venerdì 18 gennaio 2013

GIOVANI E ALCOOL


Ma l’alcol è una droga?
di Alberto Friso Il Messaggero di Sant'Antonio, marzo 2010
L’idea imperante è: bevo forte e mi drogo, ma non sono alcolista né tossicodipendente. Non sono tossico perché la droga «è un’altra cosa», non sono dipendente perché posso fermarmi quando voglio, in fin dei conti mi sballo solo il sabato sera.
Va detto comunque che la dipendenza è una seconda fase del consumo di alcolici e sostanze: il guaio è che molti ragazzi sottovalutano il livello precedente, cioè quei comportamenti a rischio che, nonostante siano magari saltuari, possono essere la porta d’accesso a guai ben più seri, e che già nell’immediato provocano danni alle cellule di molti organi, in primis fegato e sistema nervoso centrale. Il binomio «alcol e droga» è quasi sovrapponibile anche dal punto di vista medico. Non a caso l’Oms classifica l’alcol né più e né meno tra le droghe: è una sostanza tossica, potenzialmente cancerogena, può indurre dipendenza e assuefazione, e infine ha potere psicoattivo, cioè modifica il funzionamento del cervello.

Girando un po’ per il web si trovano tanti segnali dell’aria che tira. Partiamo da Youtube, il più famoso tra i siti di condivisione di video: non manca chi mette in mostra le sbornie proprie o degli amici, e addirittura chi si immortala mentre guida ubriaco, attirandosi i commenti furenti di altri internauti.
Le voci di chi c’è dentro
Ci trasferiamo su Facebook, ancora alla ricerca di segnali dei giovani bevitori. Peschiamo subito il gruppo Non siamo alcolisti anonimi ma ubriaconi famosi!, che conta oltre 104 mila fans, ed è un club «riservato a quelle persone che, a un certo punto della giornata, stufe delle rotture lavorative, esclamano con gioia e disprezzo che la sera stessa andranno a ubriacarsi per liberare la mente...». Ancora più lanciato il gruppo Con più alcol che sangue nelle vene, dal quale prendiamo un messaggio indicativo dell’amore-odio per la sostanza. Dice Dario: «Ho un post sbornia spaventoso, sto male, ho le budella rivoltate,
sensazione di morte e una paura fottuta. A mettermi ko è stata una serie di shot con la seguente combinazione: metà jagermeister metà assenzio. Avrete la sensazione di bervi una bottiglia di tantum verde, ma dopo il quinto non ci farete più caso, potreste bervi qualunque cosa... Stasera mi ubriacherò». Non si pensi a persone «strane», fuori dal giro. Katilla su Girlpower.it rivendica la sua «normalità»: «Anche io ho vomitato un bel po’ di volte il sabato sera, ma il sabato pomeriggio qualche volta facevo volontariato dagli anziani, a scuola vado molto bene, e in generale non farei male a una mosca! Per dire che uno che il sabato sera esce con gli amici e finisce a sboccare (non sempre sempre!) non deve per forza essere un alcolizzato (non tocco alcol abitualmente) o un maniaco deviato e delinquente! Siamo giovani, spassiamocela!».

«È la percezione del pericolo – spiega il professor Scafato – quella che manca in tanti giovani bevitori. Non è stata trasmessa, in primis, dalla famiglia. Non si dice mai che l’alcol espone immediatamente a un rischio di disabilità, mortalità prematura e malattia di lunga durata».

Katilla poi rappresenta un esempio dei nuovi consumatori, ovvero le
giovani ragazze. Nel decennio 1998-2008 (dati Istat) il consumo occasionale delle 18-24enni ha quasi raggiunto la quota dei maschi, mentre quello fuori pasto è salito dal 20,8 al 33,5 per cento. A livello di criticità, l’Italia detiene un brutto record: siamo i più precoci bevitori europei, con una media di 12,2 anni contro i 14,6 continentali.

«Riguardo ai minorenni – commenta Scafato – il problema è grave, e coinvolge tutti, a partire dalle istituzioni. L’alcol sotto i 15 anni è un forte tossico, va evitato completamente. Ma in Italia sotto i 16 anni è vietata solo la somministrazione al bar, mentre la vendita, la detenzione e la
cessione di bevande alcoliche sono libere, a differenza dal resto d’Europa. Per questo sono intervenute a macchia di leopardo, attraverso quella che io chiamo una politica di controllo “creativa”, le municipalità e i Comuni, adottando regolamenti che hanno almeno il pregio di aver individuato il problema. È il caso di Milano, ad esempio. C’è chi ha parlato di proibizionismo, ma l’ottica non è proibire, bensì innalzare il livello di protezione. Prevenzione in alcuni casi significa adottare politiche di controllo. Tutti coloro che non sono particolarmente inclini a sentirsi controllati – e mi riferisco al settore che trae guadagno dall’alcol – è ovvio che si lamentino, ma i ragazzi hanno bisogno di regole. Chi invoca l’assenza di regole va contro l’interesse dei ragazzi e soprattutto dei minori».

 
Mamma, ho preso la sbronza
LA STAMPA, 15.6.09
Alcol tra gli adolescenti, è allarme: non si beve per dimenticare, ma per vivere
Come si festeggia la fine della scuola? Con una sbronza. Come ci si prepara al primo appuntamento con una ragazza? Con un paio di bicchieri. E che cosa si fa a un compleanno, in discoteca, al pub con gli amici, soprattutto d'estate? Si beve, tanto, troppo. Parliamo di ragazzi di terza media e primo anno delle superiori, fra i 13-15 anni, chiusi nel loro mondo, carichi d’insicurezze e paure. In teoria, essendo vietato, il loro consumo di alcolici dovrebbe essere vicino allo zero. Invece non è così. Cominciano con una birra a 11 anni, a 15 mescolano allegramente superalcolici e vino.
«Una cosa da duri» - (…) Chi beve lo fa «per non pensare alle cose brutte», «per sentirsi invincibile», «sciolto, libero, felice», addirittura «più bello», perché «è una cosa da duri», «si ha l'impressione che niente può andare storto». Ma anche «per una botta di vita», «per divertimento», «per fare colpo», «per essere figo». Non ci si ubriaca più per dimenticare ma per vivere. (…) «Il 67% dei 13-15enni beve al sabato sera. Di questi, il 20% si ubriaca nel fine settimana. I dati dimostrano che tra i teenager è diffuso il fenomeno del binge drinking, bere sei o più bicchieri in un’unica occasione. Gli happy hour aumentano del 70% il rischio del pronto soccorso». E l'happy hour è responsabile del flirt, sempre più stretto, tra le ragazzine e l'alcol (55%).
Paura di crescere - Ma l'aspetto più importante della ricerca sta nelle motivazioni, nella percezione di sé che hanno questi adolescenti. Nessuno associa l'ubriachezza al timore di essere scoperto, al senso del proibito, alla trasgressione. La birra, il vino, la vodka, il rum, il limoncello sono la stampella di un Io fragile che cerca conferme nel gruppo. Tutti vogliono essere simpatici, spiritosi, brillanti. E bere aiuta. Alla domanda: «Che cosa apprezzano di te i tuoi familiari?» la maggioranza risponde: «Non lo so, non ne ho la più pallida idea». Stessa cosa per gli insegnanti. L'unica paura vera è quella di crescere: «Vorrei che il tempo si fermasse per rimanere così», «Cerco di essere sempre più bambino, il pensiero di essere grande con tante responsabilità mi spaventa». Oppure: «Sono talmente confusa su che fare del mio futuro che a volte mi sembra d’impazzire frantumandomi in mille pezzi». E raccontano storie di serate alcoliche con amici che hanno visto diventare confusi, violenti, «dare di matto», vomitare e avere allucinazioni. L'altro aspetto dell'indagine riguarda padri e madri. (…) Metà dei genitori sa che i figli bevono, soprattutto durante il fine settimana, e pensa che lo facciano perché «vogliono sentirsi grandi» ma anche per tristezza, depressione e noia. La maggioranza vuole capirne i motivi e anche «fare ricorso a punizioni». Emerge forte la delega delle responsabilità («maggior ricorso alle leggi e ai controlli»). Indebolita la famiglia, proiettati verso l'esteriorità, questi ragazzini si spezzano per niente, anche per un esame andato male.


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