lunedì 5 novembre 2012

Defunti (commemorazione del 2 novembre)


BENEDETTO XVI ha detto:

«Nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla».
  «Nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro».
In tale visione, «la strada della morte è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità».
 «Proprio la fede nella vita eterna  dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza
».
 Nella nostra epoca si  tende ad affrontare la morte secondo una concezione razionale, il che  porta ad immaginare una qualche forma di realtà ultraterrena simile a quella in cui viviamo. «Oggi il mondo è diventato molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza  sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba  rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze  sperimentabili, empiriche».
BENEDETTO XVI,  2.11.2011


2 novembre, Memoria di tutti i defunti
Le nostre radici di Enzo Bianchi
Sono stati i celti a collocare in questo tempo dell’anno la memoria dei morti, memoria che poi la chiesa ha cristianizzato, rendendola una delle ricorrenze più vissute e partecipate, non solo nei secoli passati, ma ancora oggi e nelle città più anonime, nonostante la cultura dominante tenda a rimuovere la morte. Nell’accogliere questa memoria, questa risposta umana alla “grande domanda” posta a ogni uomo, la chiesa l’ha proiettata nella luce della fede pasquale che canta la risurrezione di Gesù Cristo da morte, e per questo ha voluto farla precedere dalla festa di tutti i santi, quasi a indicare che i santi trascinano con sé i morti, li prendono per mano per ricordare a noi tutti che non ci si salva da soli. Ed è al tramonto della festa di tutti i santi che i cristiani non solo ricordano i morti, ma si recano al cimitero per visitarli, come a incontrarli e a manifestare l’affetto per loro coprendo di fiori le loro tombe: un affetto che in questa circostanza diventa capace anche di assumere il male che si è potuto leggere nella vita dei propri cari e di avvolgerlo in una grande compassione che abbraccia le proprie e le altrui ombre.
Per molti di noi là sotto terra ci sono le nostre radici, il padre, la madre, quanti ci hanno preceduti e ci hanno trasmesso la vita, la fede cristiana e quell’eredità culturale, quel tessuto di valori su cui, pur tra molte contraddizioni, cerchiamo di fondare il nostro vivere quotidiano.
Questa memoria dei morti è per i cristiani una grande celebrazione della risurrezione: quello che è stato confessato, creduto e cantato nella celebrazione delle singole esequie, viene riproposto qui, in un unico giorno, per tutti i morti. La morte non è più l’ultima realtà per gli uomini, e quanti sono già morti, andando verso Cristo, non sono da lui respinti ma vengono risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui, il Risorto-Vivente. Sì, c’è questa parola di Gesù, questa sua promessa nel Vangelo di Giovanni che oggi dobbiamo ripetere nel cuore per vincere ogni tristezza e ogni timore: “Chi viene a me, io non lo respingerò!” (cf. Gv 6,37ss.). Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se la sua vita è contraddetta dal peccato e dalle cadute, è colui che si allontana e ritorna, che cade e si rialza, che riprende con fiducia il cammino di sequela. E Gesù non lo respinge, anzi, abbracciandolo nel suo amore gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna.
La morte è un passaggio, una pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (cf. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito santo.
E’ in questa consapevolezza, in questa visione che deriva dalla sola fede, che la morte finisce per apparire “sorella”, per trasfigurarsi in un atto in cui si riconsegna a Dio, per amore e nella libertà, quello che lui stesso ci ha donato: la vita e la comunione. Per questo la chiesa della terra, ricordando i fedeli defunti, si unisce alla chiesa del cielo e in una grande intercessione invoca misericordia per chi è morto e sta davanti a Dio in giudizio per rendere conto di tutte le sue opere (cf. Ap 20,12). La preghiera per i morti è un atto di autentica intercessione, di amore e carità per chi ha raggiunto la patria celeste; è un atto dovuto a chi muore perché la solidarietà con lui non dev’essere interrotta ma vissuta ancora come communio sanctorum, “comunione dei santi”, cioè di poveri uomini e donne perdonati da Dio.
Enzo Bianchi, Dare senso al tempo


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