domenica 16 settembre 2012

Dibattito sul crocifisso nei luoghi pubblici

PRO…
Anche la Corte Europea ha recentemente (marzo 2011) assolto l’Italia di ledere i diritti umani con la presenza del crocifisso nei luoghi pubblici.
Commenta Alessandro D’Avenia: “Se togliamo il crocifisso dovremmo anche eliminare dal nostro calendario, se non le vacanze di Natale, almeno quelle di Pasqua, andare al lavoro anche la domenica, per non subire la violenza della risurrezione di quel crocifisso che ci obbliga a dormire fino a mezzogiorno, stare con la nostra famiglia e mangiare un dolce, senza avere ragioni particolari per festeggiare...
I crocifissi non ci sono sempre stati. Non già alle pareti delle scuole, ma delle chiese. Solo nel V secolo compaiono i primi. Non si può rappresentare Dio in croce: è scandaloso, sia per gli ebrei sia per i pagani, e quindi anche per i cristiani, che provenivano culturalmente da quelle file. Pochi sono i crocifissi, qualcuno in più in età carolingia, finché Francesco ne fa il baluardo della sua preghiera, a partire da San Damiano. Così fiorisce l’immagine del crocifisso nell’arte e nella devozione privata, e conquista anche le pareti degli edifici pubblici. Sono necessari? Ogni luogo ha i suoi arredi. In chiesa voglio trovare un crocifisso, in classe una lavagna. Non si tratta di mettere crocifissi dove non è necessario che stiano, né toglierli da dove sono sempre stati. (…)

In quella croce c’è la verticalità che collega cielo e terra, la fame di altezza e profondità che caratterizza persino la struttura del corpo umano rispetto a quella degli animali, e c’è l’orizzontalità che abbraccia tutto e tutti. Forse il crocifisso è tornato osceno come lo è stato nei primi secoli del cristianesimo. Forse lo toglieremo e ci colpirà ancor più la sua assenza, come mi ha detto un amico: «Chi toglie il crocifisso dai muri non può non fare i conti con il segno dei chiodi»”.
(Alessandro D’Avenia, Fare i conti con quei chiodi, Avvenire, 19.3.11)
Così scriveva la Ginzburg, ebrea, negli anni ’80: «Il crocifisso non genera discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini... A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola».
… E CONTRO
Per i “vertici dello Stato e della Chiesa cattolica il crocifisso è obbligatorio nelle scuole statali, e in altri uffici pubblici, per due motivi: in quanto simbolo culturale, perché rappresenta la tradizione, l’identità e i valori del Paese; in quanto simbolo religioso, perché è maggioritario e passivo, piace ai più e non mira a convertire i meno, che dunque possono e devono tollerarlo.
C’è poi la versione di Sergio Luzzatto(Il crocifisso di Stato, Einaudi, pagine 128, 10). Secondo lo storico, bisogna dire no al crocifisso di Stato per due ragioni, una storica e una socio-politica. La storia del crocifisso di Stato è storia di divisione ed esclusione, di sopraffazione dei più e di umiliazione dei meno.
Il no dell’autore è anche socio-politico. Egli vede nel crocifisso di Stato un’Italia prigioniera del passato e serva nel presente. Un’Italia cinicamente arresa all’eterna compravendita tra ministri e cardinali. In cui i credenti sono ostaggio degli atei devoti di oggi come lo sono stati dei fascisti e dei comunisti di ieri, «uomini senza Dio che cercano un rapporto di dipendenza funzionale con il Papa e con il Vaticano, persuasi che l’Italia si governi solo così: facendosi strumenti tanto fedeli quanto informali dell’augusto inquilino d’Oltretevere». Non potrebbero esservi due versioni più lontane. I rappresentanti dello Stato e della Chiesa cattolica saltano il passato ed esaltano il bisogno d’identità del presente; Sergio Luzzatto scava nel passato e grida il bisogno di cambiamento del presente. (…) Dietro tutto ciò, c’è un’Italia sconosciuta e temuta. L’Italia di chi vuole il crocifisso contro gli immigrati e i musulmani; dei cattolici che non lo vogliono nelle mani dei politici; dei credenti di altre religioni e dei non credenti che vorrebbero semplicemente sentirsi a casa propria. L’Italia dei tantissimi che neppure ci fanno caso. E l’Italia di chi pensa che Luzzatto ha ragione, che il crocifisso è stato usato da vescovi e papi, da Mussolini, Togliatti, Licio Gelli, Napolitano e Berlusconi, ma che, proprio per questo, il Cristo in croce può essere oggi un simbolo diverso. Forse, anche il simbolo della rivolta morale e del riscatto.
(Da Elzeviro, La “guerra santa” per il crocifisso, Corriere della Sera, 6.5.11)
PRO e CONTRO?
Il commento di Gian Enrico Rusconi (sociologo ed editorialista de La Stampa) sulla sentenza della Corte di Strasburgo mette in evidenza un “brutto paradosso”: “Dichiarando che il crocifisso esposto in un’aula scolastica non lede alcun diritto, non solo lo dichiara innocuo, ma declassa il più potente segno religioso dell’Occidente a un marcatore identitario. «Non fa male a nessuno» - come ripetono da sempre i molti per trarsi d’impaccio dal conflitto di ragioni che la questione seriamente solleva. (…) Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo della gerarchia ecclesiastica. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?Preoccupazioni culturali, considerazioni psicologiche; deduzioni giuridiche. Di tutto si parla, salvo che del valore religioso del crocifisso che rappresenta (dovrebbe rappresentare) il Figlio di Dio in croce. (…)
Lascio a chi è più competente di me dare un giudizio giuridico sulla sentenza di Strasburgo. Il lungo testo sembra molto preoccupato di delimitare i confini della competenza della Corte: «Non le appartiene pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità quale è consacrato nel diritto italiano». In altre parole, si affida alla giurisprudenza italiana, facendo finta di non sapere quanto essa sia incerta e controversa. Anzi adesso molti uomini di legge saranno sollevati d’avere un’autorevole istanza «esterna» cui appoggiare i loro argomenti. Un punto importante tuttavia è acquisito dalla sentenza: in tema di religione (insegnamento, spazio pubblico, rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato) il criterio nazionale ha la precedenza su ogni altro. Ma questo in concreto vuol dire che in Europa prevarranno linee interpretative molto diverse da Paese a Paese (…) Con buona pace dell’universalismo del messaggio cristiano ridotto a principi generalissimi diversamente intesi e praticati a Parigi, a Berlino, a Roma o ad Atene. (…) Ma poi la Corte fa un passo ulteriore significativo, quando dichiara con una certa disinvoltura di non avere prove di una influenza coercitiva negativa del simbolo cristiano su allievi di famiglie di religione o di convincimenti diversi. In realtà proprio su questo punto è stata decisiva anni fa la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che al contrario ha dichiarato necessario tenere in considerazione le opinioni di tutti gli interessati. Si tratta infatti di un conflitto tra diritti legittimi. L’esito finale della lunga appassionata controversia sul crocifisso in aula è stato il più impegnativo che si potesse immaginare: nessuna imposizione di legge, ma ragionevole intesa tra tutti gli interessati. In nome dell’universalismo e del rispetto reciproco. E’ una strada difficile da praticare, ma è l’unica degna di una democrazia laica matura. Peccato che noi ne siamo ancora molto lontani.
(G. E. Rusconi, Il crocifisso non è innocuo, La Stampa, 20.3.11)

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