Il periodo iniziale di esperienze riconosciute poi come precorritrici risale al 1500, a Milano con san Carlo Borromeo e a Roma con san Filippo Neri. C’è un tempo di particolare fermento innovativo nel 1800 con la straordinaria opera di san Giovanni Bosco, cominciata a Torino, ma rapidamente diffusa in tutto il mondo.
L'oratorio di Don Bosco
La principale preoccupazione di Don Bosco, concependo l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui, ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati.
Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto: “State allegri, ma non fate peccati”.
Ritorno all'ORATORIO
Da Famiglia Cristiana n.39 (27.9.09)
Sono almeno 6 mila, sparsi un po’ in tutta Italia. Quasi la metà degli oratori italiani si trova in Lombardia, altri 900 operano nel Triveneto. Il Piemonte ne registra circa 500, la Sicilia più o meno 400, la Puglia 230, il Lazio oltre 150. Vengono frequentati stabilmente da almeno un milione e mezzo di ragazzi: una cifra che raddoppia se si considerano le presenze saltuarie. I volontari coinvolti a vario titolo nella conduzione delle attività superano di gran lunga le 200 mila unità.
(…) L’oratorio è innanzitutto il segno concreto della cura che la comunità cristiana ha verso bambini, adolescenti e giovani. L’oratorio si realizza in un territorio definito, molto spesso sorge accanto a un campanile o è un tratto costitutivo della presenza di una congregazione religiosa, per esprimere la natura stessa di una Chiesa chiamata ad annunciare il Vangelo, vivendo la carità. Secondo una definizione del cardinale Carlo Maria Martini, l’oratorio «è una comunità che educa all’integrazione fede-vita, grazie al servizio di una comunità di educatori, in comunione di responsabilità e di collaborazione con tutti gli adulti. Il metodo dell’oratorio (o il suo stile) è quello dell’animazione, che consiste nel chiamare i ragazzi a partecipare a proposte educative che partono dai loro interessi e dai loro bisogni». L’oratorio è anche un "luogo", popolare e facilmente identificabile, generalmente ben radicato nel quartiere, dentro il quale vivere esperienze plurime: la formazione catechistica e spirituale, il gioco, l’esperienza del "cortile", il teatro, la musica, ovvero ciò che interessa i più giovani. L’oratorio è, inoltre, un "tempo", sostanzialmente "libero", che segna la crescita dei ragazzi, differenziandosi per le diverse fasce d’età secondo proposte che comprendono divertimento e impegno, istruzione e amicizia, spiritualità e vita comunitaria, organizzazione e creatività. L’oratorio è, poi, un "progetto": nasce dalla passione educativa, mira al conseguimento delle condizioni di realizzazione vocazionale di ogni giovane e si declina secondo l’articolazione di vari e convergenti itinerari educativi. Motore del progetto sono le numerose e differenziate figure educative, a partire dal prete, parroco o viceparroco che sia, che organizzano, conducono e animano le attività con apporti e interventi diversi e il più possibile armonici, quasi sempre a titolo di volontariato. Il tutto è improntato, quasi metodologicamente, a una sorta di "ottimismo educativo", a una convinta fiducia nella dignità e potenzialità dei ragazzi e dei giovani, sempre incontrati, accolti e coinvolti non solo come destinatari, ma soprattutto come soggetti attivi, creativi e fondamentali.
L’oratorio, infine, cerca alleanze con le altre agenzie educative del territorio, in primo luogo con la famiglia, con proposte e momenti che favoriscono l’interagire schietto e costruttivo fra genitori e figli. Ma è così anche con il mondo dell’istruzione, in dialogo con il quale molti oratori costruiscono percorsi di doposcuola volti a sviluppare, tra l’altro, temi fondamentali come l’interculturalità, l’educazione civica e quella ambientale. Ed è così con le istituzioni e le associazioni locali o con i mezzi di comunicazione sociale.
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