Seguiamo alcune riflessioni sulla liturgia proposte da Enzo Bianchi e da Christian Albini. Il primo ricorda come “La liturgia che dovrebbe essere luogo di comunione è diventata luogo di conflitto nella chiesa. (…)
In quasi tutte le comunità cattoliche l’eucarestia è celebrata quotidianamente. Nei giorni feriali poche persone vi partecipano: sovente sono donne e anziane – anche loro sempre di meno – pochi gli uomini, praticamente assenti i giovani. Qualcuno potrà lamentarsi che vengono celebrate in modo troppo quotidiano, che manca la ricchezza del canto o della festa, che sono prive di una bellezza capace di meravigliare, che non si impongono e non richiamano spettatori... Eppure, se celebrate seriamente e con consapevolezza, saranno “umili” eucaristie ma sempre con la verità di “cene del Signore”. Il criterio per giudicarle non è la loro capacità di “fascino”, bensì se fanno risuonare per quanti vi partecipano l’“evangelo”, la buona notizia della morte e risurrezione di Gesù Cristo, se sono fonte di fiducia per la vita, fonte di speranza per il futuro, fonte di amore fraterno nella vita di famiglia e negli incontri, nel tessuto sociale dove i cristiani sono collocati, vivendo e lavorando con gli altri uomini. Sì, questa è la vera domanda che ci dobbiamo porre davanti all’eucaristia: la sua celebrazione determina qualcosa nella nostra vita, cambia i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti sempre tentati dalla mondanità, converte le nostre vite?
È certamente molto importante, anzi decisivo, interessarsi sul “come” l’eucaristia è celebrata, ma non dobbiamo mai dimenticare che tutto ciò che noi predisponiamo o operiamo per la celebrazione può avere un solo fine: immergerci nella dinamica del mistero pasquale, quell’evento che Gesù ha raccontato con parole e gesti sul pane e sul vino. Ricordiamoci allora che partecipare all’eucarestia è innanzitutto accogliere l’invito alla “tavola del Signore” (1Cor 10,21): è il Signore vivente che invita noi, poveri e peccatori bisognosi della sua misericordia, malati assetati di guarigione, affaticati e stanchi in cerca di riposo, umiliati e ultimi che anelano a essere riconosciuti e accettati senza doverlo meritare... Tutti diciamo: “Signore, non sono degno...”. Così il pane è dato a tutti, icona della condivisione, ispirazione e comando di condivisione di tutti i frutti della terra e del lavoro umano, affinché non ci siano bisognosi nella comunità in cui si vive (cf. At 4,32).
Ma partecipare all’eucarestia significa anche essere coinvolti nel sacrificio di un uomo, il servo del Signore, che ha speso e dato la sua vita per gli altri fino ad accogliere la morte violenta, la morte del giusto in un mondo ingiusto, la morte dello schiavo in un mondo di padroni e di potenti, la morte di un uomo di pace in un mondo violento... Non a caso, secondo il Vangelo di Luca, proprio nel contesto dell’ultima cena, dopo l’istituzione dell’eucaristia, Gesù ha detto: “Ma voi non così!” (Lc 22,26), non comportatevi come accade ogni giorno nel mondo, non come fanno tutti, non come viene spontaneo fare in base all’istinto della conservazione e della difesa di noi stessi fino a far prevalere l’amore per noi stessi senza gli altri e anche contro gli altri!
L’eucaristia è il magistero del “ma voi non così!”, della differenza cristiana, perché vuole plasmarci in uomini e donne eucaristici, capaci cioè di vivere e spendere la vita a servizio degli altri, amando gli altri fino all’estremo, fino al nemico stesso: corpo spezzato, sangue versato, sacrificio di una vita offerta e consumata nell’amore autentico dei fratelli.
E affinché comprendessimo che l’eucaristia è questo – altrimenti non è, ma si riduce a scena religiosa, sontuosità e falsità – Gesù ha anche affidato ai discepoli un gesto che la spiega e la interpreta: la lavanda dei piedi. In quel curvarsi di Gesù, in quel compiere il gesto dello schiavo nei confronti dei fratelli, Gesù ha detto parole che risuonano anche per noi oggi: “Avete capito ciò che vi ho fatto?”, avete capito che lo spezzare il pane e bere al calice è servizio ai fratelli, servizio quotidiano assunto come stile, lo stile del Signore e del Maestro?
L’eucaristia è questo! E se lo è autenticamente, allora può solo essere fonte di riconciliazione, di comunione, di amore fraterno. Se invece essa è intesa e vissuta soltanto come celebrazione, rito, come un’occasione di identità e appartenenza culturale e religiosa, se in essa si cerca la solennità come spettacolo che seduce e abbaglia, allora purtroppo è vero che noi ci dividiamo e di fronte all’eucaristia entriamo in conflitto gli uni con gli altri... Ma quello che celebriamo non è più l’eucaristia di Gesù, la cena del Signore (cf. 1Cor 11,21)! Non si può rispettare il corpo di Cristo, fissandolo nel pane e nel vino, e poi non riconoscere il corpo di Cristo che è la comunità, la chiesa, insieme di malati, poveri e peccatori che cercano di trovare senso nelle loro vite per poter pregustare la salvezza che viene dal Signore!
(Enzo Bianchi, L'eucaristia, magistero del «ma voi non così», Jesus, luglio 2011)
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La Messa nella vita
Che cosa intendiamo con Eucaristia? Che cosa significa davvero per noi cristiani? La risposta non è scontata.
Considerare l’eucaristia alla stregua di un «oggetto» sacro da adorare, consistente nelle specie eucaristiche, è limitativo e tradisce il senso delle parole e dei gesti di Gesù. Eucaristia è tutta la celebrazione in quanto segno dell’esistenza pasquale del Signore, la quale diviene fonte e culmine dell’esistenza pasquale del cristiano e della Chiesa.
Si comprende così quanto scriveva Rinaldo Falsini, uno dei massimi liturgisti italiani: «Le possibilità per rinnovare e arricchire la presentazione del mistero eucaristico sono numerose, purché si eviti lo scoglio di presentarlo come una res da credere, da prendere e da adorare anziché come una realtà da celebrare e da vivere» (Celebrare e vivere il mistero eucaristico, EDB, p. 39).
Qui sta la risposta ai tentativi fondamentalisti di annullare la riforma liturgica e alle fissazioni formalistiche che identificano la presenza divina con un rito immobile, congelato nel passato e nella solennità esteriore che niente ha a che fare con la semplicità che lascia spazio al Signore.
Un altro aspetto che emerge dal Vangelo è il fare della celebrazione una realtà accessibile e non riservata esclusivamente a dei presunti «puri». Si pensi al testo dei discepoli che colgono le spighe in giorno di sabato, cui gli esegeti attribuiscono un significato eucaristico (Mt 12,1-8; Mc 2,23-28; Lc 6,1-5): l’eucaristia non è stata istituita per tenere lontano qualcuno, ma per essere nutrimento di tutti. Marco, a suggello dell’episodio, appone il detto: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (2,27).
È detto per tutte quelle interpretazioni dell’eucaristia in termini di formalismi e di prescrizioni che ne alterano il senso e la sostanza. È detto per le esclusioni legalistiche di alcune categorie di persone dal pasto eucaristico che allontanano dalla comunità cristiana (a cominciare dai divorziati risposati). Nella prassi eucaristica delle nostre comunità, è il sabato per l’uomo o viceversa?
«Non posso pensare all’eucaristia se non pensando all’umanità che deve accoglierla e vedere le condizioni per questa accoglienza. Credo che la condizione fondamentale sia il bisogno, la fame, perché l’eucaristia è accompagnata dalle parole “prendete e mangiate”. L’io autosufficiente e assoluto non ne ha bisogno. Ed è questa la vera tragedia dell’occidente cristiano» (Arturo Paoli, Prendete e mangiate, la meridiana, pp. 27-28).
Qui sta la risposta ai tentativi fondamentalisti di annullare la riforma liturgica e alle fissazioni formalistiche che identificano la presenza divina con un rito immobile, congelato nel passato e nella solennità esteriore che niente ha a che fare con la semplicità che lascia spazio al Signore.
Un altro aspetto che emerge dal Vangelo è il fare della celebrazione una realtà accessibile e non riservata esclusivamente a dei presunti «puri». Si pensi al testo dei discepoli che colgono le spighe in giorno di sabato, cui gli esegeti attribuiscono un significato eucaristico (Mt 12,1-8; Mc 2,23-28; Lc 6,1-5): l’eucaristia non è stata istituita per tenere lontano qualcuno, ma per essere nutrimento di tutti. Marco, a suggello dell’episodio, appone il detto: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (2,27).
È detto per tutte quelle interpretazioni dell’eucaristia in termini di formalismi e di prescrizioni che ne alterano il senso e la sostanza. È detto per le esclusioni legalistiche di alcune categorie di persone dal pasto eucaristico che allontanano dalla comunità cristiana (a cominciare dai divorziati risposati). Nella prassi eucaristica delle nostre comunità, è il sabato per l’uomo o viceversa?
«Non posso pensare all’eucaristia se non pensando all’umanità che deve accoglierla e vedere le condizioni per questa accoglienza. Credo che la condizione fondamentale sia il bisogno, la fame, perché l’eucaristia è accompagnata dalle parole “prendete e mangiate”. L’io autosufficiente e assoluto non ne ha bisogno. Ed è questa la vera tragedia dell’occidente cristiano» (Arturo Paoli, Prendete e mangiate, la meridiana, pp. 27-28).
Christian Albini, http://sperarepertutti.typepad.com/
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