“Come nell’antichità, anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita, e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio”. (Benedetto XVI)
Ogni anno l’agenzia di stampa delle Pontificie Opere Missionarie, la Fides, stila il triste elenco di missionari e operatori pastorali uccisi a causa della loro fede cristiana. Sono stati 26 nel 2001 uno in più rispetto al 2010. Si tratta di 18 sacerdoti, 4 religiose e 4 laici. Con 15 vittime l'America si rivela per la terza volta consecutiva il continente più pericoloso, seguita dall'Africa, con 6 operatori pastorali uccisi. Al terzo posto c'è l'Asia con 4 morti. A chiudere il triste elenco è l'Europa, con 1 sacerdote ucciso.
Non fu un martire che cercava la morte violenta, ma l'accettò, non sfuggendo al suo destino. Non fu un esaltato, ma un profeta; aprì gli occhi sulla realtà che lo circondava e fece vivere la Chiesa al fianco di chi aveva bisogno, di chi lottava per affrancarsi da repressioni, sfruttamenti.
Fu la spalla su cui piansero le madri delle centinaia di desaparecidos, giovani fatti sparire, perché considerati pericolosi dal governo ultrareazionario salvadoregno. Fu il confessore di tanti campesinos che protestavano contro lo strapotere e gli sfruttamenti subiti da parte di una decina di famiglie che si spartivano la proprietà terriera di tutto lo stato. Fu la guida di giovani parroci e religiosi che esercitavano il loro ministero sostenendo gli ultimi.
Fu il fautore della cosiddetta "teologia dell'accompagnamento": per lui compito di un sacerdote è quello di camminare accanto a chi ha bisogno. Parlava spesso dei poveri, ma è facile immaginare che per povertà intendesse qualcosa di molto più ampio, rispetto alla mancanza di possibilità economiche.
VEDI ANCHE: Ettore Masina, L'Arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele, Torino (1996)
Ogni anno l’agenzia di stampa delle Pontificie Opere Missionarie, la Fides, stila il triste elenco di missionari e operatori pastorali uccisi a causa della loro fede cristiana. Sono stati 26 nel 2001 uno in più rispetto al 2010. Si tratta di 18 sacerdoti, 4 religiose e 4 laici. Con 15 vittime l'America si rivela per la terza volta consecutiva il continente più pericoloso, seguita dall'Africa, con 6 operatori pastorali uccisi. Al terzo posto c'è l'Asia con 4 morti. A chiudere il triste elenco è l'Europa, con 1 sacerdote ucciso.
Essere operatore pastorale è un mestiere “a rischio” in due Paesi latinoamericani, Colombia e Messico. Anche l'India è un Paese pericoloso. Tre operatori pastorali sono hanno perso la vita in modo violento nel colosso asiatico. Dall'elenco di Fides emerge che molti degli operatori pastorali assassinati l'anno scorso sono stati uccisi da ladri che si erano introdotti nella loro chiesa o abitazione. Almeno quattro dei sei operatori pastorali rimasti uccisi in Africa sono stati la vittima di un'imboscata o un tentativo di rapina. Le vittime italiane sono state due. Si tratta di un giovane volontario, Francesco Bazzani, ucciso assieme ad una suora croata, Lukrecija Mamic, il 27 novembre scorso a Kiremba, nel nordovest del Burundi, e di padre Fausto Tentorio, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). Il missionario, che lavorava nell’apostolato fra i tribali sulla grande isola di Mindanao, nelle Filippine, è stato ucciso il 17 ottobre, mentre stava recandosi ad un incontro dei presbiteri della diocesi di Kidapawan. Aveva dedicato tutta la sua vita al servizio di alfabetizzazione e sviluppo degli indigeni.
I missionari martiri vengono ricordati in modo particolare il 24 marzo, giorno in cui si commemora l’eccidio di Mons. Romero, vescovo di San Salvador, giorno di preghiera e di digiuno.
MONS. OSCAR ROMERO
Il 24 marzo del 1980 Romero viene brutalmente assassinato mentre celebra messa. Per il popolo diviene un santo il giorno stesso del suo assassinio, eppure la sua causa di beatificazione, iniziata nel 1997, non si è ancora conclusa. Una figura controversa che ha suscitato - e continua a suscitare – grande polemica. Non si iscrisse mai ad alcun partito, eppure fu accusato di essere marxista. Non aderì mai alla Teologia della Liberazione, ma ne è considerato un’icona. Oscar Arnulfo Romero, il vescovo cattolico di San Salvador, nel teatro quotidiano di violenza del suo paese, decise di non tacere e di prendere una posizione netta contro l’ingiustizia sociale e ogni forma di abuso militare e politico.Non fu un martire che cercava la morte violenta, ma l'accettò, non sfuggendo al suo destino. Non fu un esaltato, ma un profeta; aprì gli occhi sulla realtà che lo circondava e fece vivere la Chiesa al fianco di chi aveva bisogno, di chi lottava per affrancarsi da repressioni, sfruttamenti.
Fu la spalla su cui piansero le madri delle centinaia di desaparecidos, giovani fatti sparire, perché considerati pericolosi dal governo ultrareazionario salvadoregno. Fu il confessore di tanti campesinos che protestavano contro lo strapotere e gli sfruttamenti subiti da parte di una decina di famiglie che si spartivano la proprietà terriera di tutto lo stato. Fu la guida di giovani parroci e religiosi che esercitavano il loro ministero sostenendo gli ultimi.
Fu il fautore della cosiddetta "teologia dell'accompagnamento": per lui compito di un sacerdote è quello di camminare accanto a chi ha bisogno. Parlava spesso dei poveri, ma è facile immaginare che per povertà intendesse qualcosa di molto più ampio, rispetto alla mancanza di possibilità economiche.
VEDI ANCHE: Ettore Masina, L'Arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele, Torino (1996)
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