Dio padre e madre?
(Gianfranco Ravasi,Questioni di fede,
Mondadori, 2010)
Giovanni Paolo I disse che Dio è madre. Le femministe
americane cancellano dalla Bibbia le forme "maschiliste". D'altra
parte la Bibbia forse non è così radicale nella supremazia maschile, e Giovanni
Paolo II ha parlato di "reciprocità e complementarità" dei sessi,
partendo proprio dalle Sacre Scritture. Perché, allora, temere di dire che Dio
è papà e mamma? Accanto a un'ottantina di immagini maschili di Dio offerte
dalla Bibbia, troviamo almeno una ventina di rappresentazioni femminili. Ecco
solo due esempi dal libro di Isaia: "Si dimentica forse una donna del
suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se
queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai"
(49, 15); "Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò"
(66, 13). Ripetutamente nell'Antico Testamento sono attribuite a Dio "viscere
materne" (rahamim), segno di amore spontaneo, istintivo, assoluto.
È quindi legittimo parlare di una dimensione "materna" di Dio, ricordando però che si tratta sempre di un antropomorfismo, di un simbolo, come quello paterno, per esprimere l'ineffabile mistero divino e per raffigurare la realtà dell'Inconoscibile. La Bibbia, essendo parola di Dio incarnata, privilegia il volto paterno di Dio anche per i condizionamenti culturali dell'orizzonte in cui si è manifestata.
È lecito, perciò, ridimensionare certe letture troppo letterali della "maschilità" di Dio, senza però negare i valori che essa esprime, come è necessario collocare Gesù nel suo tempo storico senza per questo negare la sua "maschilità", e come è giusto trascrivere un certo linguaggio ecclesiale eccessivamente legato a moduli e forme "maschiliste".
La moderna sensibilità sulla "reciprocità e complementarità" dei sessi, esaltata a più riprese soprattutto da Papa Giovanni Paolo II, ha stimolato questa operazione di interpretazione dei testi biblici. (…)
L'Antico Testamento riguardo alla femminilità offre un insegnamento molto più aperto di quanto s'immagini. Certo, l'"incarnazione" della parola di Dio fa emergere il contesto socioculturale dell'antico Israele, come quando il Siracide, sapiente del II secolo prima dell'era cristiana, scrive che è "meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna" (42, 14). Ma si pensi anche all'incidenza di figure femminili come Sara, Rachele, Debora, Rut, Anna, Giuditta, Ester, la donna del capitolo 31 dei Proverbi, o la straordinaria protagonista del Cantico dei Cantici, o Maria e la Sposa dell'Apocalisse nel Nuovo Testamento.
Anche la bipolarità sessuale è celebrata nella sua pienezza, soprattutto nella Genesi. La famosa "costola" di Adamo non è il segno di una dipendenza, ma di un'identità di natura, tanto che in sumerico un unico vocabolo, ti, significa contemporaneamente "costola" e "femminilità" e, d'altra parte, il canto finale di Adamo è: "Essa è carne dalla mia carne, ossa dalle mie ossa (...) I due saranno una carne sola", espressione appunto di identità strutturale. Non per nulla si ricorrerà a un libero gioco etimologico per spiegare i due termini ebraici che indicano "uomo" e "donna": essi sono 'ish e 'isshah, in pratica la stessa parola al maschile e al femminile (Genesi, 2, 23-24).
Altrettanto suggestivo è l'altro celebre asserto della Genesi: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (1, 27). La costruzione del testo secondo le regole stilistiche ebraiche identifica l'"immagine" divina che c'è in noi con l'essere "maschio e femmina", non perché Dio sia sessuato, ma per il valore simbolico della sessualità, cioè la sua capacità d'amare e di procreare (la generazione) attraverso la comunione tra uomo e donna, capacità che la rende un'analogia del Dio creatore. A questo proposito è significativo quanto Giovanni Paolo II affermava nella Mulieris dignitatem (1988): "L'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo, creato come uomo e donna (per l'analogia che si può presumere tra il Creatore e la creatura), esprime anche l'unità dei due nella comune umanità. Questa unità dei due, che è segno della comunione interpersonale, indica che nella creazione dell'uomo è stata inscritta anche una certa somiglianza della comunione divina".
Concludendo, possiamo affermare la legittimità di una nuova interpretazione della Bibbia e della Tradizione, che semplifichi le incrostazioni socioculturali, ma che conservi il valore teologico della paternità e della maternità di Dio, della maschilità e della femminilità umana e della loro unità e diversità. Goethe molto acutamente affermava che "noi possiamo parlare di Dio antropomorficamente (in modo umano) perché noi stessi siamo teomorfi (fatti in forma divina)".
Credere in Dio "Padre" dopo
Freud
di Raniero Cantalamessa,
Il sospetto freudiano
Sulla
fede cristiana in Dio come Padre si è abbattuto, all’inizio del secolo che sta
per chiudersi, il "sospetto" freudiano, come una gelata notturna in
primavera. Freud ha formulato la tesi secondo cui Cristo non ha vissuto
"per il Padre", come si legge in Giovanni (Gv 6, 57), ma "al
posto del Padre"; che noi stessi, quando pretendiamo di vivere per il
Padre, non facciamo che proiettare su di lui l’ambiguo atteggiamento che
nutriamo verso il nostro padre terreno che consiste nell’ammirarlo e
onorarlo... dopo averlo ucciso, o desiderato di uccidere, e a patto che non
torni più in vita.
Se
vogliamo che la nostra riflessione risponda alle domande dell’uomo d’oggi, non
possiamo esimerci, nell’anno del Padre, da un confronto con le tesi di questo
pensatore. Primo, perché molta gente è convinta, a torto, che egli abbia
definitivamente smascherato cosa si nasconde dietro il culto del Padre celeste
e che perciò solo gli ignoranti possono continuare a coltivarlo; secondo,
perché la sua sfida può tradursi in una purificazione e in una conferma
insperata della nostra fede in Dio Padre.
Il
sospetto ha il potere di inquietare e gettare il dubbio su tutto, finché lo si
lascia agire nel suo ambiente naturale che è l’incertezza, il vago, la
penombra. È necessario dunque che richiamiamo per sommi capi la spiegazione che
Freud dà della credenza in un Dio Padre. Molte sue affermazioni si rivelano per
quello che sono in realtà — brillanti fantasmagorie, "una ballerina che
danza sulle punte", come descrive egli stesso il lavoro su Mosè —,
semplicemente esponendole e riducendole al loro nucleo essenziale.
Tutto
parte dalla teoria del complesso paterno. Secondo questa teoria, il bambino
identifica il suo benessere nella sua unione con la madre. Crescendo, si rende
conto però che tra lui e la madre c’è il padre che pure rivendica un diritto su
di lei. Si sviluppa così in lui quello che Freud chiama il complesso di Edipo,
cioè il desiderio di eliminare il padre. Questo desiderio genera un senso di
colpa che il bambino cercherà di cancellare sviluppando una reazione opposta,
cioè idealizzando la figura del padre e facendone una specie di baluardo di
difesa dalle asprezze della vita.
Come
nasce la religione
Fin
qui nulla, in fondo, che riguardi direttamente la religione. Ben presto però
egli applicherà questi risultati per spiegare la credenza in un Dio Padre.
Scrive: "La psicanalisi ci ha fatto capire l’intimo collegamento tra
complesso del padre e la fede in Dio; ci ha mostrato che un Dio personale,
psicologicamente, non è altro che un padre ingigantito" (1).
Nell’opera
Totem e Tabù egli spiega con questa teoria l’origine stessa della religione,
dopo aver postulato l’esistenza di una "anima collettiva" in cui si
riprodurrebbero i processi che avvengono nel singolo. All’inizio, dice, esiste
l’orda paterna, cioè un tipo società in cui il padre domina da solo su tutte le
femmine, mogli e figlie, costringendo alla fuga tutti i figli maschi. In un
caso però che ha avuto ripercussioni su tutta l’evoluzione della specie, i
fratelli si sono uniti, hanno organizzato la rivolta e ucciso il padre. A
questo punto si accorgono che nessuno può prendere da solo il posto del padre;
si formano così i due tabù che vietano, uno, l’unione con la madre e le sorelle
(incesto) e, l’altro, l’uccisione dei fratelli (omicidio), destinati ad avere
un peso determinante sullo sviluppo della stessa civiltà.
Questo
delitto primordiale (che egli identificherà con il peccato originale della
Bibbia) suscita nell’umanità intera un senso di colpa che il nuovo "clan
dei fratelli" cercherà di espiare esaltando il padre e facendone il loro
totem, o divinità tutelare. Il pasto totemico è il banchetto rituale nel quale
i discendenti del padre ucciso rinnovano il ricordo dell’accaduto, dando sfogo
ai loro ambivalenti sentimenti di dolore per la morte del padre e di festa per
la vittoria riportata su di lui. Sentiamo come Freud stesso riassume la sua
teoria: "Dio Padre ha camminato un tempo sulla terra in sembianza
corporea, esercitando la sua sovranità come capo della primitiva orda umana,
finché i suoi figli si sono riuniti per ucciderlo. È risultato poi che questo
delitto di liberazione e le conseguenti reazioni provocarono la comparsa dei
primi vincoli sociali e delle restrizioni morali fondamentali e della più
antica forma di religione, il totemismo. Le religioni successive conservano
questo contenuto; da un lato si preoccupano di obliterare le tracce di questo
delitto o di espiarlo fornendo altre soluzioni della lotta tra padre e figli,
mentre dall’altro non possono esimersi dal ripetere l’eliminazione del
padre" (2).
La
religione cristiana costituisce per Freud lo stadio ultimo di questa
evoluzione. In essa il figlio si sostituisce al padre e prende ormai il suo
posto. Scrive: "Con la medesima azione con cui offre al Padre la massima
espiazione possibile anche il Figlio raggiunge lo scopo dei suoi desideri
contro il Padre. Diventa egli stesso Dio accanto, anzi propriamente al posto
del Padre" (3).
Il
complesso paterno nella religione ebraica e cristiana
Ma
è solo con l’opera Mosè e il monoteismo che Freud applica sistematicamente le
sue teorie alla religione biblica e al cristianesimo. Basandosi sul fatto che
"Mosè" è un nome egiziano, Freud (ebreo egli stesso, sebbene non
praticante) sostiene che Mosè non era un ebreo, ma un nobile egiziano. Questi
aveva sposato in pieno la riforma religiosa del faraone Akhenaton che tendeva a
sostituire al politeismo della casta sacerdotale un monoteismo incentrato sul
culto del sole. Quando questa riforma fallì, Mosè si mise a capo della
minoranza straniera degli ebrei per realizzare con essi il progetto rifiutato
dagli egiziani. Il monoteismo non è quindi una scoperta ebraica, ma egiziana.
Nel
corso della sua opera, Mosè avrebbe incontrato opposizione fino ad essere
ucciso dai suoi connazionali, nel corso di una delle tante rivolte menzionate
nell’Esodo. Si ripeteva così, in seno al popolo ebraico, il delitto primordiale
dell’uccisione del padre, questa volta nella persona di Mosè. Da ciò la nevrosi
ossessiva e il bisogno di riparazione che si impossessò degli ebrei e ne svilì
la religiosità, portando allo sviluppo di un complicato cerimoniale sacrificale
e all’attesa di un Messia riparatore.
Questo
stato verrà superato grazie a un altro grande ebreo: non Gesù, ma Paolo,
considerato da Freud il vero fondatore del cristianesimo. Paolo ebbe, per lui,
il grande merito di riportare a galla il "rimosso" e cioè l’uccisione
del padre. Questo e null’altro si celerebbe sotto la sua dottrina del peccato
originale. Ma Paolo fece di più: egli si impossessò della figura di un certo
Gesù, morto in circostanze oscure, e fece della sua morte il sacrificio necessario
per espiare la grande colpa. Scrive testualmente: "Un figlio di Dio si è
sacrificato innocente, addossandosi con questo il peccato del mondo. Figlio
doveva essere perché il delitto era consistito nell’uccisione del Padre [...].
La religione mosaica era stata una religione del Padre; il cristianesimo
diventò una religione del Figlio. L’antico Dio, il Padre, è passato in secondo
piano; Cristo, il Figlio, ne ha preso il posto, proprio come negli antichi
tempi ogni figlio aveva desiderato di fare... Da questo momento in poi, la
religione ebraica è divenuta un fossile".
A
questo si riduce il mistero pasquale nella interpretazione di Freud. Quanto
all’Eucaristia, essa non sarebbe che la forma evoluta dell’antico pasto
totemico in cui il partecipante "incorpora il sangue e la carne del suo
Dio".
Cosa
rispondiamo a Freud
Non
intendo fare una critica delle teorie di Freud sulla religione che va fatta (ed
è stata fatta) con altra competenza (4). Alcuni rilievi sono però necessari per
sfatare l’alone di autorità che si è creato intorno ad esse specie nelle
persone di media cultura.
Bisogna
distinguere nettamente il Freud geniale inventore della psicanalisi e il Freud
teorico della religione. Egli gode immeritatamente, nel secondo campo, della
fama meritatamente conquistata nel primo.
Notiamo
anzitutto che l’atteggiamento di Freud verso la religione non è il risultato
delle sue analisi psicologiche, perché le precede. È risaputo che, quanto alla
sostanza, egli aveva già chiaro il suo punto di vista fin dall’inizio e non
l’ha mai cambiato. La sua spiegazione della fede in Dio "Padre" è un
corollario obbligato della sua visione, già in partenza, rigidamente
materialista e positivista dell’uomo.
Nel
suo trattamento della religione, egli trasgredisce quei criteri scientifici che
altrove difende con tanto accanimento, fondandosi su ipotesi e voci del tutto
indimostrabili, come quella dell’uccisione di Mosè da parte dei suoi
connazionali. A volte, come in questo caso, gli basta che un qualsiasi isolato
studioso abbia formulato una ipotesi a lui favorevole, per costruirvi sopra
tutto un castello di teorie.
Semplifica,
prendendo ovunque il materiale utile ai fini delle sue conclusioni e
tralasciando sistematicamente tutto il resto. Prende in considerazione, per
esempio, solo le analogie tra il padre terreno e il Padre della fede cristiana,
ma mai le differenze, che sono molto più profonde. Gli è del tutto sconosciuto
il concetto di un "Padre essenziale", quale emerge dal vangelo di
Giovanni: un padre cioè che è solo padre, non esiste che come padre, senza
essere marito, che si realizza nella generazione di un solo figlio. In questa
luce, che senso avrebbe avuto parlare di lotta di figli contro il padre per il
possesso della madre?
La
critica di Freud, come quella di Feuerbach e di Nietzsche, ha ignorato
completamente la dottrina cristiana della Trinità e, a proposito dello stesso
Gesù Cristo, si basa su uno stadio della ricerca oggi nettamente superato che
gli permetteva di liquidare con due parole la questione della sua storicità.
Freud
e la religione: un sentimento ambivalente
Bisogna
però dire una cosa a favore di Freud: egli era molto più cosciente del valore
ipotetico delle sue ricostruzioni di molti suoi lettori e volgarizzatori
posteriori. Lui stesso si è mostrato incerto per un certo tempo se considerare
il suo Mosè e il monoteismo una ricerca scientifica o un "romanzo
storico" (5).
Una
osservazione che Freud ripete in continuazione nelle sue opere è quella della
ambivalenza dei sentimenti e tale appare chiaramente il suo sentimento nei
confronti della religione: un misto di attrazione e di ripulsa, di ammirazione
e di disprezzo. Scrive: "Quanto invidiabili appaiono a noi di poca fede
coloro che sono convinti della esistenza di un Ente supremo! [...] Possiamo
soltanto dolerci se certe esperienze di vita ed osservazioni della natura ci
hanno reso impossibile accettare l’ipotesi di un tale Essere supremo" (6).
Egli
arriva a chiedersi, proprio in Mosè e il monoteismo, se al di là di tutte le
ragioni psicologiche addotte per spiegare l’origine della religione non ve ne
fosse una più a misura della grandiosità e persistenza del fenomeno, "il
cui ordine di grandezza è quello della religione stessa"; in altre parole,
la ragione che i credenti adducono, e cioè l’esistenza di fatto di un Dio
creatore e padre. Bisogna ascrivere a suo merito il fatto di non avere escluso
mai del tutto questa possibilità.
Il
sospetto è su Dio o sull’uomo?
Quello
che alla fine resta di tutte le argomentazioni di Freud contro l’esistenza
reale di un Dio Padre non è una prova, ma come si diceva, un
"sospetto". Quanto tuttavia il semplice sospetto possa essere
devastante in questo campo lo dimostra ciò che scrive una nota psicanalista
credente, dopo aver illustrato la spiegazione di Freud del peccato originale e
del sacrificio di Cristo: "Liquidare il mistero della Redenzione in due
frasi è un po’ poco... Anche se è disagevole dimenticare queste due frasi una
volta che siano entrate in mente!" (7) (sottolineatura mia).
Mi
domando se, tra le numerose forme di nevrosi ossessiva da lui studiate, Freud
abbia mai incluso il sospetto, vista la forza compulsiva che esso esercita sul
soggetto, una volta entrato nella mente. Difficilmente un marito riuscirà più a
guardare con gli stessi occhi sua moglie, una volta che gli è stato insinuato
un dubbio sulla sua fedeltà, anche se ha tutti i motivi per ritenerlo falso. Lo
stesso succede a non pochi credenti di media cultura, riguardo alla fede in un
Padre buono e onnipotente, dopo Freud.
Il
sospetto avvelena la mente. Una volta entrato in essa, trasforma tutti i fatti
in indizi e tutti gli indizi in prove. Nell’enciclica Dominum et vivificantem
il Papa parla del perverso "genio del sospetto" e ne vede la prima
manifestazione nel dubbio che il serpente insinua nei progenitori sulle reali
intenzioni di Dio (8).
Prima
che su Dio, il sospetto è portato, in questo caso, sull’uomo. È rivelatrice la
seguente dichiarazione di Freud: "Sarebbe davvero molto bello che ci
fossero un Dio come creatore dell’universo e una benigna Provvidenza, un ordine
morale universale e una vita ultraterrena, ma è almeno molto strano che tutto
ciò sia così come non possiamo fare a meno di desiderare che sia" (9).
Un
fatto diventa sospetto perché corrisponde a ciò che l’uomo nel profondo del
cuore desidera. Il "desiderio naturale di Dio" che è stato sempre
considerato una delle prove più sicure dell’esistenza di Dio, appare, in questa
nuova visione dell’uomo, come la prova più sicura della sua non-esistenza. Alla
base della negazione di Dio c’è una profonda sfiducia nell’uomo.
Un
contributo alla purificazione della fede in Dio "Padre"
Più
che la critica alle idee di Freud interessa, in questo anno del Padre, mettere
in luce il contributo che esse possono portare e hanno portato di fatto alla
purificazione della fede. Egli ci mostra gli scogli e i pericoli che dobbiamo
evitare nel parlare di Dio Padre. Ci aiuta a distinguere più nettamente il
simbolo dalla realtà, e cioè Dio Padre dal padre terreno. L’unico uomo di
Chiesa a cui Freud fu legato da vincoli di amicizia, il pastore Pfister, aveva
ragione di scrivergli: "Non credo che la psicanalisi elimini l’arte, la
filosofia e la religione, ma che contribuisca a purificarle" (10).
Il
contributo arrecato da Freud alla purificazione della fede è visibile nei libri
stessi scritti in questo anno sul Padre, almeno in quelli di carattere
teologico. Egli ci ha obbligati a rivedere il nostro linguaggio, spesso
grossolanamente antropomorfico, a proposito di Dio Padre. Oggi nessuno potrebbe
permettersi più di parlare del Padre come faceva, per esempio, Bossuet quando,
per accentuare la sofferenza di Cristo sulla croce, presentava un Padre che
"torce la faccia al Figlio, lo respinge, l’abbandona e lo lascia in preda
al furore della sua giustizia irritata, schiacciandolo sotto il peso enorme e
insopportabile della sua vendetta" (11).
Letta
serenamente, liberi perfino dall’ansia di doverla confutare, l’opera di Freud
apporta al credente cristiano una straordinaria conferma della sua fede. Egli
riduce tutta la religione a nostalgia del Padre; questa è la molla di tutto, la
realtà psicologica che si nasconde dietro ogni manifestazione religiosa. Ma
tutto questo si tramuta in una apologia straordinariamente convincente del
vangelo di Cristo che ha appunto nella paternità di Dio il nucleo più profondo
della propria dottrina. Il posto che occupa Dio Padre nella rivelazione
cristiana è l’unico che risponde adeguatamente all’importanza che il padre
riveste nelle analisi di Freud.
Siamo
d’accordo che c’è nell’uomo una insopprimibile "nostalgia del Padre"
e tutto deriva da qui e tende a questo, ma la spiegazione è molto più semplice
della mitica uccisione del padre dell’orda primordiale. Agostino l’ha formulata
così: "Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non
riposa in te" (12).
I
conflitti tra il padre e il figlio non hanno una spiegazione diversa da quelli
tra l’uomo e la donna, all’interno della coppia umana. Portiamo confusamente
impresso in noi il bisogno di un padre ideale e di un partner ideale; su di
esso misuriamo ogni nostra esperienza di paternità e di amore umano, li
troviamo mancanti e ci ribelliamo, finché non riposeremo in colui che, secondo
la Bibbia, non è solo il "Padre" ideale, ma anche lo
"Sposo" e l’amico ideale (altro elemento che Freud trascura completamente).
"Tutto ciò che passa non è che un simbolo" (13), ha scritto Goethe, e
così è della paternità umana e dell’unione sessuale. Simboli di una altra
paternità e di un’altra unione.
Per
il credente non è la fede nell’esistenza di un Dio Padre a dipendere
dall’importanza che ha il padre terreno nella vita, ma, viceversa, l’importanza
che il padre riveste nella vita umana a dipendere dall’esistenza di un Padre
"dal quale tutto proviene e al quale tutti tendiamo".
La
fede in Dio Padre non esce dunque minata, ma rafforzata dal confronto con
Freud.
1)
S. Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, in Opere 1915/1921,
Newton, Roma 1992, p. 400.
2)
S. Freud, Prefazione al libro di Reick, citato da E. Jones, Vita e opere di S.
Freud, Il Saggiatore, Milano 1964, vol. III, pp. 413 ss.
3)
S. Freud, Totem e tabù, 4, 6, Boringhieri, Torino 1969, p. 208.
4)
Cfr. il saggio di A. Plé, Freud et la religion, du Cerf, Parigi 1971 (trad. it.
Città Nuova, Roma 1978, con l’aggiunta di ampia antologia di testi di Freud e
bibliografia, a cura di A. Rizzacasa).
5)
Cfr. Jones, Vita e opere di S. Freud, III, Milano 1964, p. 374.
6)
S. Freud, Mosè e il monoteismo, Pepe Diaz Editore, Milano 1952, pp. 194-197.
7)
D. Stein, L’assassinio del padre e Dio come Padre nell’opera di Freud, in
"Concilium", XVII, 1981, p. 376.
8)
Dominum et vivificantem, 37.
9)
S. Freud, L’avvenire di una illusione, Boringhieri, vol. X, Torino 1969, p.
463.
10)
Riportato nel saggio di Plé citato sopra.
11) Cfr. J.-B. Bossuet, Oeuvres complètes, IV,
Parigi 1836, p. 365.
12)
S. Agostino, Confessioni, 1,1.
13)
Goethe, Faust, finale seconda parte.
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