lunedì 19 novembre 2012

VIRTU’ e vizi











I vizi capitali considerati come gli opposti delle virtù nella concezione cristiana sono

Superbia  (desiderio irrefrenabile di essere superiori, fino al disprezzo di ordini, leggi, rispetto altrui).

Avarizia (desiderio irrefrenabile dei beni temporali).

Lussuria (desiderio irrefrenabile del piacere sessuale fine a se stesso).

Invidia (tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio).

Gola (abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola, e non solo).

Ira (irrefrenabile desiderio di vendicare violentemente un torto subito).

Accidia (torpore malinconico, inerzia nel vivere e compiere opere di bene).
 
In sette parole il segreto per una vita buona e bella
E. G., Carmelitana di S. Teresa di Firenze

(…) A molti appare anacronistico continuare a proporre la virtù come espressione di un’esistenza realizzata e felice, probabilmente a causa di una eccessiva enfasi posta, in passato, sulla necessità di acquisire comportamenti buoni e virtuosi come garanzia della propria fede e della propria moralità; quasi un rigurgito di moralismo, dal quale sempre più fortemente ci si vuole affrancare in nome di una affermazione di sé autonoma, spontanea e libera. È significativo che gli Orientamenti della Cei per il prossimo decennio non esitino ad esprimere il fine dell’educazione con una categoria oggi piuttosto in disuso nel vocabolario e nello scenario comune: la bontà; la «vita buona», quindi virtuosa, è indicata come l’oggetto e insieme il fine del processo formativo, come a dire che l’uomo pienamente maturo e realizzato è l’uomo buono. In realtà, è proprio la domanda di felicità che l’uomo di sempre e da sempre si porta dentro, che consente di ricomprendere e ricollocare le virtù nei nostri orizzonti di pensiero, nei nostri ideali di realizzazione, nei nostri spazi di decisione.
(…) Nel Vangelo non si parla mai di virtù! Gesù sembra escludere dal suo insegnamento autorevole questo concetto, che del resto in tutta la Scrittura appare di sfuggita, rare volte. «Maestro, cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» Questa è una domanda eterna, «è una domanda di pienezza di significato per la vita. E, in effetti, è questa l’aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l’intimo impulso che muove la libertà. Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l’eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor). La risposta di Gesù: «Perché mi chiami buono?», colpisce: proprio a Lui, infatti, a Lui che non attribuisce a se stesso la bontà, ma che immediatamente la rimanda al Padre come al «solo buono», guardiamo spontaneamente come al modello di ogni virtù; Gesù il mite, Gesù l’accogliente, Gesù il misericordioso, Gesù il paziente, Gesù il pacificatore … Eppure: «Perché mi chiami buono?». No, non è strana, questa apparente omissione: la vita del discepolo - come quella del Maestro - è fondamentalmente una vita graziata, cioè una vita il cui dato primo e imprescindibile è un dono che la precede, la riempie, la alimenta, la muove. (…) L’esistenza umana non è buona, bella e vera (in altri termini: virtuosa) perché e nella misura in cui è fruttuosa, ma è capace di dare frutti abbondanti perché è per grazia buona, bella, vera. (…) Le virtù, lungi dall’essere in prima battuta il risultato di uno sforzo umano oggigiorno considerato quasi eroico, sono le concrete possibilità di risposta ad un amore già innestato nel cuore dell’uomo; pertanto, la questione non sta nel negarne o, all’opposto, nel difenderne apologeticamente l’attualità, ma in un più semplice e umile riconoscimento del fatto che fino a quando esisterà l’essere umano, quello sulle virtù non sarà un discorso da reinventare, ma una realtà esistenziale da accogliere. (…) Le virtù costruiscono relazioni, cementano rapporti, alimentano comunione; in questo senso non possono che essere sempre attuali, proprio perché rispondono all’anelito di fratellanza, giustizia, pace, che ogni uomo e ogni Popolo possiede e cerca di raggiungere. Infine, (…) ogni uomo - in quanto aspira al bene e alla felicità - può riconoscere nella pratica virtuosa la strada per far fronte alla dilagante mentalità edonistica e utilitaristica che finisce per sacrificare la sua libertà, per mortificare le sue reali potenzialità. (…) «Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri (…) e il Dio della pace sarà con voi».
La virtù è attuale? Molto di più, è vitale!

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