mercoledì 5 settembre 2012

MALATTIA (11 febbraio, giornata del malato)

Il noto Cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, arcivescovo emerito di Milano, malato di parkinson, da alcuni anni tiene una rubrica su Il Corriere della Sera in cui risponde, l’ultima domenica di ogni mese, ad alcune domande che gli vengono poste. Il 30 ottobre del 2011 mette insieme alcune drammatiche domande sul dolore e la morte. La risposta, molto profonda, viene titolata: Non cedere al dolore, c’è un futuro oltre la vita” ed è una delle piste per celebrare la giornata del malato fissata l’11 febbraio in occasione della memoria della Beata Vergine di Lourdes.
Seguiamo alcune sue riflessioni: “... la morte: essa è dolorosa per tutti. Ma succede talora che chi è oberato pesantemente da grandi dolori giunga a dire: come potrò continuare a soffrire così? Meglio andarmene! Non è un peccato pensarla a questo modo, ma dobbiamo stare attenti che esso non porti a un vero suicidio. Manifestare semplicemente la nostra domanda a Dio perché ci porti presto con sé è una domanda lecita. Dobbiamo però abituarci a tener conto di tutto ciò che è positivo…

Per quanto riguarda, al contrario, la paura della morte ... non vi sono rimedi facili, non basta per esempio imporre a se stessi di non pensarvi. Io non conosco metodo migliore che quello di concentrarsi nel presente. Si può così attualizzare anche il modo con cui Cristo ha sconfitto la morte, offrendosi tutto a Dio Padre. Pur morendo di una morte ingiusta e crudele, disse: «Nelle tue mani, Padre, affido il mio Spirito». Questo è il segreto! Se non ci affidiamo a Dio come bambini, lasciando a Lui di provvedere al nostro avvenire, non arriveremo mai a fare quel gesto di totale abbandono di sé, che costituisce la sostanza della fede. Certamente rivedremo coloro che abbiamo amato. Anche quelli che hanno amato pur non avendo conosciuto Gesù. Come dice Dante «la bontà divina ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei». Ma donde viene una fede così docile? ...essa è un dono di Dio. Ma ciò non significa che non siamo chiamati a fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per ricevere questo dono. Che poi l'assenza prolungata di una persona a noi molto cara generi solitudine, è qualcosa che va compreso e rispettato. Non è difficile della nostra vita lo sperimentare momenti drammatici in occasione della morte di uno stretto parente o di un nostro carissimo amico. Non serve guardare il defunto per cogliere in lui qualche segno di risurrezione...sento molto la fragilità di questa mia fede e il pericolo di perderla. Per questo, prego molto il Signore e gli affido la mia vita, la mia morte e tutti quelli che vanno alla morte con poca fiducia nella potenza di Dio”.

La testimone: Chiara Luce Badano

Chiara Badano nasce il 29 ottobre 1971 a Sassello, in provincia di Savona. Una ragazza bella, sportiva, gioiosa e volitiva. Sogna di diventare hostess, poi si orienta alla medicina. Una vita fatta di successi e insuccessi. In IV ginnasio la bocciatura, subìta come ingiustizia, poi la delusione del primo amore. Chiara impara fin da piccola a fare di ogni ostacolo una pedana di lancio, vivendo con autenticità il Vangelo. A nove anni la scoperta di Dio amore. Si impegna tra i giovani del movimento dei Focolarini, le gen. A loro Chiara Lubich aveva lanciato una sfida: «Essere una generazione di santi». Chiara Badano vi crede. A 17 anni, un dolore acuto mentre gioca a tennis. La diagnosi: un tumore osseo tra i più dolorosi. Alla notizia seguono 25 minuti di lotta interiore, poi il suo sì deciso a Gesù. Non si volta più indietro. Perde l’uso delle gambe. Ad ogni nuova “sorpresa” della malattia: «Per Te, Gesù, se lo vuoi Tu lo voglio anch’io!». Non si ribella e diventa lei sostegno per le persone che le sono accanto: “Se lo vuoi tu Gesù lo voglio anche io.”“Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più grande. A me interessa solo la volontà di Dio, fare bene quella nell’attimo presente: stare al gioco di Dio.”
Negli ultimi mesi ha pochissime energie, ma rimane serena e forte. Dice: «Non ho più niente, ma ho il cuore e con quello posso amare». Rifiuta la morfina: «Mi toglie lucidità, e io posso offrire a Gesù solo il dolore».
Il 7 ottobre 1990 muore, dopo aver curato ogni dettaglio del suo funerale, la sua «festa nuziale»: canti, preghiere dei fedeli e il vestito bianco da sposa.
Il 25 settembre 2010 è stata dichiarata beata. Scriveva:
“I giovani sono il futuro. Io non posso più correre però vorrei passare loro la fiaccola come alle olimpiadi. I giovani hanno una vita sola vale la pena spenderla bene.
“E’ un’esigenza acuta della società e soprattutto della gioventù: il significato vero della vita, la risposta al dolore e la speranza in un poi che non finisca mai e sia certezza della vittoria sulla morte.”
Chiara Badano

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