sabato 24 novembre 2012

Vita eterna. L'Escatologia


ESCATOLOGIA
L'Escatologia (lett. "scienza delle cose ultime o finali") è la riflessione sulle cose ultime, cioè sulle realtà legate alla "fine dei giorni". In pratica l'escatologia è strettamente correlata con la visione della morte e dell'aldilà. L'escatologia cristiana ha a che vedere con la resurrezione dei morti, con la Vita Eterna, con il Giorno del Giudizio, con il ritorno di Cristo (Parusia).
Il Mistero Pasquale viene letto già dalla prima generazione cristiana come un fondamentale evento escatologico, che ridà la speranza ai discepoli del Risorto.
Nella tradizione catechistica della Chiesa si utilizza il termine "novissimi" (="cose ultime") per indicare quattro parole chiave del destino finale dell'uomo: morte (ultima cosa che accade in questo mondo), giudizio di Dio (ultimo giudizio che si dovrà sostenere), inferno ("stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati", CCC 1031), paradiso (sommo bene che avranno "coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati", CCC 1023).

Che differenza c’è tra il giudizio «universale» e il giudizio «particolare»?
Nel Catechismo della Chiesa cattolica al n. 1022 si afferma che «fin dal momento della sua morte ogni uomo riceve la retribuzione eterna in un giudizio particolare... per cui o passerà attraverso una purificazione (Purgatorio), o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre». Al n. 1038 e segg. si afferma che avvenuta la risurrezione di tutti i morti vi sarà il Giudizio finale, in cui Cristo... separerà gli uni dagli altri... e quanti fecero il male «se ne andranno al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». Al di là del fatto che i tempi della vita eterna non sono misurabili con i criteri terreni, è certo che il giudizio finale sarà «universale» e avverrà alla fine dei tempi, mentre il giudizio particolare avrà luogo al momento della morte di ogni uomo. Se però il giudizio particolare conterrà già implicitamente la decisione sulla futura «retribuzione eterna», quindi di per sé definitiva, in cosa si potrà distinguere il Giudizio «finale» da quello «particolare»?
Risponde don Angelo Pellegrini, docente di Teologia sistematica

 
 (…) Nell’Avvento si ricorda con forza anche la nuova venuta di Cristo alla fine dei tempi. Molte letture introducono una distinzione fra tempo ultimo, quello del ritorno di Cristo, e tempo penultimo, quello che precede il ritorno di Cristo. L’Apocalisse nella sua interezza, ma anche Paolo ai Corinzi (cf. 1Cor 15), ad esempio descrive il tempo penultimo ai margini della storia prima della definitiva vittoria di Cristo e la sua piena e gloriosa manifestazione (Parusia). (…)
Il magistero ha ufficializzato tale attesa in un testo che è alla base anche di quanto riportato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, la costituzione Benedictus Deus di Benedetto XII del 1334. La dottrina di tale costituzione è stata più volte ripresa e sviluppata: essa stabilisce una dimensione intermedia, precedente il giudizio finale, che è sia di vera beatitudine per i retti, di vera perdizione per i reprobi, ma soprattutto che c’è una dimensione che vede estendere la misericordia divina in ordine alla purificazione di molti (Purgatorio). Questa dimensione è intermedia, provvisoria, penultima semplicemente perché riguarda un solo aspetto degli esseri umani, la così detta anima.
E qui arriviamo alla novità assoluta del Giudizio finale, essa è «concomitante» alla resurrezione della carne. La novità assoluta, la differenza abissale fra il «prima» e il «dopo» resurrezione è la completezza del progetto creazione. Per capire bene tale aspetto bisogna tornare alle origini: quando Dio creò gli esseri umani li defini kalòs in greco e tov in ebraico, termini che significano sia «buono» che «bello». Anzi dopo la comparsa degli esseri umani tutto il creato risultava «molto buono e molto bello» (cfr. Gn1,31). Tale «splendore» delle origini, compresa la corporeità, chiede completezza, purificazione dopo l’esperienza orrenda dei nostri limiti. Il Giudizio finale porta definitività al creato, compresa la sua dimensione corporea, mostrando che qualcuno può perdersi definitivamente, integralmente, ma qualcuno, e noi speriamo siano molti, salvandosi integralmente mostra come il creato non sia un progetto incompiuto e come perfino la nostra corporeità possa tornare a quello splendore intuito e perso che aneliamo oggi possedere in pienezza. 

Il racconto. Inferno e Paradiso
Un sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese: «Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno» Dio condusse il sant'uomo verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all'interno. C'era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso.
Il sant' uomo sentì l'acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall'aspetto livido e malato. Avevano tutti l'aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze. Dio disse: "Hai appena visto l'Inferno".
Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta. Dio
l'aprì. La scena che l'uomo vide era identica alla precedente. C'era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l'acquolina. Le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici. Questa volta, però, erano ben nutrite, felici e conversavano tra di loro sorridendo. Il sant'uomo disse a Dio: «Non capisco!» - E' semplice, - rispose Dio, - essi hanno imparato che il manico del cucchiaio troppo lungo, non consente di nutrire sè stessi... ma permette di nutrire il proprio vicino.Perciò hanno imparato a nutrirsi gli uni con gli altri! Quelli dell'altra tavola, invece, non pensano che a loro stessi.

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