sabato 15 settembre 2012

GESU’ crocifisso e abbandonato

Perché Gesù Cristo si è lasciato crocifiggere? Non era nella potestà del Padre nei cieli di difenderlo? Sono alcune tra le tante domande che ci poniamo di fronte alla morte di Gesù Cristo. Alcune piste per rispondere sono offerta dal card. Martini:
La riflessione inizia già nel Nuovo Testamento. Si veda la formula usata da San Paolo: Gesù «è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). Il cristianesimo non parla della Croce che per dare spazio alla risurrezione. È ciò che oggi si chiama «mistero pasquale». Così si evidenziava che il peccato da redimere era la causa della crocifissione. Successivamente vennero presi in considerazione anche altri elementi, come la fedeltà eroica di Gesù e il suo amore obbediente per il Padre. Si vide anche che la Croce era stata per tutti un esempio di pazienza nella sofferenza. Oggi non pochi leggono la Croce come presente in qualche modo nella Trinità. La Croce è per il cristiano la certezza di essere stato perdonato e chiede che il grande amore di Gesù per noi trovi un ricambio nella offerta della nostra vita. Essa è per noi anche un invito a fare memoria di Gesù nella Eucaristia. (…)
(Carlo Maria Martini, Corriere della Sera, 30.1.2011)

Il crocifisso diventa simbolo e strumento efficace dell’amore di Dio “che ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv. 3,16). Sono parole che Giovanni mette in bocca a Gesù il quale, nell’ultima cena, al prossimarsi della morte, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv. 13, 1). Fino a dare tutto sé stesso per ogni uomo: spogliato, messo in croce, dona il suo spirito vitale (Gv. 19,30), sangue ed acqua (Gv.19,34), simboli dei sacramenti che scaturiscono dal suo costato trafitto e anche la madre, affidata al discepolo amato perché diventi ora madre di tutti (Gv. 19,26-27). Dona tutto desideroso di dare concretezza a tutte le sue parole di amore, ma anche consapevole che “solo donando si riceve vita” e che “se il chicco di grano non muore, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” perché “chi ama (cioè vi si attacca morbosamente) la propria vita, la perde e chi odia (cioè la dona) in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv. 12, 24-25). Una vita che non si dona è morta, perché la vita è relazione e amore.
GESU’ ABBANDONATO
Nel 1944 Gesù abbandonato si era presentato alla mente e al cuore di Chiara Lubich. Venendo a sapere che il grido emesso dall'alto della croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Mt 27,46) era il momento in cui Gesù aveva più sofferto, disse a una delle sue prime compagne: “Questo è il nostro Gesù! Sarà l'Ideale della nostra vita”.
In lui contemplò l'infinito amore di Dio che si versa sul mondo e, per tutta la vita, andò in cerca di colui che successivamente avrebbe chiamato il suo solo Sposo sulla terra, trascinando molti dietro di sé. In Gesù abbandonato coglie anche il nesso che passa tra il suo grido d'abbandono e l'unità da lui richiesta al Padre nella sua ultima preghiera, il suo testamento (cf. Gv 17,21).
Gesù abbandonato, spiega Chiara Lubich, “che aveva sperimentato in sé la separazione degli uomini da Dio e fra loro, e aveva sentito il Padre lontano da sé, fu da noi ravvisato non solo in tutti i dolori personali, che non sono mancati, e in quelli dei prossimi, spesso soli, abbandonati, dimenticati, ma anche in tutte le divisioni, i traumi, gli spacchi, le indifferenze reciproche, grandi o piccole: nelle famiglie, fra le generazioni, fra poveri e ricchi; nella stessa Chiesa a volte; e, più tardi, fra le varie Chiese; come in seguito, fra le religioni e fra chi crede e chi è di diversa convinzione.

Ma tutte queste lacerazioni non ci hanno spaventato; anzi, per l’amore a lui abbandonato, ci hanno attratto. Ed è stato lui ad insegnarci come affrontarle, come viverle, come concorrere a superarle quando, dopo l’abbandono, aveva rimesso il suo spirito nelle mani del Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc. 23,46), dando così all’umanità la possibilità di ricomporsi in sé stessa e con Dio, e indicandole il modo. Egli ci si è manifestato perciò chiave dell’unità, rimedio a ogni disunità. Egli era colui che ricomponeva l’unità fra noi, ogni qualvolta si fosse incrinata. Egli era colui nel quale riconoscevamo e amavamo le grandi, tragiche divisioni dell’umanità e della Chiesa. Egli è divenuto il nostro unico Sposo. E la nostra convivenza con un tale Sposo è stata così ricca e feconda che mi ha spinto a scrivere un libro, come una lettera d’amore, come un canto, un inno di gioia e di gratitudine a lui”. Il libro a cui fa rifermento è L’unità e Gesù abbandonato, 1984, Città Nuova editrice.

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