa Sede - cioè di uno Stato sovrano con, tra l’altro, una rete di oltre 100 ambasciate, le "nunziature", e con tutti quei "ministeri" che sono le Congregazioni più i Segretariati e gli infiniti altri uffici - quel bilancio, dunque, per il 1989 era pari a meno della metà del bilancio del Parlamento italiano. Insomma, i soli deputati e senatori che siedono nei due edifici romani (già pontifici) di Montecitorio e di palazzo Madama, costano al contribuente italiano più del doppio di quanto non costi il Vaticano agli 800 milioni di cattolici nel mondo. I quali cattolici, poi, sono così generosi? Non sembra, visto che quegli 800 milioni di battezzati danno ogni anno alla loro Chiesa offerte minori di quanto non ne diano i 2 milioni di americani membri della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Per non parlare dei Testimoni di Geova o di tutte le altre sètte - la Chiesa dell’Unificazione di Sun Moon, ad esempio - le quali dispongono di capitali che muovono e investono in tutto il mondo e che ridicolizzano le "ricchezze" del Vaticano. Le uniche, però, queste ultime, delle quali si parli indignati.
A quella indignazione sfugge tra l’altro che simili ricchezze (a differenza di quanto avviene per le nuove sètte, chiese e chiesuole che non lasciano nulla per altri) sono state nei secoli messe a frutto con un "investimento" che ha dato, dà e darà sempre più dividendi straordinari. È quell"’investimento" sull’arte del quale prosperano innumerevoli città d’Europa e, soprattutto, d’Italia. Che sarebbe Roma stessa se non disponesse che delle scarse rovine imperiali, se una serie ininterrotta di papi non vi avesse gettato le famose, esecrate "ricchezze" per crearvi quello che è forse il maggior complesso artistico del mondo, sparso su tutti i quartieri? Qualcuno dovrebbe pur ricordare a politici, giornalisti, demagoghi vari i quali, a Roma, moraleggiano sui "soldi del Vaticano" che in quella stessa città quasi metà della gente vive dei proventi di un turismo causato proprio da uno spendere soldi "cattolici" secolo dopo secolo, a favore dell’arte. Se - qui come ovunque altrove - è dai frutti che si riconosce l’albero, va pur detto che i tanti secoli di amministrazione pontificia di Roma, pur con le loro ombre (ma non più gravi della media del tempo), hanno avuto come frutto il dotare la città di un capitale in grado di produrre ininterrotta ricchezza. 
A proposito di soldi, la campagna scandalistica contro quell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche che i contribuenti possono liberamente mettere a disposizione della Chiesa italiana ignora (o vuole ignorare) quale sia il retroscena storico. Nel 1860 i Piemontesi, per raggiungere (e bloccare) Garibaldi al Sud, invasero - approfittandone per annetterle con la forza al nuovo Regno - le regioni pontificie della Romagna, delle Marche e dell’Umbria. Dei suoi possedimenti, alla Chiesa non restò che il Lazio, anch’esso poi invaso e incamerato dai Savoia nel 1870. Tutto ciò fu considerato come una vera e propria rapina da parte degli studiosi dì diritto internazionale, e di certo non solo cattolici: si scandalizzarono per il sopruso persino i grandi giuristi della luterana Germania di Bismarck. A questo si aggiunse quell’altro clamoroso sopruso del sequestro e dell’incameramento di tutti i beni ecclesiastici italiani: dai monasteri, alle istituzioni benefiche, ai campi, sino alle chiese stesse. Confisca, si badi, senza alcun indennizzo. Per tentare di salvare la faccia di fronte alla comunità internazionale - e per dare una qualche rassicurazione alle masse cattoliche che rappresentavano l’enorme maggioranza, ma senza voce perché escluse dal voto, dei sudditi del nuovo Regno d’Italia - subito dopo la breccia di Porta Pia il governo dei liberali approvava la cosiddetta "Legge delle Guarentigie". Una legge che, riconoscendo implicitamente che la conquista, senza neppure dichiarazione di guerra, di tutti i territori di uno Stato violava il diritto delle genti, attribuiva un "rimborso" al papa, come sovrano derubato. La somma fu stabilita in una rendita di quasi tre milioni e mezzo di lire-oro: un’enormità, per uno Stato come quello italiano, il cui bilancio era di poche centinaia di milioni di lire. Un’enormità che confermava però quale fosse l’entità della "rapina" perpetrata. Quello delle Guarentigie non era però un trattato accettato dalle due parti, era una legge unilaterale del governo sabaudo: i Papi mai la riconobbero né vollero accettare un centesimo di quella somma vistosa. Per le necessità economiche della Santa Sede preferirono affidarsi alla carità dei fedeli, istituendo l’Obolo di San Pietro. 
Solo quasi sei decenni dopo, nel 1929, si giunse ai Patti Lateranensi, che comprendevano un Concordato e un Trattato che regolava anche i rapporti finanziari. Il Trattato ristabiliva il principio di quel "rimborso" per la confisca dello Stato Pontificio e dei beni ecclesiastici che lo stesso governo italiano del 1870 aveva giudicato necessario. Si stabilì così che l’Italia avrebbe versato 750 milioni in contanti e che si sarebbe accollata alcuni oneri come quello di uno stipendio ai sacerdoti "in cura d’anime". Quello stipendio, in parte era fondato sui crediti che la Chiesa vantava verso lo Stato italiano, in parte derivava dalle nuove funzioni pubbliche - come la celebrazione e la registrazione dei matrimoni con rito religioso, aventi però anche validità civile che i Patti attribuivano allaChiesa. Dunque, le concessioni economiche del 1929, motivo di tanto scandalo per la polemica anticlericale, non erano un "regalo", il frutto di qualche favore "costantiniano", ma la copertura (seppure, solo parziale) di un debito determinato dalle spoliazioni del XIX secolo. È in questa prospettiva storica che andrebbe giudicata la recente revisione dei Patti Lateranensi ad opera del governo non di un democristiano ma di un socialista come Bettino Craxi. In quella revisione, tra l’altro, si supera il concetto, pur del tutto legittimo alla luce del diritto internazionale, di "rimborso" e si instaura quello della contribuzione volontaria della quale lo Stato si limita a fare da esattore. Il famoso "otto per mille", dunque, va inquadrato in una più che secolare vicenda della storia italiana. Ma, questa, chi la conosce più? 
Ma sì: proviamo a venderli - a beneficio, che so?, dei poveri negretti - i tesori del Vaticano. Cominciamo, per esempio, dalla Pietà di Michelangelo che è in San Pietro. Lì prezzo d’asta, stando a chi ha provato ad azzardare una valutazione, non potrebbe essere inferiore al miliardo di dollari. Solo un consorzio di banche o di multinazionali americane o giapponesi potrebbe permettersi un simile acquisto. Come primo risultato, quel capolavoro eccelso lascerebbe di certo l’Italia. E poi, quell’opera che è ora esposta, gratis, all’emozione di tutti, cadrebbe sotto l’arbitrio di un padrone privato - società o collezionista straricco - che potrebbe anche decidere di tenere per sé, vietandola alla vista di altri, tanta bellezza. Bellezza, poi, che - cessando di dar gloria a Dio in San Pietro - darebbe gloria, in qualche bunker blindato, al potere della finanza, cioè a ciò che la Scrittura chiama "Mammona". Il mondo avrebbe, forse, un ospedale in più nel Terzo Mondo: ma sarebbe davvero più ricco e più umano? 
Fonte: Pensare la storia, 1992, Edizioni Sugarco
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"Tra le accuse più frequentemente mosse dalla Chiesa c'è quella di essere ricca o comunque bramosa di denaro. La gente si accorge subito se un prete è attaccato ai soldi. Purtroppo in Italia la Chiesa possiede molte opere d'arte, chiese e palazzi importanti, anche se ogni giorno fa fatica a trovare il denaro necessario per pagare i suoi collaboratori laici, per esempio i sacristi. Vendendo alcune di queste opere si potrebbe ricavare tanto denaro. Ma noi siamo considerati come conservatori e responsabili di tutto questo tesoro: dunque non ci è lecito rinunciarvi. Certo non si può dire che nella nostra Chiesa, lungo la storia, ci siamo sempre attenuti con fedeltà al messaggio di Cristo. Il Signore ispirerà a ciascuno come regolarsi. Ma il problema rimane ed è molto grande. Forse sarà necessario attendere una invasione di persone venute da altre civiltà, che distruggano e in qualche modo facciano tabula rasa di tutto il nostro modo di vita. Sappia però ogni vescovo che se non mette in pratica le parole forti di Gesù sulla povertà, non solo riguardo agli edifici ma anche negli stessi metodi di evangelizzazione, non potrà contare sull'aiuto di Dio".
Fonte: brano tratto dal libro "Il Vescovo" (2012) scritto da Carlo Maria Martini e pubblicato da Rosenberg & Sellier. 

Vedi anche: 
http://unacasasullaroccia.wordpress.com/ricchezza-della-chiesa/
LE PRESUNTE RICCHEZZE DELLA CHIESA? NON ESISTONO!
Le testimonianze di San Francesco e del Curato d'Ars ci dicono che la ricchezza della Chiesa... non è della Chiesa

di Corrado Gnerre

Una delle questioni che più frequentemente vengono proposte negli incontri di catechesi è quella riguardante la cosiddetta "ricchezza" della Chiesa. Ma è mai possibile – si chiede solitamente – che la Chiesa possegga tanta ricchezza pur predicando la povertà?
E allora è bene chiarire alcuni punti per saper rispondere a questo interrogativo, che, come abbiamo già detto, è molto diffuso.
Divideremo il discorso in quattro punti:
1. La povertà non va confusa con il pauperismo.
2. La Verità non può essere separata dalla bellezza.
3. La ricchezza della Chiesa... non è della Chiesa.
4. La Chiesa non è del mondo, ma è nel mondo.

1) LA POVERTÀ NON VA CONFUSA CON IL PAUPERISMO
Iniziamo con il primo punto. Prima di tutto va detto che la povertà non può essere confusa con il pauperismo. La povertà è un valore che deve essere tenuto in considerazione da tutti i cristiani. Tutti sono tenuti ad essere "poveri", perché la povertà è rapportarsi nel modo corretto ai beni materiali, nel senso che questi beni non possono e non devono essere considerati "fini" ma solo "mezzi". Nelle Beatitudini (Luca 6) Gesù chiama i poveri "beati", mentre dice: «guai a voi ricchi!». Ebbene, quella povertà e quella ricchezza non devono essere pensate in senso economico.
Il "povero", evangelicamente, non è colui che non possiede nulla, quanto colui che, pur possedendo, sa che quella ricchezza va considerata solo come mezzo per praticare il bene e avvicinarsi a Dio. Invece il "ricco", in senso evangelico, non è colui che necessariamente possiede, bensì colui che è tanto pieno di sé da non saper far posto a Dio nella sua vita.
Paradossalmente, se uno ha in tasca 10.000 euro, ma fa di questa cifra non il fine della sua vita ma un mezzo per praticare il bene, costui non è un ricco ma un povero. Se invece uno ha in tasca solo un euro, ma fa di questo misero euro il fine della sua vita, addirittura dichiarandosi disposto a calpestare anche la legge di Dio pur di aumentare la sua "ricchezza", costui non è un povero ma un ricco. Certo, è indubbio che chi possiede molto, più facilmente sarà tentato nell'orgoglio e nella presunzione; chi invece possiede di meno, più facilmente sceglierà l'umiltà e la semplicità; ma da qui a rilevare un automatismo ce ne corre.
 Inoltre, come abbiamo accennato prima, va detto che non si può confondere la povertà con il pauperismo. Quest'ultimo è la povertà economica a tutti i costi. Ma ciò è lontano da una corretta prospettiva cristiana. Prendiamo san Francesco d'Assisi, modello della vera povertà. Questo grande santo ci teneva a far capire ai suoi frati che la strada della loro povertà doveva essere considerata come una delle tante per arrivare in Paradiso, ma non l'unica strada. La strada necessaria per chi sceglieva la loro vita, ma non per gli altri. Tanto è vero che chi, tra i francescani, la pensò in maniera difforme dal Serafico Fondatore, finì con l'uscire dalla Chiesa e morire eretico.

2) LA VERITÀ NON PUÒ ESSERE SEPARATA DALLA BELLEZZA
Veniamo al secondo punto: la Verità non può essere separata dalla bellezza. Citiamo nuovamente san Francesco d'Assisi. Questo egli pretendeva la massima povertà per i suoi frati, ma il massimo splendore per gli edifici ecclesiastici. Egli diceva che le chiese dovrebbero essere piene di oggetti preziosi tanto è la Grandezza che contengono, ovvero il Santissimo Sacramento. I paramenti liturgici, che le clarisse del tempo di san Francesco cucivano, erano ricamati con fili d'oro, perché così voleva il Serafico Padre. La bellezza, infatti, deve significare la Verità. Meglio: la Verità deve essere significata dalla bellezza. E la bellezza è anche maestosità, è anche "ricchezza".
Nella Prima Lettera ai custodi scrive: «Vi prego, più che se riguardasse me stesso, ch, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Signore Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell'altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione».
C'è qualcosa d'interessante ai fini di ciò che stiamo dicendo nella biografia di Francois Trochu su san Giovanni Maria Vianney (il Santo Curato d'Ars): «Don Vianney (...) per rispetto all'Eucaristia, volle quello che di più bello era possibile avere. (...) Quindi aumentò il "guardaroba del buon Dio", come diceva lui, col suo linguaggio colorito e immaginoso. Visitò a Lione i negozi di ricamo, di oreficeria, e vi acquistava ciò che vi trovava di più prezioso. "Nei dintorni", confidavano i suoi fornitori meravigliati, "c'è un piccolo curato magro, che ha l'aria di non averne mai neanche un soldo in tasca e che per la sua chiesa vuole sempre il meglio!". Un giorno del 1825, la contessina d'Ars lo condusse con sé in città, per acquistare un paramento per la Messa. A ogni nuovo modello che gli veniva presentato, ripeteva: "Non è abbastanza bello!... Occorre qualcosa di più bello di questo!"».
Nel Vangelo di San Giovanni (capitolo 12) vi è un episodio che per questa questione dice tutto: «Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: "Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?"». L'Evangelista aggiunge che Giuda disse così non perché gli interessassero i poveri, ma perché era ladro e voleva frodare ciò che vi era in cassa. La risposta di Gesù è chiara: «Lasciala fare (...) I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Dunque, ci sono dei momenti in cui bisogna donare agli altri, ma ci sono anche dei momenti in cui bisogna sottolineare con la ricchezza la grandezza del divino.
Le bellezza ingentilisce gli animi, aprendoli anche alla sensibilità e quindi alla comprensione verso il prossimo. Creare bellezza è un atto di amore doveroso nei confronti di Dio. Si racconta che a Pisa, prima che costruissero la celeberrima Piazza dei Miracoli con il Duomo, il Battistero e il famosissimo Campanile (che poi è diventato la conosciutissima Torre Pendente) mancavano le fogne. Il popolo pisano, però, preferì costruire prima la cattedrale e poi eventualmente pensare alle fogne. La scelta fu certamente imprudente... ma di grande generosità verso Dio. Verrebbe da pensare: ma che forse la Provvidenza abbia voluto ripagare la grande generosità dei Pisani del tempo? D'altronde, a differenza di altre città toscane, a Pisa se si toglie la Torre Pendente e Piazza dei Miracoli non rimane granché. La città è divenuta famosa in tutto il mondo per un fatto misterioso: il cedimento del terreno che ha permesso al Campanile non di schiantarsi al suolo, ma di rimanere sorprendentemente inclinato. E si badi: allora i sondaggi geologici li sapevano fare eccome... se è vero, come è vero, che tutto ciò che di grande costruivano è giunto intatto fino a noi malgrado molteplici terremoti.

3) LA RICCHEZZA DELLA CHIESA... NON È DELLA CHIESA
In realtà la ricchezza della Chiesa non è della Chiesa. La ricchezza della Chiesa consiste soprattutto nelle opere d'arte, che, non solo non sono alienabili (nel senso che sono invendibili), ma esistono grazie soprattutto alla generosità dei fedeli. Si può raccontare questo significativo episodio. Nell'Emilia del dopoguerra, gli anni del grande scontro fra cattolici e comunisti, in una cittadina vi fu un convegno organizzato dall'allora Partito Comunista. Tra i relatori vi era un professore (ovviamente comunista) che iniziò ad attaccare la Chiesa soprattutto per una sua presunta ricchezza tenuta per sé senza darla ai poveri. Tra il pubblico vi erano due colti sacerdoti che cercarono di prendere la parola per fare da contraddittori, ma aggravarono la situazione perché intervennero utilizzando un linguaggio troppo teorico e teologico, così la gente che assisteva, semplice ed ignorante, non riuscì a capire. Provvidenza volle che prendesse la parola anche un semplice parroco, che in dialetto parlò ai presenti. Egli si limitò a raccontare agli abitanti di quella cittadina un fatto accaduto anni fa e che tutti ricordavano molto bene. Si trattava di un operaio comunista, ateo, al quale si ammalò gravemente l'unica figliola. La moglie, ch'era credente, decise di chiedere alla Vergine, a cui era dedicato un famoso santuario del posto, la grazia della guarigione. Il miracolo ci fu: la bambina guarì. L'operaio, allora, volle andare dal miglior gioielliere della città per far realizzare un bellissimo ex-voto d'oro. Il lavoro fu eseguito e l'uomo lo portò al rettore del Santuario. Ma, dopo pochi giorni, l'operaio, passando dinanzi alla gioielleria, vide esposto in vetrina l'oggetto che aveva commissionato e consegnato al Santuario. Spazientito, chiese spiegazioni. Gli fu detto che il rettore lo aveva messo in vendita per costruire un oratorio per i fanciulli. L'uomo, giustamente, andò su tutte le furie: "Ecco, noi regaliamo alla Madonna... e i preti rivendono ciò che regaliamo!". E aveva ragione. Per quanto fosse buona l'intenzione del sacerdote, egli non poteva rivendere ciò che un fedele aveva regalato direttamente alla Vergine. Bastò il ricordo di questo episodio, perché tutti i presenti capissero il vero significato delle tante ricchezze della Chiesa.

4) LA CHIESA NON È DEL MONDO, MA È NEL MONDO
Su questo punto diremo pochissimo.
È vero che il cassiere era Giuda Iscariota (perché evidentemente una certa inclinazione la doveva avere), ma Gesù stesso volle che gli apostoli avessero una cassa. E ciò perché l'evangelizzazione, pur non essendo del mondo, avviene nel mondo. Se la Chiesa non avesse un'autonomia economica, dovrebbe dipendere da qualche realtà mondana. Ma, se così fosse, non sarebbe più libera nei suoi giudizi. Un piccolo esempio: un conto è se si ha un proprio stipendio, altro se si dipende totalmente da qualcuno che dà da mangiare e da bere. Nel secondo caso, se ci si dovesse accorgere che colui da cui si dipende è un poco di buono, potrebbe subentrare facilmente la tentazione di chiudere entrambi gli occhi convincendosi: "se chi mi dà da vivere andrà in galera, chi mi sosterrà?".
L'autonomia economica è sempre garanzia di libertà.

Fonte: Il Giudizio Cattolico, 06/04/2013



Come vengono usati i soldi dell'8x1000?


Ior, di cosa stiamo parlando?

di Stefano Grossi Gondi, 11 marzo 2013

 La sigla Ior porta spesso con sé un che di sinistro soprattutto sui media. Ma cos'è l'Istituto per le Opere di Religione? Abbiamo cercato in questo articolo di fare una breve sintesi delle caratteristiche principali.
L'Istituto per le Opere di Religione (IOR), non è una banca come le altre ma un ente senza fini di lucro nato nel 1942 con lo scopo di “provvedere alla custodia e all’amministrazione di capitali destinati ad opere di religione e di carità”.
Entità dello Ior
Alcuni mesi fa i dati dell'Istituto sono stati forniti ai giornalisti 
in un incontro con il direttore generale Paolo Cipriani. L’istituto gestisce circa 6 miliardi di euro, ha una piccola riserva aurea presso la Federal Reserve, i clienti sono circa 25mila per 33mila conti correnti (ci sono istituti religiosi che ne hanno più d’uno). I clienti dell’istituto sono soprattutto istituti religiosi, parrocchie, fondazioni canoniche, seminari, cardinali, vescovi, preti, religiosi e religiose autorizzati dal proprio superiore, alcuni dipendenti vaticani. Benedetto XVI non aveva neanche un suo conto personale. Il 77,3 per cento dei correntisti è europeo, il 7,3 per cento sta in Vaticano.
I controlli
Dal 1996 vige un sistema informatico che impedisce di aprire e gestire conti anonimi o cifrati. «Se anche ci fossero stati conti strani in passato – ha affermato Cipriani – ora non è più possibile, non può uscire un solo euro non tracciato». Lo Ior attua controlli «molto severi» sui trasferimenti di denaro, garantisce la tracciabilità dei bonifici, e sta facendo ogni sforzo per adeguarsi sempre di più alle normative internazionali antiriciclaggio in attesa che il Vaticano entri nella white list dei Paesi virtuosi (ne abbiamo parlato 
qui).
La valutazione Moneyval
A tal fine, lo scorso anno il Moneyval - organismo del Consiglio d'Europa che valuta le legislazioni in tema di lotta al riciclaggio - diede una valutazione sostanzialmente positiva del lavoro della Santa Sede su questi temi, pur chiedendo il rafforzamento della normativa in molti punti, compreso il controllo dello Ior. E facendo un raffronto con altri paesi, il Vaticano si è classificato tredicesimo su trenta Paesi esaminati da Moneyval.  Sul tema della corruzione il Rapporto di Moneyval dice poi espressamente: «“Relativamente alla corruzione, sebbene vi siano state recenti infondate accuse di corruzione sui media, non vi sono evidenze empiriche di corruzione avvenute in Vaticano”». (
Qui un'ampia sintesi del rapporto moneyval).
Polemiche e confronti 
Visto che spesso lo Ior è tirato in ballo in polemiche mediatiche su scandali finanziari e presunte pratiche di riciclaggio può essere utile fare alcune proporzioni:
- 6 miliardi di euro, cioè l'intero patrimonio dello Ior (che si occupa di istituti e entità religiose in tutto il mondo anche nei territori di missione) è 
meno della metà del patrimonio dell'uomo più ricco di Italia (non del mondo, solo d'Italia)
- per fare un confronto ecco 
quanto valgono alcune banche italiane e società internazionali note: Unicredit, 15 miliardi euro; IntesaSanPaolo 14 miliardi; Eni, 67 miliardi; Apple, 460 miliardi; Microsoft, 206 miliardi;
- 6 miliardi di euro è quanto gli Usa hanno sprecato in Iraq secondo il rapporto dell'ex segretario alla Difesa degli USA 
redatto dal Pentagono.
- recentemente due grandi banche UBS (Svizzera) e HSBC (Stati Uniti) hanno ammesso
pratiche di riciclaggio di denaro patteggiando multe rispettivamente di 1,4 miliardi di franchi e di 1,9 miliardi di dollari
- venendo in Italia: l'emissione di bond per affrontare 
il deficit del Monte dei Paschi di Siena è stato pari a 3,9 miliardi di euro

Chiesa e ICI. Quell’esenzione che vale miliardi
Infuria l’attacco contro la Chiesa cattolica che non paga l’ICI. Ed è vero: per molti suoi immobili la Chiesa non la paga né la deve pagare. Non per un privilegio esclusivo, ma per una legge, la 504 del 30 dicembre 1992 (primo ministro Giuliano Amato), che, se oggi fosse fatta cadere, penalizzerebbe assieme alla Chiesa una schiera nutritissima di altre confessioni religiose, di organizzazioni di volontariato, di Onlus, di Ong, di Pro loco, di patronati, di enti pubblici territoriali, di aziende sanitarie, di istituti previdenziali, di associazioni sportive dilettantistiche, insomma di enti non commerciali. Per non dire di partiti e di sindacati, per i quali vige un’analoga disciplina.
La legge esenta tutti questi enti non profit, compresi quelli che compongono la galassia della Chiesa cattolica, dal pagare l’ICI sugli immobili di loro proprietà “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985 n. 222″, ovvero le attività di religione o di culto.
Questo vuol dire, ad esempio:
– che una parrocchia di Milano non paga l’ICI per le aule di catechismo e l’oratorio, ma la paga per l’albergo che ha sulle Dolomiti, abbia o no questo al suo interno una cappella.
– che la Caritas di Roma non paga l’ICI per le sue mense per i poveri, né per l’ambulatorio alla Stazione Termini, né per l’ostello nel quale ospita i senza tetto. E ci vuole un bel coraggio a dire che così fa concorrenza sleale a ristoranti, hotel e ospedali.
– che la Chiesa valdese giustamente non paga l’ICI per il suo tempio di Piazza Cavour a Roma, né per le sale di riunione, né per l’adiacente facoltà di teologia. La paga, però, per la libreria che è a fianco del tempio.
– che la comunità ebraica di Roma non paga l’ICI per la Sinagoga, per il Museo, per le scuole. Ma la paga per gli edifici di sua proprietà adibiti ad abitazioni o negozi.
– che Emergency non deve pagare l’ICI per le sue sedi. Ma la deve pagare per gli eventuali suoi immobili dati in affitto.
– che non va pagata l’ICI per l’ex convento che fa da quartier generale della comunità di Sant’Egidio, né per le sue case per anziani. Va pagata invece per il ristorante che la comunità gestisce a Trastevere.
Insomma, questo vuol dire che su case date in affitto, negozi, librerie, cinema, ristoranti, hotel, eccetera, di proprietà di un qualsiasi ente non commerciale, l’ICI già la si paga da un pezzo. Per legge. E da quest’obbligo la Chiesa cattolica non ha alcuna esenzione.
Tant’è vero che a Roma, dove Propaganda Fide e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica possiedono un buon numero di palazzi, questi due enti vaticani “sono tra i primi se non i primi contribuenti ICI della capitale”, testimonia Giuseppe Dalla Torre, presidente del tribunale e dell’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede.
Questo stabilisce la legge. Eppure i giornali e i giornalisti che danno prova di esserne a conoscenza si contano sulle dita di una mano sola.
E gli altri? Saranno anche grandi testate e grandi firme, ma se in una materia così elementare non si mostrano capaci di una minima verifica dei fatti, non fanno onore alla professione.
Come obnubilati dalla febbre della polemica, tutti costoro nemmeno sembrano capire che pretendere che la Chiesa cattolica paghi l’ICI anche per gli immobili su cui è esentata – cioè le chiese, i musei, le biblioteche, le scuole, gli oratori, le mense, i centri d’accoglienza, e simili – vuol dire punire l’immenso contributo dato alla vita dell’intera nazione non solo dalla Chiesa stessa ma anche da ebrei e da valdesi, da Caritas e da Emergency, da Telethon e da Amnesty International, insomma da tutti quegli enti non profit per i quali vige l’identica normativa.
Se l’esigenza numero uno dell’Italia è la crescita, tale multiforme, generosa, formidabile offerta di apporti non va penalizzata, ma sostenuta.
Le esenzioni dall’ICI previste dalla legge non sono denari in perdita. Sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società.

Otto per mille e pseudo inchieste, la disinformazione al potere
di Umberto Folena, AVVENIRE di sabato 19 novembre 2011
L’otto per mille può piacere o non piacere. Si può discutere sulla sua opportunità e sulla sua ripartizione. In un Paese democratico ci sta e sarebbe del tutto normale. Anomalo, e assai poco democratico, è spacciare per informazione la menzogna. (…) Le contestazioni sono sempre le stesse da quattro anni. Inoltre si fa coincidere Vaticano e Cei, Santa Sede e Chiesa italiana: Così titolava L’Espresso: «Più di un miliardo l’anno dallo Stato italiano per pagare lo stipendio dei preti. Per i quali bastano 361 milioni. E le altre centinaia? In un’inchiesta, tutta la verità su business e privilegi del Vaticano». Il Vaticano non c’entra niente con l’8xmille, possibile che ancora non lo sappiano, dopo 22 anni? O forse lo sanno? Ci siete o ci fate, distratti colleghi? Tutta la verità: se conoscete la quota destinata al clero, non potete non conoscere tutta la ripartizione, pubblicata su quotidiani e Internet.

E allora non potete ignorare che oltre 452 milioni sono destinati alle «esigenze di culto della popolazione». Anche un bambino, cercando su google, scopre in pochi secondi che 190 milioni sono andati all’edilizia di culto, 156 alle diocesi sempre per culto e pastorale, 57 per interventi di rilievo nazionale, 37 per la catechesi e l’educazione, 12 per i tribunali ecclesiastici. L’Espresso “rivela” che 85 milioni sono destinati agli interventi caritativi nel Terzo Mondo, come se fossero gli unici; ma evita di informare, pur sapendolo, che fanno parte di un totale ben più cospicuo di 227 milioni destinati agli interventi caritativi, di cui ben 97 affidati alle diocesi (a proposito di centralismo...). Preferiscono insinuare e infangare, i censori democratici dalla «verità» a senso unico alternato: la Cei «ha stipato nei propri forzieri», «i vescovi fanno la cresta sullo stipendio dei loro sottoposti», la firma sui modelli 730 o Unico sarebbe in realtà «un gigantesco sondaggio d’opinione mettendo una croce». Una croce? Sondaggio? I sondaggi si fanno su un piccolo campione di popolazione. Questo è una sorta di referendum, una forma di democrazia diretta applicata al sistema fiscale, senza alcuna garanzia per la Chiesa né per le altre confessioni religiose: ogni anno tutto dipende dalla fiducia concessa dai contribuenti. Le firme sono poche? Tra chi è tenuto a presentare la dichiarazione, raggiungono il 63,7 per cento, più che in tanti appuntamenti elettorali. E poi: «Santa Casta»? Una «casta» che riceve una media di 1.000 euro al mese di remunerazione? Questi sono gli argomenti e i toni dell’«inchiesta». Con la sparata finale (che con l’8xmille nulla c’entra) di «20 cardinali di stanza a Roma costati oltre 3 milioni di euro». La fonte della cifra assurda? Il settimanale ”The Lancet”, perbacco. Tra pochi giorni allegheremo ad Avvenire una pubblicazione che rispiegherà per filo e per segno tutto ciò che c’è da sapere sull’8xmille. Per essere informati, approvare o criticare, ma a partire dalla verità dei fatti. Non da deformanti singulti ideologici. 

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