Promulgata il 21 novembre 1964, la Costituzione dogmatica Lumen Gentium è la seconda in ordine di tempo, la più dibattuta e probabilmente la più innovativa e rivoluzionaria: ha creato un vero e proprio spartiacque con le visioni ecclesiologiche del passato. Il documento conciliare, infatti, ha recuperato le prospettive ecclesiali che emergono dai testi biblici e da quelli dei padri della Chiesa e ha superato le visioni unilaterali che avevano dominato il pensiero teologico negli ultimi secoli, che avevano portato a ridurre la riflessione sulla Chiesa ad una riflessione sulla gerarchia e sugli aspetti visibili e istituzionali della comunità cristiana, con la conseguente dimenticanza della dimensione soprannaturale della Chiesa e del ruolo attivo di tutti i battezzati nella vita ecclesiale.
PRESENTAZIONE-SCHEMA DELLA COSTITUZIONE:
Premesse:
-
Le
obiezioni sulla Chiesa:
oggi le critiche e le difficoltà che si percepiscono relative alla
fede, più che sull’esistenza di Dio o sull’identità di Gesù Cristo, sono quasi
esclusivamente rivolte alla Chiesa[1]: per “crimini” compiuti
nei secoli scorsi, per la morale bioetica e sessuale, per il potere politico ed
economico, per la poca democraticità e tolleranza (verso le donne e i gay)…
Risulta dunque fondamentale comprendere più a fondo l’identità della Chiesa.
-
Dalla
piramide al cerchio:
la rivoluzione copernicana che la Costituzione dogmatica LG offre
sulla Chiesa può essere espressa dalle due figure geometriche: il passaggio dal
triangolo (o piramide) dove la Chiesa è letta prevalentemente nella sua
dimensione gerarchica (all’apice il Papa e sotto, in ordine, troviamo i
Cardinali, i Vescovi, i Religiosi e i Laici) al cerchio dove la Chiesa è letta
nella sua dimensione spirituale e comunionale (al centro c’è Dio e attorno, con
diversi ministeri e carismi, il Popolo di Dio, accomunato dallo stesso
battesimo)[2].
-
Luce
delle genti:
In questo senso “Luce delle genti” (Lumen gentium) è Gesù Cristo,
non la Chiesa (LG,1). “La Chiesa è in
Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano” (LG,1). E’ Gesù Cristo, e solo Lui, il
fondatore, il capo e l’anima della Chiesa. Da Lui dobbiamo sempre ripartire e a
Lui giungere.
[1] Scriveva più di 40 anni fa J.Ratzinger in “Introduzione al cristianesimo”: “La Chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale alla fede”.
[2] Secoli di attacchi ed eresie espresse contro la
dottrina ufficiale della Chiesa portarono in primo piano il drammatico bisogno
di difendersi, minandone la sua autorità e il suo fondamento teologico. Si
cominciò così a parlare della Chiesa partendo dal suo aspetto esteriore e
istituzionale per evidenziare il fondamento della sua autorità, per difendere
il ruolo unico del papato che era stato messo in forte discussione (per questo
si parlava di “Società perfetta”). Questo, di conseguenza, comportò il far
passare in secondo piano il suo aspetto misterico e sacramentale, la sua
origine divina e trinitaria.
Accanto ad una ecclesiologia “ufficiale” di stampo
apologetico e giuridico non mancò mai però una ecclesiologia diversa,
minoritaria e spesso vista con sospetto, ma destinata, in tempi più opportuni,
ad imporsi con forza. Tornando alle fonti bibliche e patristiche, dai più
tralasciate, si riprende a parlare con forza dell’origine divina della Chiesa,
del suo carattere misterico e sacramentale. Si torna così ad allargare lo
sguardo ecclesiologico fino alla riscoperta dell’origine trinitaria della
Chiesa, mostrando come la Trinità sia non solo la fonte, ma anche il modello e
il destino della Chiesa.
T. Federici parla di quattro fiaccole che risplendono
nel buio panorama ecclesiologico del tempo: J. A. Möhler in Germania, J. H.
Newman in Inghilterra, A. Rosmini in Italia e A. Grèa in Francia. L’importanza di questo autore è stata negli ultimi
decenni evidenziata da alcuni studiosi che hanno, in particolare, mostrato il
suo contributo ante litteram nell’elaborare una teologia della Chiesa
particolare.
La Costituzione dogmatica sulla Chiesa
risulta strutturata in otto capitoli, secondo il seguente schema[1]:
cap. 1: Il mistero della Chiesa (paragrafi
1-8)
cap. 2: Il popolo di Dio (paragrafi 9-17)
cap. 3: La costituzione gerarchica della
Chiesa e in particolare l’episcopato (paragrafi 18-29)
cap. 4: I laici (paragrafi 30-38)
cap. 5: La vocazione universale alla
santità nella Chiesa (paragrafi 39-42)
cap. 6: I religiosi (paragrafi 43-47)
cap. 7: L’indole escatologica della Chiesa
pellegrina (paragrafi 48-51)
cap. 8: La Beata vergine Maria Madre di Dio
nel mistero di Cristo e della Chiesa (par. 52-69)
1-
LA CHIESA è MISTERO
-
“Mistero”:
il termine, in ambito religioso, è sinonimo di “Sacramento”, ed indica una
realtà rivelata da Dio per poterci avvicinare a Lui[2].
-
La
Chiesa è mistero-sacramento in quanto istituita da Dio come segno e strumento
di comunione e di unità.
-
prima
di essere un’assemblea di persone, socialmente organizzata e strutturata, la
Chiesa è un mistero, una realtà
soprannaturale.
1.1. La Chiesa e la Trinità (LG 2-4)
- L’origine
della Chiesa in primo luogo, è
più antica della sua stessa comparsa nella storia degli uomini ed è radicata nella vita della Trinità.
-
Dio-Padre l’ha prefigurata
(voluta) da sempre e gli ha dato inizio a partire dal primo comparire
dell’umanità e, in particolare, nella scelta del popolo di Israele.
-
Il Figlio, Gesù
Cristo, l’ha istituita scegliendo i 12 (inizio del nuovo popolo di Israele,
innestato su quello precedente), annunciando la venuta del Regno di Dio[3], donandole i Sacramenti
per perpetuare la sua azione di donazione totale e di riconciliazione.
-
Lo Spirito Santo: la santificata e la
conduce alla comunione; ed è per opera dello Spirito che la Chiesa testimonia
il Vangelo di salvezza che continua ad operare nel mondo.
Se la Trinità è all’origine della Chiesa,
la stessa struttura del popolo di Dio è segnata dal mistero dell’amore-comunione
del Padre, del Figlio e dello Spirito: Persone distinte, ma unite nell’amore.
La Trinità, infine, oltre che origine e forma della Chiesa, n’è anche il fine.
1.2. La Chiesa come “corpo di Cristo” (LG
7)
-
quest’immagine
di origine biblica (paolina) rivela il legame tra Cristo e la Chiesa. Di
questo corpo, Cristo è il capo, che provvede, mediante i sacramenti, a sostenere,
a curare, a nutrire.
-
In
secondo luogo, l’idea che la Chiesa sia un “corpo” evidenzia la natura
visibile che la caratterizza: essa non è una vaga entità spirituale,
dunque, ma è concretamente presente e reale nella vita del mondo, come un
corpo.
-
L’immagine
del corpo rivela anche la struttura della Chiesa: composta di tante
membra; ognuna con un ruolo specifico e insostituibile. Ciascuno, per la sua
parte, ha un dono diverso da esercitare per il bene di tutta la Chiesa. Come in
un corpo ciascun membro ha bisogno delle altre membra per sopravvivere.
1.3. La Chiesa è
insieme umana e divina, visibile e invisibile (spirituale), terrestre e celeste
(LG 8)
Non esiste una Chiesa spirituale
contrapposta ad una Chiesa istituzionale. La dimensione visibile ha tuttavia solo
una funzione di strumento a servizio di quella invisibile, ed è legittimata
solo da questo motivo.
2. Il popolo di Dio (LG 9-17)
Altra immagine biblica: la Chiesa, sin
dalle origini, si è riconosciuta erede delle promesse che Dio aveva fatto al
popolo d’Israele e ha compreso se stessa come il “nuovo popolo di Dio”.
-
l’idea
che la Chiesa sia un “popolo” rivela che essa si definisce a partire dalla comunione:
i cristiani non sono individui isolati, che si chiudono semplicemente nella
loro esperienza di fede, per quanto profonda possa essere, né rappresentano una
massa indistinta di persone, in cui la dignità di ciascuno si perde
nell’anonimato: essi sono un popolo, in cui lo Spirito agisce attraverso ogni
persona, per il bene di tutti.
-
caratteristiche
del popolo di Dio: come ogni popolo, ha un capo, il Cristo; ha per condizione la dignità e la libertà dei
figli di Dio; per legge il nuovo
comandamento di Gesù; per fine il
Regno di Dio
-
Il
popolo di Dio è chiamato ad essere presente nel mondo per servirlo e per
testimoniare l’amore di Dio per gli uomini.
2.2. Il popolo di Dio come popolo regale,
profetico, sacerdotale (LG 10-12)
-
ad
accomunare questo popolo è il sacerdozio
comune ricevuto attraverso il battesimo:
l’unzione crismale (battesimale) sigillata con il sacramento della cresima, lo
rende membro del corpo di Cristo, che è la Chiesa, e lo fa partecipare alla
triplice unzione (regale, profetica e sacerdotale) del Cristo. Per questo egli
è chiamato a mettersi al servizio
del mondo perché sia costruito e accolto il Regno di Dio nella storia (funzione
regale); a testimoniare con la
parola e con la vita l’evangelo di Gesù (funzione profetica[4]);
ad offrire se stesso in comunione
con il sacrificio del Signore per glorificare Dio e presentare la preghiera per
la santificazione del mondo (funzione sacerdotale). Tali considerazioni
hanno permesso di superare la concezione piramidale della Chiesa a favore della
comune dignità del popolo di Dio.
L’indole sacerdotale del popolo di Dio viene
espressa in due modi che differiscono “essenzialmente” tra loro (LG 10): nel sacerdozio
comune dei fedeli, che è proprio di ogni battezzato, e nel sacerdozio
ministeriale, che si realizza attraverso il sacramento dell’Ordine, nei due
gradi dell’episcopato e del presbiterato, ossia nei vescovi e nei preti.
2.3 La Chiesa, l’ecumenismo e il dialogo
con le altre religioni (LG 14-16, decreto Unitatis redintegratio,
dichiarazione Nostra aetate)
Nel nostro secolo si è notevolmente
sviluppato il movimento ecumenico, che esprime tra i cristiani
l’esigenza di ristabilire l’unità della Chiesa primitiva, quell’unità che nel
corso della storia si è persa a causa delle divisioni che permangono ancora
oggi tra i seguaci del Cristo.
La Chiesa cattolica, dopo un iniziale
atteggiamento di sospetto e di avversione per l’ecumenismo, negli ultimi
decenni ha pienamente riconosciuto la necessità del dialogo con le altre
confessioni cristiane, proprio grazie al Concilio Vaticano II, che ha
promulgato un importante decreto sull’ecumenismo, l’Unitatis redintegratio (1964).
Il Concilio stesso ha, per la prima volta, affermato anche l’impegno della
Chiesa nel dialogo inter-religioso con gli Ebrei, i Musulmani e con le
altre religioni mondiali, nella dichiarazione Nostra aetate (1965). I
principi fondamentali dell’ecumenismo cattolico si ritrovano proprio nella
Costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen gentium.
La
comunione con la Chiesa di Cristo è necessaria per ottenere la salvezza;
e ribadisce che la Chiesa fondata da Cristo si realizza pienamente (in LG 8 si
legge “sussiste”) nella Chiesa cattolica (ne è parte, ma non ha la pienezza o
l’esclusiva). Ma, e questa è la novità, riconosce che anche fuori della Chiesa
cattolica si trovino “parecchi elementi
di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo,
spingono verso l’unità cattolica” (LG 8).
Tutti gli uomini sono chiamati alla
comunione con la Chiesa, anche se sono concretamente uniti ad essa secondo vari
gradi, in maniera più o meno consapevole (LG 13). I cattolici, ossia
coloro che condividono con tutto il cuore la fede della Chiesa, che accettano
la sua organizzazione gerarchica e vivono l’esperienza dei sacramenti, sono pienamente
incorporati alla Chiesa (LG 14).
Ad un secondo grado appartengono i cristiani
non cattolici: gli ortodossi,
che non riconoscono il primato del vescovo di Roma ed alcune affermazioni sullo
Spirito Santo e sulla prassi di alcuni sacramenti, e i protestanti, che in forme diverse rifiutano l’esistenza
dell’episcopato, o, in genere, del sacerdozio, negano la maggior parte dei
sacramenti, e, anche sul piano dottrinale, pongono alcune obiezioni alla fede
cattolica.
I cristiani non cattolici, secondo il
Concilio, sono uniti alla Chiesa per molteplici ragioni: tutti, infatti,
condividono le verità fondamentali del messaggio cristiano, come la comunione
trinitaria, l’incarnazione del Figlio di Dio, l’ascolto delle Scritture, alcuni
sacramenti, come il battesimo e, in molti casi, l’eucaristia e alcuni altri,
vivono una vita nello Spirito, che agisce in loro e attraverso di loro (LG 15).
Anche coloro che professano una religione
non cristiana, come gli Ebrei e
i Musulmani, che credono in un solo
Dio e si riconoscono, come i cristiani, figli di Abramo, o come i fedeli di
tutte le religioni mondiali, che riconoscono una vita soprannaturale, tendono
verso la comunione con la Chiesa (o, come si esprime LG 16, “sono ordinati
al Popolo di Dio”). E nemmeno gli atei
senza colpa, coloro, cioè, che, per non averlo conosciuto, negano
l’esistenza di Dio, ma che pure agiscono seguendo anche inconsapevolmente la
voce di Dio che parla nella coscienza, sono esclusi dal disegno di salvezza che
Dio realizza attraverso la Chiesa (LG 16).
-
La
Chiesa è inoltre per sua natura missionaria
(LG 17): chiamata ad annunciare e condividere quanto ha ricevuto.
3. LA
COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA (LG
III 18-29): carismatica e
ministeriale
Se la struttura della Chiesa è prima di
tutto carismatica (è lo Spirito che dona i carismi da esercitare per il
bene comune), è proprio della Chiesa stessa riconoscere tali carismi in ministeri ossia dei servizi più o meno
permanenti per la comunità.
Attualmente la Chiesa cattolica riconosce
tre tipi di ministeri, che differiscono tra loro per l’origine e per i compiti
che determinano:
-
i
ministeri ordinati, ossia quelli che derivano dal sacramento
dell’Ordine, nei suoi tre gradi del diaconato, del presbiterato e
dell’episcopato;
-
i
ministeri istituiti, che la Chiesa ha stabilito nel corso della sua
storia per rispondere alle esigenze che di volta in volta si presentavano, e
che sono riconosciuti mediante riti specifici, come il lettorato e l’accolitato;
-
i
ministeri “di fatto”, ossia quelli che, pur non essendo istituiti
ufficialmente e solennemente, sono riconosciuti nell’ambito di una comunità
locale, come il ministero del catechista, dell’animatore liturgico o dei
cantori ed altri.
Come si vede, dunque, la dimensione
istituzionale della Chiesa, che deriva proprio dalla sua natura carismatica e
ministeriale, non può essere separata dalla dimensione spirituale: è solo dallo
Spirito che nascono i carismi e i ministeri, e non da poteri umani o da cariche
e privilegi; ed è dal battesimo che proviene l’uguale dignità di tutti i
credenti, pur nelle loro differenti funzioni.
-
la
scelta di Gesù dei 12 apostoli (= inviati) tra il gruppo numeroso di discepoli
(= alunni) pone inizio al collegio apostolico di cui i Vescovi sono i
successori istituiti sacramentalmente con l’ordinazione episcopale (da
esercitarsi solo se in comunione con il Papa e con il collegio episcopale).
3.1. I
vescovi e la Chiesa universale: il Collegio episcopale e il Papa (LG 21-24)
Tutti i vescovi del mondo in comunione tra
loro e con il vescovo di Roma formano il Collegio episcopale. Il vescovo
di Roma, cioè il Papa, è anche il Capo visibile della Chiesa in quanto successore di Pietro, colui che tra gli
Apostoli ricevette un compito ed un’autorità particolare da Gesù (Mt 16,18; Lc
22,32; Gv 22,15 ss.), e che proprio a Roma, sul colle Vaticano, fu martirizzato
dopo esserne diventato il primo Vescovo.
Sia il Papa, sia il Collegio episcopale in
comunione col Papa guidano con l’autorità di Cristo la Chiesa universale, della
quale essi sono i massimi “servi”.
Come il Papa, anche il Collegio episcopale
gode dell’infallibilità nell’insegnare, quando definisce solennemente,
in comunione con il Sommo Pontefice, delle verità dottrinali o morali. Questa
potestà su tutta la Chiesa si manifesta in maniera particolare nei Concili
ecumenici, che hanno costellato la storia della Chiesa. Ad essi partecipano
tutti i vescovi del mondo per determinare i principi dottrinali e pastorali
della vita della Chiesa.
Un’altra espressione della comunione dei
vescovi e della loro opera per la Chiesa universale è il Sinodo dei vescovi,
riunito periodicamente dal Papa per trattare temi che riguardano il bene di
tutta la Chiesa o di Chiese particolari[5]. Al Sinodo partecipano,
diversamente dal Concilio ecumenico, solo i Vescovi scelti dalle varie parti
del mondo.
I vescovi di una stessa nazione o di una
stesso territorio formano, poi, le Conferenze episcopali, assemblee
deputate a promuovere le attività pastorali della Chiesa in una determinata
regione.
Tra i vescovi, infine, alcuni vengono
eletti Cardinali dal Papa: ad essi è riservato il compito di aiutare più
da vicino il Pontefice nella sua attività; sono essi, inoltre, che hanno il
diritto di eleggere il nuovo Papa. Secondo la Tradizione essi sono i Titolari
delle Parrocchie di Roma.
3.2 Il
vescovo e la Chiesa locale (LG 25-27)
Ciascun vescovo esercita le sue funzioni
nella propria Chiesa particolare.
3.3 Il
ministero del presbitero (LG 28 e decreto Presbyterorum ordinis)
Il termine “presbitero” deriva dal greco presbyteros,
che significa “il più anziano”. Quando, a partire dal II sec. il vescovo
assunse un ruolo preminente nelle comunità cristiane, sempre più estese, i
presbiteri divennero i suoi più stretti collaboratori, sostituendolo e
rappresentandolo nelle situazioni in cui egli non poteva essere presente. Dal
IV sec. cominciò ad essere affidata ai presbiteri la cura delle comunità di
campagna, che sorgevano attorno alla città nella quale risiedeva il vescovo. E’
l’inizio dell’organizzazione parrocchiale della Chiesa, che si svilupperà nei secoli
successivi fino ad oggi.
3.4 Il
ministero del diacono (LG 29)
Il terzo grado del sacramento dell’Ordine è
il diaconato, ultimo grado della gerarchia, che tuttavia, diversamente
dall’episcopato e dal presbiterato, non possiede un carattere sacerdotale. La
parola diákonos significa in greco “ministro, servo”. Negli ultimi
secoli il ministero del diacono aveva perso le sue caratteristiche specifiche
ed era diventato solo un passaggio necessario per l’accesso al sacerdozio. Il
Concilio Vaticano II, invece, ha riscoperto il valore originario di questo
ministero, che oggi può essere assunto, come nei primi secoli della storia
della Chiesa, anche in maniera definitiva, da persone sposate o anche da
giovani celibi che non hanno intenzione di essere sacerdoti: in quest’ultimo
caso, tuttavia, essi non possono più sposarsi.
Il diacono esercita la sua funzione regale
nelle diverse attività caritative della comunità; quella profetica, animando la
liturgia della Parola ed occupandosi della catechesi; quella sacerdotale, nella
celebrazione del Battesimo e del Matrimonio, oltre che di alcuni sacramentali,
del rito funebre, nella distribuzione e conservazione dell’Eucaristia, eccetera.
Il Concilio Vaticano II è stato il primo
Concilio che nella bimillenaria storia della Chiesa ha dedicato una specifica
attenzione ai laici.
-
Il
vocabolo “laico” deriva dal greco laós, che significa “popolo”. Laico è,
dunque, colui che appartiene al popolo.
-
i
laici nella Chiesa si distinguono dai membri della gerarchia non tanto, in
negativo, perché a loro manca il sacramento dell’Ordine, ma, in positivo,
perché essi sono caratterizzati dalla cosiddetta “indole secolare” (LG 31), ossia dalla particolare predisposizione a
vivere immersi nelle realtà del mondo (saeculum, in latino, vuol dire
anche “mondo”). Solo i laici possono giungere ad evangelizzare i luoghi di vita
quotidiana (casa, scuola, lavoro…). Attraverso i laici, infatti, l’annuncio
della fede esce dai luoghi del culto e si diffonde in tutti gli ambiti della
vita degli uomini “perché la forza del
vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale” (LG 35).
5. Universale vocazione alla santità nella
Chiesa (LG V 39-42)
La Chiesa è Santa
in quanto abitata e guidata da Dio che è Santo e che santifica. E’ composta poi
di peccatori, i cristiani, chiamati tutti alla santità. Un diffuso pregiudizio considerava la santità come prerogativa di uno
specifico stato di perfezione, nella fattispecie quello religioso-monastico. Il
monito del Signore: «Siate dunque
perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste» (Mt 5,48), vale
incondizionatamente per ogni credente. Se il metro e il culmine della
perfezione è l’amore, che in pienezza si realizza nel sacrificio in croce del
Figlio, allora consegue che «il vero
discepolo di Cristo si caratterizza per la carità sia verso Dio che verso il
prossimo» (LG 42).
6. La vita consacrata (LG VI 43-47)
Tra
i membri del popolo di Dio una particolare configurazione è quella di quegli
uomini e di quelle donne che consacrano solennemente la loro vita a Dio nella
professione dei “consigli evangelici”. Il Concilio Vaticano II ha dedicato ai
“religiosi” il VI capitolo della Lumen gentium e il decreto sul
“rinnovamento della vita religiosa”, Perfectae caritatis.
I consigli evangelici, che Gesù ha
proposto a chiunque lo voglia seguire, nella tradizione cristiana sono espressi
specificamente nell’invito alla povertà, alla castità e all’obbedienza. Benché ogni
cristiano sia chiamato a seguire i consigli evangelici e a consacrare a Dio la
propria esistenza, nelle forme adeguate alla propria situazione di vita, alcuni
sono scelti da Dio per realizzare tale consacrazione in una forma radicale e
stabile, mediante una “professione solenne“, con la quale vengono emessi
pubblicamente i “voti“, che impegnano definitivamente la persona
nell’osservanza della povertà, della castità e dell’obbedienza, e che la Chiesa
riconosce ufficialmente: in questo modo la persona entra nello stato del
“religioso”, che è una delle forme della “vita consacrata”. Il voto, tuttavia,
può essere anche fatto in forma privata, senza un intervento diretto e
ufficiale della Chiesa; o, anche in forma temporanea[7].
Essi testimoniano, innanzi tutto, che è
possibile vivere in maniera radicale il Vangelo, con il distacco anche
esteriore da sé stessi e dal mondo; esprimono, inoltre, il primato dei beni
interiori su quelli materiali e la volontà di “cercare prima il Regno di Dio”,
secondo la parola di Gesù; scommettono tutta la loro vita per una vita
soprannaturale, che dà senso ai sacrifici quotidiani.
Tutto
questo, però, non significa che la vita consacrata nasce dal disprezzo dei
valori umani e terreni, quasi da una “fuga dal mondo”, da una paura di fronte
ai mali della società. Anzi, entrando in questo stato i credenti dichiarano
apertamente la loro disponibilità al servizio totale per la salvezza del mondo:
la povertà è vissuta per essere più liberi nel donarsi, la castità è praticata
perché si possa amare senza limiti ogni persona, l’obbedienza è seguita per
ascoltare meglio la volontà di Dio anziché i “desideri del proprio egoismo”.
7. Indole escatologica della Chiesa pellegrinante
(LG VII 48-51)
Se da un lato si è riconosciuto il valore
della presenza della Spirito al di fuori della Chiesa cattolica, dall’altro è
stato ribadito con forza il carattere escatologico della Chiesa, che la
proietta in una dimensione eterna.
La vita della Chiesa tende costantemente
all’incontro finale con il Padre, il Figlio e lo Spirito, che si realizzerà
alla fine della storia per tutti i salvati. La dimensione escatologica,
ossia l’aspetto che proietta la vita dell’uomo e del mondo al di là del tempo e
dello spazio, verso la gloria celeste, caratterizza l’essenza intima della
Chiesa che è già in Dio, ma non ancora in pienezza.
-
I
credenti sono chiamati a vivere nel mondo come
stranieri in cerca della patria celeste, impegnandosi per la costruzione
delle realtà temporali, ma anche tenendo sempre presente la provvisorietà di
ogni soluzione terrena ai problemi, aspettando la manifestazione finale del
Regno di Dio.
-
Per
questo la Chiesa è chiamata a fuggire due tentazioni
opposte che possono intralciare il suo cammino verso la salvezza: da un lato,
la tentazione di confondersi con le
realtà mondane, nello sforzo di realizzarsi nell’attività di promozione
umana, dimenticando, appunto, la sua vocazione escatologica che la orienta
verso la “vita del mondo che verrà”; d’altra parte, la tentazione
-
nella
storia, che la condurrebbe a dimenticare il servizio ai poveri del mondo e la
missione evangelizzatrice, per realizzare una falsa attenzione alle realtà
ultime.
-
Essa,
del resto, non è formata semplicemente da coloro che vivono e lottano sulla
terra (che costituiscono la “Chiesa
pellegrina sulla terra”); suoi membri sono anche coloro che, passati
attraverso la morte, sono già in una situazione di salvezza: alcuni sono già
davanti a Dio (la Chiesa dei giusti, con Maria e i santi), altri, invece,
bisognosi di continuare la loro purificazione oltre la morte, vivono
nell’attesa dell’incontro definitivo con la Trinità (è questa la situazione di
coloro che vivono in una situazione di “purgatorio”).
-
Tra
queste tre dimensioni della Chiesa esiste una comunione piena, in virtù della
presenza dello stesso Spirito di Dio fra i credenti, che continua a tenerli
uniti anche dopo la morte. Tale comunione si esprime in diversi atteggiamenti
fondamentali: da un lato, coloro che sono già davanti a Dio esercitano il loro
ministero di intercessione in favore dei cristiani che sono ancora
immersi nella lotta contro il peccato, pregando continuamente per loro e
comunicando nello Spirito l’unica intercessione del Cristo risorto presso il
Padre. Ma anche la Chiesa diffusa sulla terra agisce nei confronti di coloro
che hanno vinto la morte. Essa infatti offre il suffragio (con la
preghiera, le azioni e, soprattutto, con l’offerta del sacrificio eucaristico)
per i defunti che devono essere ancora purificati; nei confronti dei santi,
inoltre, i credenti sono chiamati alla venerazione dell’opera che Dio ha
compiuto in loro e all’imitazione delle loro virtù. In questo modo si
rivela la “comunione dei santi”,
l’amore attivo che è il frutto dello Spirito del Risorto che unisce tutti
coloro che da Lui sono stati santificati o che stanno santificandosi.
8. Maria e la Chiesa (LG VIII 52-69)
8.1
Maria è membro della Chiesa
Il Concilio ha sottolineato, innanzi tutto,
l’appartenenza di Maria alla Chiesa, contro quelle tendenze che miravano a
considerare solo la superiorità della Vergine sulle creature. Maria, sulla scia
di quanto sostenevano i Padri della Chiesa, viene definita come un “membro”
della Chiesa - quindi totalmente dentro la Chiesa -, seppure “eminente e
del tutto singolare” (LG 53), a motivo del ruolo che Dio le ha affidato nella
storia della salvezza. Anch’ella, infatti, partecipa della stessa natura delle
creature ed ha avuto bisogno di essere salvata da Dio: per lei, tuttavia, la
salvezza si è realizzata in maniera diversa dalla nostra, poiché mentre noi
siamo stati liberati dal peccato mediante il sacrificio di Gesù Cristo, la
Vergine, in vista dello stesso sacrificio, è stata preservata dal peccato e
resa totalmente santa dallo Spirito sin dal suo concepimento, come la Chiesa
riconosce nel dogma dell’Immacolata concezione, proclamato da papa Pio
IX nel 1854.
8.2 Maria è
madre della Chiesa
Il Concilio ha riconosciuto anche la
funzione materna che la Vergine, oramai Assunta nella gloria celeste,
secondo la fede della Chiesa espressa nel dogma proclamato da papa Pio XII nel
1950, continua a svolgere nei confronti di ogni uomo, con la sua “molteplice
intercessione” (LG 62). Benché nel testo conciliare sia attribuito a Maria il
titolo di origine agostiniana di “madre delle membra di Cristo”, non vi compare
il titolo di “madre della Chiesa”, che i padri conciliari rifiutarono perché
temevano che esso avrebbe potuto indurre a credere che la Chiesa ha in Maria un
altro principio generatore oltre al Dio trinitario, il che è inesatto. Fu,
invece, papa Paolo VI, che nel discorso di chiusura della III sessione del
Concilio (21 novembre 1964) proclamò Maria “madre della Chiesa”, spiegando che
tale titolo doveva essere inteso come un prolungamento del dogma della Maternità
divina della Vergine: se Maria è, infatti, madre del Cristo, lo è sia del
Cristo capo, sia del Corpo di Cristo, che è la Chiesa, di cui i fedeli formano
le membra.
8.3 Maria è
immagine della Chiesa
La relazione di Maria con la Chiesa,
secondo il Concilio, si esprime anche in un terzo modo: in lei, infatti, il
popolo di Dio contempla la realizzazione di ciò che la Chiesa è e deve essere.
Maria è l’immagine della Chiesa in quanto Vergine e Madre: anche
la Chiesa, infatti, è madre quando “con la predicazione e il battesimo genera
ad una vita nuova e immortale i figli, concepiti per opera dello Spirito Santo
e nati da Dio” (LG 64); ed è vergine, poiché “conserva verginalmente integra la
fede, solida la speranza, sincera la carità” (LG 64). La vita della Chiesa,
dunque, si attua in conformità alla figura di Maria, nella quale essa si
rispecchia.
8.4 Maria è
modello della Chiesa
In
forza di quest’intimo rapporto tra la madre di Gesù e la Chiesa è possibile,
per il Concilio, guardare a Maria come al “modello” per la vita dei credenti
(LG 65). Tutta la vita di Maria è esemplare per chi vuole porsi alla sequela
del suo Figlio: nella sua fede e nella sua disponibilità all’azione dello
Spirito nell’Annunciazione (Lc 1,26-38), nel suo amore servizievole mostrato
nella visita ad Elisabetta (Lc 1,39-45), nella sua preghiera gioiosa e
riconoscente (Lc 1,46-55), nel suo ascolto silenzioso (Lc 2,16-51), nel suo
coraggio di proclamare Dio vendicatore dei poveri (Lc 1,51-54), Maria ha
realizzato ciò che ogni discepolo di Gesù deve realizzare.
[1] Gli otto
capitoli potrebbero essere raggruppati in quattro coppie, che descrivono i
diversi aspetti della comunità dei credenti. La prima coppia (capp.1 e 2),
infatti, sottolinea soprattutto la dimensione soprannaturale e comunionale
della Chiesa; la seconda (capp. 3 e 4) descrive la struttura della Chiesa
visibile; la terza coppia (capp. 5 e 6) è centrata sulla santità alla quale
sono chiamati tutti i credenti, di cui i religiosi rappresentano una
particolare espressione; la quarta ed ultima coppia (capp. 7 e 8), infine,
afferma la comunione che esiste tra i credenti che sono pellegrini sulla terra
e coloro che sono già in Dio, tra i quali Maria è la primizia.
[2] La parola Mistero, compromessa da secoli di
razionalismo moderno, non designa qui ciò che non si può razionalmente spiegare
o quanto è momentaneamente inaccessibile alla nostra conoscenza logica. Mistero
indica invece il disegno salvifico di Dio per l’umanità; e, in tal senso, il
mistero per eccellenza è Gesù Cristo stesso. Affermando che la Chiesa è
mistero, il Concilio invita pertanto a scorgerne la natura profonda nella sua
relazione con Cristo, rivelatore del Padre e con-datore dello Spirito. È in
quanto convocata e abitata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo e perché
a servizio del disegno divino di portare a salvezza in Cristo l’umanità e il
mondo, che la Chiesa è mistero. Commentava Henri de Lubac: «Il Cristo è il sole
di giustizia, sorgente unica di luce. La Chiesa, come la luna, riceve da lui,
ad ogni istante, tutto il suo splendore».
[3] La Chiesa non
si identifica con il Regno di Dio: ne è Sacramento, ciò segno e strumento
per realizzare il Regno: “la Chiesa di
questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (LG,5).
[4] Da non dimenticare anche il concetto di “sensum fidei”: “l’universalità dei fedeli…non può sbagliarsi nel credere” (LG 12)
in cose di fede e di morale
[5] Così sarà ad ottobre prossimo con il Sinodo sulla
Nuova Evangelizzazione (all’interno dell’anno sulla fede).
[6] fondamentali
acquisizioni: la pari dignità dei laici nella Chiesa («Il popolo di Dio è unico, come unico è il
Signore, unica è la fede e il battesimo. Comune è la dignità di tutte le membra
derivante dalla loro rigenerazione in Cristo», LG 32);, la loro partecipazione al sacerdozio di
Cristo, la caratteristica della secolarità. L’accento posto sulla
dignità dei laici nella Chiesa va inquadrato e compreso a partire dalla
plurisecolare egemonia clericale, che di fatto (e di diritto) riconosceva
l’inferiorità e la passività del comune fedele, cioè del laico. L’impostazione
del Vaticano II assume perciò un carattere decisamente innovativo, invitando a
cogliere la distinzione clero-laicato come successiva e solo conseguente a ciò
che primariamente unifica tutti i credenti, precisamente all’essere in Cristo.
[7] Diverse sono le forme di vita consacrata, che
nella Chiesa si sono affermate sin dai primi secoli. Il Nuovo Testamento
conosce già la figura di vergini dedite al servizio del Vangelo (At 21,8-9; 1
Cor 7,34-36). Nei primi secoli del Cristianesimo, poi, dopo che alcuni Padri
avevano sperimentato la vita eremitica, a volte ritirandosi nel deserto, nella
solitudine e nella rinuncia del mondo (S. Antonio abate, III sec.), il
monachesimo cominciò a manifestarsi in una forma comunitaria e più istituzionalizzata,
secondo le “regole” promulgate dai diversi fondatori dei gruppi monastici (S.
Basilio, IV sec.; S. Benedetto da Norcia, V-VI sec.). Nel medioevo sorsero i
cosiddetti “ordini mendicanti” (come i domenicani, i francescani, i
carmelitani, ecc.), che compresero al loro interno laici e sacerdoti, e gli
istituti dei “canonici regolari”, ossia di gruppi di sacerdoti dediti alla
pastorale e praticanti la vita in comune, ispirata ad una regola monastica. Più
recentemente sono sorti gli “istituti secolari” e le “società di vita
apostolica”, in cui i fedeli, vivendo nel mondo, seguono i consigli evangelici,
senza professare i voti, ma legandosi alla vita consacrata con altre forme di
vincoli. La presenza di cristiani consacrati a questo tipo di vita rappresenta
un valore importante per la Chiesa.
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