lunedì 22 aprile 2013

De Lubac, il Padre della Chiesa del ‘900


di Filippo Rizzi, Avvenire, 2.9.11

Nella notte del 4 settembre 1991 si spegneva, a 95 anni, dopo una lunga agonia e anni di afasia e di sofferenza, il cardinale e teologo gesuita Henri de Lubac (1896-1991) nella casa delle Piccole Suore dei Poveri, a Parigi, dove aveva trovato rifugio e forse riletto la sua vita votata a studiare, soffrire ed amare come un autentico Padre della Chiesa. Un intellettuale che ha lasciato una traccia profonda nella cultura cattolica del Novecento per aver fondato, con il futuro cardinale Jean Daniélou, la collana Sources Chretiennes (1942), ma soprattutto per aver ridato nuova linfa allo studio sui Padri delle Chiesa. A lui si devono capolavori come Catholicisme, Surnaturel, Meditazioni sulla Chiesa, Il dramma dell’umanesimo ateo o Esegesi medievale. Un pensatore talmente aperto ai saperi che spaziavano da Gioacchino da Fiore a Pico della Mirandola fino a Pierre Teilhard de Chardin, tanto da essere definito dal filosofo Étienne Gilson «un teologo di prima grandezza, ma anche un umanista che viene dalla grande tradizione dei teologi umanisti».  Ma a lasciare un’impronta indelebile nella ricerca filosofica e teologica di De Lubac sarà soprattutto il pensiero di Maurice Blondel e del suo capolavoro indiscusso L’Action. (…) Sarà Giovanni XXIII a riabilitare pubblicamente il discusso padre De Lubac nominandolo perito al Concilio Vaticano II e restituendogli la cattedra universitaria. (…)
Fondamentale sarà il ruolo giocato da De Lubac per la stesura di due documenti conciliari: la Dei Verbum e la Lumen Gentium. «Come si evince dai suoi diari, – osserva Guerriero – a differenza di Congar e di Rahner che vivono da protagonisti l’assise conciliare, De Lubac si ritaglierà il ruolo di suggeritore, di 'padre silente' e sarà soprattutto il vero tramite di collegamento con i vescovi africani che chiederanno a lui come comportarsi». Sono questi gli anni in cui l’ormai maturo professore di teologia coltiverà un’amicizia del tutto particolare con il giovane vescovo ausiliare di Cracovia, Karol Wojtyla. «Un’amicizia nata durante il Concilio e la stesura della Gaudium et spes – rivela il cardinale francese Paul Poupard – e sarà proprio il giovane vescovo polacco a chiedere al padre De Lubac la prefazione a un suo libro nel 1965 Amore e responsabilità». Una stima quella del futuro Giovanni Paolo II per il gesuita De Lubac, mai interrotta e culminata nel 1983 con la nomina a cardinale del teologo di Lione. (…) Uno dei suoi grandi meriti è stato sicuramente quello di aver introdotto alla conoscenza dei Padri della Chiesa, con un formidabile schedario prodotto nello scolasticato gesuitico di Lyon-Fourvière, uno dei più grandi teologi del Novecento: Hans Urs von Balthasar. «Fu padre De Lubac a consigliare il teologo svizzero a scrivere su Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore e Origene. – racconta Peter Henrici – La loro è stata un’amicizia che è durata una vita. Il cruccio di De Lubac, mi confidava, era quello di non saper abbastanza bene il tedesco per leggere direttamente le opere in originale del suo amico e in un certo senso 'allievo' Hans Urs….». Gli anni del post­Concilio rappresentano per De Lubac il periodo degli onori accademici, dei riconoscimenti della sua grandezza teologica, della fondazione della rivista Communio nel 1972 con Joseph Ratzinger, ma anche di grande amarezza per la secolarizzazione della Chiesa, il dramma del 1968 e le derive di contestazione. Un’amarezza confermata anche da Henrici: «Era molto preoccupato per come il post-Concilio non avesse messo al centro teologico ciò che gli stava più a cuore: il mistero della Chiesa». (…)  Un «Newman francese» con il culto dell’amicizia e con una passione per la Chiesa simile a quella che Paul Claudel nutriva nei confronti dell’universo. È il ritratto che, a un anno dalla morte del teologo francese, scrisse il discepolo e filosofo, il gesuita Xavier Tilliette per «La rivista del clero italiano». In quelle dense pagine Tilliette, oggi 90enne, rievocò la grandezza di studioso dei Padri della Chiesa, «il segreto della sua sofferenza», la grande umanità, – lui «avaro di confidenze su stesso» –, che infondeva a chi lo avvicinava o si accostava alla sua porta; l’affresco di Tilliette fa affiorare la grande galleria di personaggi che hanno inciso sul Novecento di De Lubac da Daniélou, Teilhard de Chardin, Fessard,Varillon a Bouillard al mutismo degli ultimi anni causato dall’emiplegia e afasia fino alla sua mancata opera incompiuta: scrivere un libro sulla vita di Gesù. «Dopo la felice parentesi del Concilio – si legge nell’amara testimonianza – vedeva crollare il mondo della sua gioventù religiosa, della sua maturità. Era troppo per un uomo come lui. Soprattutto prima e dopo il cardinalato, non trovava più la propria collocazione, benché i visitatori assillassero la sua stanza. Come il suo grande amico Jean Daniélou, non poteva tacere davanti alla secolarizzazione e alla rovina parziale della vita religiosa. Ha voluto reagire, e non lo ha fatto abbastanza, a suo parere. Ma De Lubac è troppo grande per essere schierato dall’uno o dall’altro lato; il suo sguardo azzurro, trasparente, rivolto a noi, ci rendeva migliori».

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